Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2799 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2799 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2024
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nato a Penne il 15/11/1973, avverso l’ordinanza in data 31/10/2023 della Corte di appello di Palermo, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta per il Ministero dell’Economia e Finanze la memoria dell’avvocato dello Stato NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso con vittoria di spese;
letta per il ricorrente la memoria dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 31 ottobre 2023 la Corte di appello di Palermo, decidendo in seguito alla sentenza di annullamento con rinvio della Sezione Quarta della Corte di cassazione n. 21877 dell’8 marzo 2022, ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione presentata da NOME COGNOME
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2. Il ricorrente lamenta la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione perché la Corte territoriale non aveva spiegato in che modo aveva concorso con dolo o con colpa grave al mantenimento della misura custodiale, ma aveva sostanzialmente ripetuto le argomentazioni della prima ordinanza, già annullata sul punto, entrando nel merito del processo e arrivando a criticare la sentenza di assoluzione. Aggiunge che le dichiarazioni rese nell’interrogatorio di garanzia non erano state mendaci ma erano espressive del diritto di difesa. Ripercorre i punti salienti della vicenda per concludere che, al momento dell’emissione della misura cautelare, il quadro indiziario, era gravemente incerto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato.
NOME COGNOME ha chiesto la liquidazione dell’indennizzo per l’ingiusta detenzione patita in carcere dal 14 dicembre 2015 al 23 aprile 2016 e agli arresti domiciliari fino al 19 settembre 2017, in quanto gravemente indiziato del reato di rapina aggravata, per il quale era stato assolto con sentenza in data 19 settembre 2017 della Corte di appello di Palermo con la formula “per non aver commesso il fatto”.
I Giudici di appello di Palermo avevano ravvisato la condotta ostativa al riconoscimento dell’indennizzo in una serie di convergenti elementi. Il teste a carico, NOME COGNOME aveva dichiarato che il giorno della rapina al supermercato Barretta, che conosceva di vista, gli aveva chiesto con fare agitato di tenergli acceso lo scooter celeste. Si era rifiutato ed era rientrato in casa da dove aveva potuto osservare che l’uomo era entrato nel supermercato, ne era uscito con una busta e un casco bianco e si era allontanato con il motorino. La videosorveglianza aveva ripreso la fuga del ciclomotore del modello e del colore di quello di COGNOME. Vi era corrispondenza, anche se non in termini di assoluta certezza, tra il fuggitivo e COGNOME. Gli inquirenti, che si erano recati a casa sua, avevano constatato la presenza dello scooter parcheggiato, con il motore ancora caldo, mentre COGNOME era in casa molto agitato. Dal suo canto, il ricorrente aveva spiegato, nell’interrogatorio di garanzia, le ragioni della gravissima inimicizia di COGNOME nei suoi confronti e ricollegato lo stato di agitazione all’assunzione di cocaina. Secondo i Giudici, le dichiarazioni del ricorrente erano state mendaci perché aveva negato l’uso del ciclomotore e aveva affermato la presenza in casa di una siringa che non era stata trovata. Di qui il comportamento gravemente colposo, perché reticente, rispetto al solidissimo quadro indiziario a suo carico.
La Corte di cassazione ha annullato tale decisione ravvisando nell’ordinanza impugnata un’evidente debolezza argonnentativa, ai limiti dell’assoluta carenza. La Corte di appello infatti non aveva spiegato come il ciclomotore “caldo” e il mancato
rinvenimento della siringa avessero inciso sull’emissione della misura custodiale e soprattutto sul suo mantenimento. Nell’interrogatorio di garanzia, l’interessato aveva rappresentato, invero, un fatto idoneo ad aprire un nuovo scenario di indagine, rivelatosi decisivo ai fini dell’assoluzione, e cioè l’inimicizia di COGNOME, ma tale spunto investigativo non era stato colto dagli inquirenti. La Corte di cassazione ha affermato dunque che non poteva essere ascritta all’interessato l’inerzia dell’accertamento degli investigatori dei fatti il cui accertamento aveva portato all’assoluzione e un simile preventivo controllo era mancato nell’ordinanza impugnata che neppure si era curata di verificare se il mantenimento della misura cautelare potesse ritenersi causalmente connesso con la condotta serbata.
La Corte di appello di Palermo ha nuovamente confermato il rigetto della richiesta di indennizzo perché COGNOME aveva reso delle dichiarazioni difensive insincere e gravemente reticenti: aveva screditato il suo accusatore, aveva negato l’uso del ciclomotore quando gli inquirenti l’avevano trovato caldo, aveva negato che era sotto casa con il casco bianco quando l’avevano visto, aveva dichiarato di essersi iniettato la cocaina quando non avevano trovato la siringa. Come si desume dalla parte iniziale della motivazione, la Corte territoriale è entrata nel merito dell’assoluzione, ritenendo che la ritrattazione di COGNOME fosse avvenuta in termini sibillini per cui era possibile sia la sentenza di condanna che quella successiva di assoluzione e, ripercorsi tutti gli elementi di giudizio, ha, in sostanza, manifestato perplessità sull’assoluzione e ha finito con il riprodurre la medesima motivazione dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di riparazione per ingiusta detenzione, già annullata, insistendo sulla decisività dei dati del ciclomotore “caldo” e della siringa non trovata come sinergici dell’adozione e del mantenimento della misura cautelare.
Non mette conto in questa sede ripetere il contenuto e la portata dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 188 del 2021, perché già oggetto di esauriente disamina della sentenza rescindente (vedi par. 6). Va invece evidenziato che la giurisprudenza di legittimità ha ribadito in plurime occasioni che è dolosa non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’ id quod plerumque accidit, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo; è colposa, invece, la condotta che, pur tesa ad altri risultati, determini, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento
restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso; la condotta, dolosa o colposa, può poi essere anteriore o posteriore al fatto, processuale o extraprocessuale, ma deve pur sempre essere collegata causalmente alla produzione dell’evento costitutivo del diritto, cioè dell’emissione del provvedimento coercitivo (si vedano in particolare le seguenti sentenze a Sezioni Unite, Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 20363601 e 203637-01; idem, Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME Rv. 247664-01; Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606-01).
La sentenza rescindente ha puntualmente osservato che non è possibile negare la riparazione sulla base di condotte del ricorrente, anche illecite, che non siano state poste a base della misura cautelare o del suo mantenimento, senza spiegare la rilevanza “sinergica” di queste nel creare l’apparenza dei presupposti della misura custodiale che abbiano indotto in errore l’autorità giudiziaria (Sez. 4, n. 14000 del 15/01/2014, COGNOME, Rv. 259151-01; Sez. 4, n. 43457 del 29/09/2015, COGNOME, Rv. 264680 – 01). In altri termini, è pur sempre necessario che il giudice della riparazione effettui uno specifico raffronto tra la condotta dell’indagato e le ragioni esposte nella motivazione dell’ordinanza che ha disposto la misura stessa (Sez. 3, n. 36336 del 19/06/2019, Wakel, Rv. 277662 – 01).
Nel caso in esame, continua a essere carente, come detto, la motivazione sull’incidenza causale della condotta dolosa o gravemente colposa del ricorrente in termini di creazione dell’apparenza dell’esistenza dei presupposti della misura custodiale o del suo mantenimento. S’impone, pertanto, un secondo annullamento con rinvio perché la Corte territoriale verifichi l’idoneità delle dichiarazioni palesemente reticenti (o in parte mendaci) rese dal ricorrente a influire sull’emissione della misura, e soprattutto del suo mantenimento, in presenza di dichiarazioni difensive che si sono rivelate nel corso del processo decisive ai fini dell’assoluzione.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Palermo.
Così deciso, il 10 settembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presi (Ante