Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 12469 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 12469 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROSSANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/02/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza del 27 febbraio 2023 la Corte di appello di Catanzaro ha respinto la domanda formulata da NOME COGNOME per la liquidazione dell’equa riparazione dovuta ad ingiusta privazione della libertà personale subìta dal 12 al 20 settembre 2012.
Come emerge dall’ordinanza impugnata, COGNOME fu sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rossano che ritenne sussistenti gravi indizi del furto aggravato di una ingente quantità di legname. L’8 settembre 2012 COGNOME, già condannato per reati contro il patrimonio e recentemente tratto in arresto per furto di legname, fu visto dai Carabinieri di Rossano mentre guidava un fuoristrada a bordo del quale erano caricati numerosi tronchi di albero. Gli operanti, insospettiti, lo seguirono e COGNOME si dette alla fuga, percorrendo a velocità sostenuta strade sterrate, abbattendo la rete di recinzione di un fondo privato e abbandonando l’auto in un dirupo per poi allontanarsi a piedi. Nell’interrogatorio di garanzia successivo all’esecuzione della misura l’indagato negò di essere fuggito e sostenne di non essersi neppure accorto di essere seguito da una pattuglia di carabinieri. Sostenne, inoltre, di aver regolarmente acquistato i beni che era accusato di aver sottratto e, a conferma di ciò, produsse una fattura d’acquisto di legname datata 7 settembre 2012. All’esito dell’udienza di convalida, con ordinanza del 20 settembre 2012, il G.i.p revocò la misura cautelare e COGNOME fu posto in libertà.
Con sentenza del 9 gennaio 2019 (irrevocabile il 10 aprile 2019) COGNOME è stato assolto dall’imputazione ascrittagli «perché il fatto non sussiste».
La domanda di liquidazione di un equo indennizzo per l’ingiusta privazione della libertà personale è stata respinta perché si è ritenuto che COGNOME avesse dato causa all’adozione del provvedimento priva tivo della libertà personale per colpa grave e si è considerato rilevante in tal senso il comportamento consistito nel darsi precipitosamente alla fuga abbandonando il veicolo sul quale la legna era caricata.
Contro l’ordinanza di rigetto, COGNOME ha proposto tempestivo ricorso per mezzo del difensore cui ha conferito apposto mandato.
Il ricorso si articola in due motivi con i quali il ricorrente deduce vizi motivazione del provvedimento impugnato e violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. La difesa osserva che il comportamento consistito nel darsi alla fuga è stato
considerato insufficiente ai fini dell’affermazione della penale responsabilità e non avrebbe potuto essere ritenuto rilevante per negare il diritto all’indennizzo perché il ricorrente ha subito documentato che la legna non era stata rubata, ma regolarmente acquistata. Sostiene, pertanto, che la colpa grave sarebbe stata ritenuta sussistente fuori dai casi consentiti.
il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Nello stesso senso ha concluso l’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto, in subordine, il rigetto del ricorso.
5. I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità. 6. Si deve premettere che, per giurisprudenza consolidata, il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione è connotato da totale autonomia rispetto al giudizio penale, perché ha lo scopo di valutare se l’imputato, con una condotta gravemente negligente o imprudente, abbia colposamente indotto in inganno il giudice in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’adozione di una misura cautelare. Ai fini del riconoscimento del diritto all’indennizzo, può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia strutturale tra custodia e assoluzione, o quella funzionale tra durata della custodia ed eventuale misura della pena; con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell’istituto (cfr: Sez. U., n. 51779 del 28/11/2013, COGNOME, Rv. 257606; Sez. 4, n. 35689 del 09/07/2009, COGNOME, Rv. 245311). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Muovendo da queste premesse, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che, nel valutare la condotta ostativa, si debba tenere conto dei presupposti che hanno determinato la detenzione poi rivelatasi ingiusta e si debba verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza RAGIONE_SOCIALE accuse, pur successivamente smentita; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (cfr. Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663).
Nel caso in esame, la misura è stata disposta perché COGNOME
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trasportava a bordo di un fuoristrada circa dieci quintali di legname unitamente a un’ascia e a una motosega e, quando una pattuglia di carabinieri gli intimò l’alt, si dette alla fuga così inducendo – prima negli operanti e poi nel giudice – il convincimento che quel legname fosse stato rubato. Dopo l’esecuzione della misura, COGNOME ha prodotto una fattura di acquisto di legname che è stata considerata riferibile al materiale rinvenuto sul fuoristrada. Alla luce di questo dato documentale, l’indagato è stato posto in libertà. All’esito dell’interrogatorio dunque, si è ritenuto che le condizioni di applicabilità della misura fossero venute meno. Ciò non è dipeso, però, da una diversa valutazione dei medesimi elementi sulla base dei quali la misura cautelare era stata disposta, ma dalla valutazione di un nuovo elemento fornito dall’indagato che è stato considerato rilevante e idoneo a determinare la remissione in libertà. Il giudice della cautela, dunque, ha riesaminato il quadro indiziario alla luce di elementi sopravvenuti e sulla base di questi nuovi elementi ha modificato le proprie determinazioni. Il comportamento precedentemente valutato, tuttavia, non è stato escluso né dal giudice della cautela né, in seguito, dal giudice della cognizione ed è evidente che la fuga ebbe efficacia sinergica rispetto alla decisione assunta dal G.i.p. In casi come questo, la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che la causa ostativa prevista dall’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. possa operare (per tutte: Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663) e di tali principi di diritto la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione
Non ha maggior pregio il motivo col quale la difesa deduce vizi di motivazione dell’ordinanza impugnata. La Corte territoriale riferisce che il ricorrente è stato mandato assolto dall’imputazione ascrittagli perché ha prodotto documentazione che comprovava l’acquisto di legname e, tuttavia, la fuga riferita dagli operanti non è stata esclusa dalla sentenza di assoluzione secondo la quale COGNOME percorse «a velocità sostenuta strade sterrate», abbandonò la propria auto in un dirupo «dopo aver superato, abbattendola, una rete di recinzione di un fondo privato» e si allontanò a piedi. L’ordinanza impugnata ha valutato la condotta così descritta come gravemente imprudente e tale valutazione non appare incongrua, contraddittoria o manifestamente illogica, potendosi fondatamente desumere da un tale comportamento l’illecita provenienza del materiale trasportato. Com’è evidente, inoltre, fu proprio tale comportamento, valutato alla luce dei precedenti penali dell’indagato, a determinare l’applicazione della misura cautelare.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte
costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende, somma così determinata in considerazione RAGIONE_SOCIALE ragioni di inammissibilità.
Non si ritiene di dover procedere alla liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese sostenute dal Ministero resistente cui conseguirebbe la condanna del ricorrente alla rifusione RAGIONE_SOCIALE stesse. La memoria depositata, infatti, si limita a riportare princip giurisprudenziali in materia di riparazione per ingiusta detenzione senza confrontarsi con i motivi di ricorso sicché non può dirsi che l’Avvocatura dello Stato abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa del ricorrente (sull’argomento, con riferimento alle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile, cfr. Sez. U., 5466, del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716; Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez. 3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713)
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE. Nulla per le spese al Ministero resistente.
Così deciso il 12 marzo 2024