Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 47035 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 47035 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PISANO NOME nato a ROSARNO il 30/10/1950
avverso l’ordinanza del 02/05/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/L=233 le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 2 maggio 2024 la Corte di appello di Roma ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta da COGNOME NOME in relazione alla sofferta restrizione in custodia cautelare in carcere (dal 2 dicembre 2010 al 23 febbraio 2012) – impostagli dal G.I.P. del Tribunale di Palmi il 4 dicembre 2010, poi confermata dal competente G.I.P. del Tribunale di Catanzaro il 16 dicembre 2020 e, quindi, revocatagli dal Tribunale del riesame di Catanzaro con provvedimento del 23 febbraio 2012 – in ordine ai reati di cui agli artt. 74, commi 1, 2, 4 e 5, in relazione all’art. 80, comma 2, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo A); 73 e 80 D.P.R. n. 309 del 1990 (capo B).
Il COGNOME era stato, poi, assolto dalle indicate imputazioni per non aver commesso il fatto, con sentenza emessa – a seguito di declaratoria di incompetenza territoriale pronunciata dalla Corte di appello di Catanzaro il 14 giugno 2016 – dal Tribunale di Roma in data 1° giugno 2022.
Per la Corte di appello di Roma, quale giudice della riparazione, pur ravvisandosi, nel caso di specie, la ricorrenza di un’ipotesi di ingiustizia formale di rilievo ai sensi dell’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., per avere il Tribunale del riesame revocato la misura cautelare nella ritenuta assenza ab origine dei gravi indizi di colpevolezza, deve, comunque, assumere decisiva valenza, ai fini della esclusione del riconoscimento dell’invocato beneficio, la circostanza che il Pisano avesse dato o concorso a dare causa alla misura custodiale per dolo o colpa grave, in diretta applicazione del principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte per cui l’indicato aspetto opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. (cfr. Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663-01).
La Corte territoriale ha, in particolare, desunto la ricorrenza di una condotta gravemente colposa perpetrata da parte dell’istante, di rilievo ai sensi dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., dal fatto che il COGNOME avesse intrattenuto rapporti con soggetti appartenenti all’organizzazione dedita al traffico di droga, prendendo contatti con suoi esponenti ed interessandosi della fattibilità di operazioni di importazione di sostanze stupefacenti in vista di una futura collaborazione.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME COGNOME a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge in relazione all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen.
, GLYPH /4 Lamenta il ricorrente che la Corte di merito avebpg errato nel ritenere che, nella specie, pur essendovi un’ipotesi di ingiustizia formale ex art. 314, comma 2, cod. proc. pen., non vi sarebbero i presupposti per il riconoscimento del suo indennizzo per ingiusta detenzione, stante la ricorrenza di una condotta ostativa a lui imputabile di rilievo ai sensi del primo comma del suddetto art. 314 cod. proc. pen.
Avrebbe, infatti, errato il giudice della riparazione nell’avere desunto dall’insegnamento reso dalle Sezioni Unite la possibilità di dare rilievo ostativo alla condotta colposa da lui perpetrata, atteso che una simile ipotesi non può trovare applicazione laddove, come nella fattispecie in esame, l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura cautelare sia avvenuta sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che aveva reso il Provvedimento cautelare, solo in ragione di una loro diversa valutazione.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
L’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiesto con memoria scritta che il ricorso venga dichiarato inammissibile, ovvero, in subordine, che lo stesso venga rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto, per l’effetto dovendo essere pronunciato l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma.
E’, infatti, fondata la doglianza eccepita da parte del ricorrente, nella specie assumendo decisivo rilievo il principio, reiteratamente ribadito da questa Corte di legittimità (Sez. 4, n. 22103 del 21/03/2019, COGNOME, Rv. 276091-01; Sez. 4, n. 5452 del 11/01/2019, COGNOME, Rv. 275021-01; Sez. 4, n. 54042 del 09/11/2018, COGNOME, Rv. 274765-01; Sez. 4, n. 22806 del 06/02/2018, COGNOME, Rv. 272993-01) – in applicazione dell’insegnamento reso dalle Sezioni Unite con la citata sentenza Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME Rv.
247663-01 – per cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, l’aver dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave non opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto, qualora l’accertamento della insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura avvenga sulla base di una diversa valutazione dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare; in tale ipotesi, il giudice della riparazione non può neppure valutare – nemmeno al diverso fine della eventuale riduzione dell’entità dell’indennizzo – la condotta colposa lieve.
La citata sentenza Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663-01, infatti, pur affermando il generale principio per cui la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc pen., ha, pur tuttavia, espressamente precisato che tale operatività non può concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo causale che governa l’indicata condizione ostativa, nei casi in cui l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura in oggetto avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione.
Ciò, all’evidenza, è quanto verificatosi nel caso di specie, avendo la Corte di appello espressamente affermato che la revoca della misura custodiale per mancanza di gravità indiziaria era stata disposta dal Tribunale del riesame sulla base dei medesimi elementi sottoposti al giudice della cautela.
In simili ipotesi, non vi può essere spazio per alcun giudizio relativo al comportamento dell’istante, eventualmente anche lievemente colposo, in quanto viene negata in radice l’efficienza causale della condotta dell’indagato sull’adozione della misura cautelare, da ritenere incompatibile con la riconosciuta autoreferenzialità dell’errore dell’Autorità giudiziaria.
Ne consegue il necessario annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Roma, cui viene demandata anche la regolamentazione tra le parti delle spese di lite relative a questo giudizio di legittimità.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte appello di Roma cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le pa relativamente al presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
Il Présidente