Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 9305 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 9305 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SIDERNO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/10/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, che ha chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da NOME COGNOME in relazione alla custodia cautelare in carcere applicata nei suoi confronti a far data dal 20/10/2016 sino al 04/05/2017, in relazione a un capo di imputazione ipotizzante il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso nonché di detenzione e porto illegale di arma comune da sparo.
La Corte d’appello, quale giudice adito ai sensi dell’art.31 cod.proc.pen., ha premesso che la Corte di RAGIONE_SOCIALEzione (con sentenza del 14/03/2017) aveva annullato con rinvio il titolo cautelare in ordine al reat associativo e che il Tribunale del riesame di Reggio Calabria aveva quindi escluso i correlativi gravi indizi di colpevolezza, contestualmente dichiarando l’inefficacia della misura in ordine al reato di detenzione e porto di arma d sparo; che /con sentenza n.1/2019 della Corte d’assise di Locri, il COGNOME era stato assolto dal reato associativo e condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione per il reato di detenzione di arma i ltre che per quello di danneggiamento aggravato; che, con sentenza del 08/06/2020, la Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria aveva dichiarato tali ultimi due reat estinti per prescrizione; che il ricorrente aveva pertanto chiesto riconoscimento dell’indennizzo previsto dall’art.314 cod.proc.pen..
La Corte territoriale ha quindi premesso che, in ordine al reato di detenzione di arma comune da sparo, si era formato il giudicato cautelare in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a seguito del richiamata sentenza della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione n.18535/2017 e che il relativo reato era stato dichiarato prescritto in secondo grado all’esito di valutazione di sussistenza in fatto del reato contestato; ha quindi dedott che – in ordine al titolo cautelare in riferimento akla quale era stata propo la domanda di riconoscimento dell’indennizzo – il ricorrente era stato assolto in relazione a uno solo di questi; ha quindi rilevato che, vertendosi in ipote di processo cumulativo, il proscioglimento con formula non di merito per una delle imputazioni impediva – come nel caso di specie – il riconoscimento della riparazione, pure tenendo conto della sentenza n.19/2008 della Corte Costituzionale ed essendo, in tale specifica ipotesi, riconoscibile il relat diritto solo qualora la durata della custodia cautelare sofferta fosse st superiore alla misura della pena astrattamente irrogabile e fatta salv l’ipotesi di rinuncia alla prescrizione, tutte condizioni non ravvisabili nel c di specie.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, articolando un unitario motivo di impugnazione, con il quale ha dedotto la nullità dell’ordinanza per violazione di legge in relazione agli artt. 314, comma 2, 273, 274, 275 e 280 cod.proc.pen..
Ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe fatto cattivo governo della predette disposizioni processuali, non considerando che il ricorrente era stato assolto in primo grado dall’imputazione di porto di arma comune da sparo e condannato, per la sola detenzione; imputazione in relazione alla quale ha dedotto chWGIP avesse letto con maggiore attenzione le conversazioni intercettate non avrebbe applicato per tale reato alcuna misura, anche in considerazione della prognosi richiesta dall’art.275 cod.proc.pen. in ordine alla non applicabilità della misura maggiormente gravosa in presenza di una condanna contenibile nei tre anni di reclusione; ha quindi dedotto che – in relazione al reato per il quale era stata dichiarata la prescrizione – la Corte territoriale non aveva verificato se la misura era stata o meno applicata correttamente da parte del giudice della cautela, anche in relazione ai principi di proporzionalità e adeguatezza.
Il Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Risulta dagli atti richiamati dal giudice della riparazione, che il ricorrente è stato originariamente sottoposto alla misura cautelare di massimo rigore per i reati di associazione a delinquere di tipo mafioso e di detenzione e porto illegale di arma comune da sparo; venendo quindi, all’esito dei giudizi di merito e in forza di sentenza della Corte d’assiste di appello di Reggio Calabria, definitivamente prosciolto dal reato associativo, mentre per il reato ulteriore (derubricato in quello di detenzione di arma), per il quale in primo grado era stato condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione, era stato dichiarato di non doversi procedere per effetto di intervenuta prescrizione.
Va richiamata quindi la consolidata giurisprudenza di questa Sezione in base alla quale, nella materia della Lg riparazione per l’ingiusta detenzione,
ove il provvedimento restrittivo della libertà sia stato fondato su più contestazioni, il proscioglimento con formula non di merito anche da una sola di queste – sempreché autonomamente idonea a legittimare la compressione della libertà – impedisce il sorgere del diritto, irrilevante risultando il pieno proscioglimento dalle altre imputazioni; specificamente derivandone che non può essere riconosciuto l’indennizzo qualora rispetto ad una ovvero a più delle imputazioni originariamente contestate, la parte sia stata prosciolta per intervenuta prescrizione in relazione ad una fattispecie di per sé stessa legittimante l’emissione ovvero il mantenimento del titolo cautelare (ex plurimis, Sez. 4, n. 31393 del 18/04/2013, COGNOME, Rv. 257778; Sez. 4, n. 5621 del 16/10/2013, dep.2014, COGNOME, Rv. 258607; Sez. 4, n. 29623 del 14/10/2020, COGNOME, Rv. 279713) e ciò sempre che – sulla base del principio dettato da Sez. U, n. 4187 del 30/10/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 241856 – la durata della custodia cautelare sofferta sia inferiore alla pena astrattamente irrogabile per la fattispecie in relazione alla quale sia stata dichiarata la prescrizione.
Specificamente, nella parte motiva della citata Cass. 5261/2014, la Corte ha anche rilevato come tale interpretazione non si ponga in contrasto con l’intervento operato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 20/06/2008, n.219, la quale ha dichiarato l’illegittimità dell’art.314 cod.proc.pen. nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni “secondo quanto precisato in motivazione”.
Difatti, nella motivazione, il giudice delle leggi ha precisato che «questa sentenza, ha per oggetto la sola ipotesi, rilevante ai fini del giudizi a quo, in cui la pena definitivamente inflitta all’imputato, ovvero oggetto di una preclusione processuale che la sottragga a riforma nei successivi gradi di giudizio, risulti inferiore al periodo di custodia cautelare sofferto. Resta pertanto escluso il riconoscimento dell’indennizzo in fattispecie nelle quali la mancata corrispondenza tra detenzione cautelare e pena eseguita o eseguibile – se diversa da quella inflitta – consegua a vicende posteriori, connesse al reato o alla pena. In tali casi, infatti, si produce una situazione affatto diversa rispetto a quella che induce questa Corte a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen.»; derivandone che il dictum di tale sentenza ha l’effetto di assimilare, quanto al diritto all’indennizzo, la situazione del prosciolto o assolto nel merito a quella del condannato per la sola parte di custodia cautelare sofferta che soverchi la pena inflitta o che in astratto avrebbe potuto infliggersi.
CI
Ne deriva, sempre sulla base dell’impianto argomentativo della citata sentenza n.5261/2014, che «qualora l’imputato avesse voluto perseguire l’interesse della riparazione dell’intiero periodo di restrizione cautelare sofferto, in presenza di reato prescrittosi, avrebbe dovuto, rinunciando alla prescrizione, chiedere ed ottenere sentenza che, assolvendolo nel merito, al tempo stesso avrebbe conclamato l’ingiustizia della dell’intiera custodia cautelare».
Ne consegue che – nel caso di specie – attesa la sussistenza di un’ipotesi di proscioglimento per prescrizione in riferimento a una delle imputazioni poste alla, base del titolo cautelare e non avendo il ricorrente subìto un periodo di detenzione superiore rispetto alla misura della pena originariamente inflitta o comunque astrattamente irrogabile, non sussistono i presupposti per il riconoscimento del richiesto indennizzo.
Le ulteriori considerazioni contenute nel motivo di impugnazione e relative alla sussistenza – nel caso di specie – di una ipotesi di ingiustizia c.d. formale, in relazione al disposto dell’art.314, comma 2, cod.proc.pen., sono altresì manifestamente infondate.
Sul punto, va difatti ricordato che GLYPH ai fini della configurabilità dell’ingiustizia formale ex art. 314, comma 2, cod. proc. pen. – è necessario che l’illegittimità del provvedimento che ha disposto la misura cautelare, in quanto adottato o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., risulti accertata con decisione irrevocabile che non può provenire dal giudice della riparazione, il quale non è investito della questione, ma solo dal giudice cautelare, sollecitato tramite impugnazione, o dallo stesso giudice del merito (Sez. 4, n. 5455 del 23/01/2019, Cotza, Rv. 275022); decisione non ravvisabile nel caso di specie, nel quale la sussistenza delle condizioni per l’applicazione della misura sotto il profilo della gravità indiziaria era stata accertata da questa Corte con sentenza n.18535 del 14/03/2017 ed essendo venuto meno il titolo cautelare solo per effetto della dichiarazione di perdita di efficacia conseguente al superamento del relativo termine di fase.
D’altra parte, del tutto esulanti dall’area di questioni astrattamente sollevabili nel giudizio di riparazione, sono le considerazioni inerenti alla originaria violazione dei criteri di proporzionalità e adeguatezza in riferimento agli artt. 274 e 275 cod.proc.pen.; rilevando a tale proposito che, in ragione della tassativa formulazione del comma secondo dell’art. 314 cod. proc. pen., non sono idonee a fondare il diritto alla riparazione né la
violazione dell’art. 274 cod. proc. pen., relativo alle esigenze cautelari, l’inosservanza dei principi di adeguatezza e proporzionalità delle misure enunciati nel successivo art. 275, mentre invece tale diritto si configura so ove sussista una causa d’illegittimità enucleabile dall’art. 273 o dall’art. stesso codice (Sez. 6, n. 1614 del 16/04/1996, Longo, Rv. 204887).
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 1 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nell fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia propost il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa d inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 9 febbraio 2024 Il Consigliere estensore
Il P esidente/