Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26598 Anno 2025
l Presidente: COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26598 Anno 2025
Relatore: NOME
Data Udienza: 08/05/2025
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta da
SALVATORE DOVERE
– Presidente –
Sent. n. sez. 481/2025
NOME COGNOME
CC – 08/05/2025
NOME COGNOME
R.G.N. 8234/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Reggio Calabria il 04/02/1954
nei confronti di:
Ministero dell’Economia e delle Finanze
avverso l’ordinanza del 14/11/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto lÕannullamento dellÕordinanza impugnata;
Con ordinanza del 14 novembre 2024, la Corte di appello di Reggio Calabria ha rigettato la domanda formulata da NOME COGNOME per la riparazione dovuta ad ingiusta detenzione, in ipotesi dipesa dallÕemanazione di un ordine di esecuzione divenuto illegittimo per effetto della applicazione dellÕindulto.
1.1. Più in particolare, i giudici della riparazione hanno affermato che lÕordine di esecuzione, emesso nei confronti di NOME COGNOME non potesse ritenersi illegittimo od arbitrario, secondo le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di legittimitˆ: la mancata corrispondenza tra pena inflitta e pena eseguita è dipesa infatti da vicende successive alla condanna.
Tali vicende, pur avendo determinando una discrasia tra pena inflitta e pena espiata, non integrano un profilo di ingiustizia indennizzabile ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen.
Il riconoscimento del beneficio dellÕindulto, avvenuto solo a seguito della opposizione, era infatti dipeso da una diversa valutazione del tempo di commissione del reato.
Avverso lÕordinanza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con un unico motivo deduce violazione della legge penale processuale e vizio della motivazione, ai sensi dellÕart. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.
I giudici della riparazione, si osserva, hanno malamente applicato i principi ormai costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimitˆ, secondo i quali il diritto all’equa riparazione sussiste anche per la detenzione patita a causa di un erroneo ordine di esecuzione, emesso senza tener conto dell’incidenza dell’indulto (anche se non ancora applicato dal giudice dell’esecuzione) sull’intera pena da eseguire.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
Il ricorso è fondato.
1.1. Allo scrutinio dei motivi è utile premettere in fatto che NOME COGNOME fu tratto in arresto in data 24 febbraio 2020, a seguito di un ordine di esecuzione
emesso dalla Procura generale, dovendo espiare la pena di anni 6, mesi 2 e giorni 16, con termine al 10 maggio 2026.
Il fine pena venne quindi anticipato al 9 aprile 2024, poichŽ la Corte di appello riconobbe il vincolo della continuazione tra taluni dei reati per i quali la condanna era in esecuzione.
Successivamente fu avanzata istanza di concessione dellÕindulto, prima rigettata (con ordinanza del 19 maggio 2021), poi accolta dalla Corte di appello, su opposizione del ricorrente, con ordinanza del 3 dicembre 2021.
SicchŽ, per effetto della applicazione dellÕindulto nella massima estensione, in data 7 dicembre 2021 venne emesso un nuovo ordine di esecuzione, in cui si specific˜ che la pena doveva ritenersi (giˆ) interamente espiata alla data del 23 febbraio 2021.
NOME COGNOME quindi, ha dedotto lÕingiustizia della detenzione patita in eccesso, pari a mesi 9 e giorni 12 (espiata in parte in carcere ed in parte in detenzione domiciliare).
In diritto si osserva che con la sentenza n. 310 del 1996, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 314 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede il diritto all’equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. e per violazione dell’art. 5 della Convenzione E.D.U., che prevede il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta.
Dopo tale pronuncia la Corte di cassazione ha inizialmente affermato che il diritto alla riparazione non è configurabile ove la mancata corrispondenza tra pena inflitta e pena eseguita sia determinata da vicende, successive alla condanna, che riguardano la determinazione della pena eseguibile (Sez. 4, n. 3382 del 22/12/2016, dep. 2017, Riva, Rv. 268958 – 01; n. 4240 del 16/12/2016, dep. 2017, Laratta, Rv. 269168 – 01; Sez. 4, n. 40949 del 23/04/2015, DÕAgui, Rv. 264708 – 01).
La giurisprudenza successiva ha poi esteso il diritto alla riparazione anche ai casi in cui l’ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all’esecuzione della pena, purchŽ non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell’interessato che sia stato concausa di errori o ritardi nell’emissione del nuovo ordine di esecuzione recante la corretta data del termine di espiazione della pena (Sez. 4, n. 17118 del 14/01/2021, COGNOME Rv. 281151 Ñ 01; Sez. 4 n. 57203 del 21/9/2017, COGNOME, Rv. 271689 – 01, che richiama C.E.D.U., 24 marzo 2015, Messina c. Italia, n. 39824/07, secondo cui è ingiusta una detenzione che, per effetto della riconosciuta liberazione anticipata, sia
rimasta ), con la precisazione che la detenzione legittimante il diritto alla riparazione sussiste solo qualora si verifichi violazione di legge da parte dell’autoritˆ procedente; non, invece, qualora la discrasia tra pena definitiva e pena irrogata consegua all’esercizio di un potere discrezionale (Sez. 4, n. 26951 del 20/06/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 38481 del 17/09/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 25092 del 25/05/2021, COGNOME, Rv. 281735 Ñ 01, che richiama Corte EDU 10/07/2003, Grava c. Italia, Corte EDU 2/03/2006, COGNOME c. Italia, Corte EDU 17/06/2008, NOME COGNOME c. Turchia e Corte EDU 21/10/2013, Del Rio Prada c. Spagna).
Questo perchŽ esiste una differenza tra la pena definita da pronuncia irrevocabile e la pena come risultante dagli interventi successivi dellÕautoritˆ giudiziaria sul trattamento sanzionatorio (Sez. 4, COGNOME, cit., in motivazione; successivamente, Sez. 4, n. 37234 del 28/09/2022, COGNOME, non massimata).
Proprio per tale ragione, ad esempio, è stato escluso il diritto alla riparazione nel caso in cui la diversa entitˆ della pena da eseguire non è conseguente a un ordine di esecuzione illegittimo o errato, bens’ all’esercizio del potere discrezionale da parte del giudice dell’esecuzione, che riconosce il vincolo della continuazione tra i reati separatamente giudicati (Sez. 4, Cimmino, cit.).
2.1. Alla luce di tali coordinate interpretative, questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide ed intende ribadire, ha giˆ ritenuto riparabile la detenzione patita per effetto di un ordine di esecuzione relativo a pena estinta per indulto, anche se non ancora applicato dal giudice di esecuzione (Sez. 4, n. 25941 del 03/03/2021, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 12222 del 24/11/2016, dep. 2017, Parentela, non mass.; Sez. 4, n. 30492 del 12/06/2014, Dispensa, Rv. 262240 Ð 01; Sez. 4, n. 30493 del 12/06/2014, COGNOME, non mass.).
Più in particolare, nelle sentenze Dispensa e COGNOME Ð richiamate anche dal ricorrente – è stato sottolineato che è onere del pubblico ministero che emette l’ordine di esecuzione di tener conto dell’eventuale incidenza dell’indulto sull’entitˆ della pena, con conseguente sospensione provvisoria dell’esecuzione qualora, all’esito del calcolo cos’ effettuato, la pena residua non superi i limiti previsti dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., ovvero, risulti del tutto estinta.
In entrambe le pronunce appena richiamate il pubblico ministero, infatti, aveva determinato erroneamente la data di cessazione della cessazione della permanenza del reato associativo, ritenuta coincidente con la sentenza di primo grado; il giudice dellÕesecuzione successivamente adito, invece, aveva individuato la cessazione della permanenza in una data diversa, anteriore all’entrata in vigore della legge che riconosceva l’indulto, la cui applicazione, quindi, aveva determinato lÕillegittimitˆ dellÕordine di esecuzione.
2.2. Osserva il Collegio che, nel caso in esame, i giudici della riparazione non si sono attenuti ai principi appena richiamati.
2.2.1. Se è vero che spetta al giudice dell’esecuzione la valutazione dellÕapplicabilitˆ o meno dellÕindulto, non pu˜ per ci˜ solo escludersi un’anticipata incidenza del provvedimento che riconosce il beneficio anche – e soprattutto – ai fini di cui all’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.
DÕaltra parte, l’art. 672, comma 3, cod. proc. pen., consente al pubblico ministero che cura l’esecuzione della sentenza di condanna di disporre provvisoriamente la liberazione del condannato detenuto prima che essa sia definitivamente ordinata con il provvedimento che applica l’amnistia o l’indulto.
DallÕanalisi di tali previsioni normative, e delle ragioni che le ispirano, è stata tratta la conclusione per cui il pubblico ministero, nell’emettere l’ordine di esecuzione per pena detentiva e ai fini della determinazione della pena ancora da espiare, deve tenere conto del beneficio dell’indulto, anche se non ancora concesso dal giudice dell’esecuzione, ed eventualmente sospenderne provvisoriamente l’esecuzione qualora all’esito del calcolo cos’ effettuato la stessa non superi i limiti previsti dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 39285 del 13/10/2010, Acerra, Rv. 248840 Ð 01; Sez. 1, n. 40548 del 07/10/2009, Attanasio, Rv. 245357 Ð 01; Sez. 1, n. 26203 del 17/06/2009, Cortina, Rv. 243825 Ð 01; Sez. 1, n. 8430 del 10/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 243195 Ð 01; Sez. 1, n. 44323 del 12/11/2008, COGNOME, Rv. 242463 Ð 01).
Tale conclusione è coerente, osserva il Collegio, con la generale attribuzione al pubblico ministero dell’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali (e tra questi, le sentenze di condanna a pena detentiva), per come si desume chiaramente dagli artt. 655 e ss. cod. proc. pen.
Quale organo della esecuzione, cui occorre provvedere dÕufficio, il pubblico ministero deve quindi curare lÕattuazione del titolo compiendo tutti gli accertamenti necessari per poter giungere, con riguardo alle pene detentive, ad una corretta determinazione degli ordini di cui all’art. 656 cod. proc. pen.
Tra questi accertamenti rientra, secondo un consolidato orientamento di legittimitˆ, anche lÕattivitˆ interpretativa del titolo (cos’, Sez. 1, n. 41325 del 07/10/2009, Cento, Rv. 245060 Ð 01; conf., Sez. 1, n. 43500 del 24/11/2010, Pennica, Rv. 248988 Ð 01), necessaria affinchŽ lÕesecuzione rifletta lÕesatto contenuto della volontˆ giurisdizionale in esso espressa.
2.2.2. Ci˜ posto, la Corte della riparazione non poteva disattendere la domanda sottolineando semplicemente che la detenzione di cui si chiede la riparazione è dipesa da vicende successive alla condanna, con riferimento allÕincidente di esecuzione ed alla conseguente opposizione.
Piuttosto, ed in applicazione dei principi finora richiamati, avrebbe dovuto verificare se il pubblico ministero, nel compiere le valutazioni sottese alla messa in esecuzione del titolo, e quindi anche ai fini di cui allÕart. 656 cod. proc. pen., sia incorso o meno in una violazione di legge, e che quindi la detenzione in eccesso sia dipesa o meno dall’esercizio di unÕattivitˆ di carattere discrezionale.
LÕindividuazione del tempo del commesso reato pu˜ infatti dipendere da una complessa attivitˆ di accertamento, in fatto ed in diritto, e dunque di interpretazione, che ove riscontrata non da luogo ad un errore riparabile.
Pertanto, il giudice del rinvio dovrˆ verificare se il pubblico ministero, nel determinare il tempo del commesso reato, e quindi nel non sospendere lÕesecuzione, lo ha fatto in ragione di una violazione di legge o, piuttosto, nellÕesercizio di quella attivitˆ di carattere discrezionale che gli è riconosciuta dallÕordinamento e che è tenuto a compiere quale organo dellÕesecuzione.
2.3. Osserva infine il Collegio che il giudice del rinvio dovrˆ pure verificare se, nel caso in esame, è riscontrabile un ritardo nella richiesta di applicazione dellÕindulto (il ricorrente fa riferimento ad una istanza del 1 marzo 2021: p. 1); dovrˆ verificare, in altre parole, se il comportamento del condannato abbia concorso – dolosamente o colposamente – a determinare il ritardo nella emissione di un nuovo ordine di esecuzione recante la (corretta) data della fine dell’espiazione della pena (Sez. 4, COGNOME, cit.; Sez. 4, COGNOME, cit.; Sez. 4, COGNOME, cit., in motivazione).
LÕordinanza deve quindi essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria, che si atterrˆ ai principi indicati.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria.
Cos’ deciso in Roma, 8 maggio 2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME