Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1976 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1976 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CASERTA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/10/2023 della CORTE APP.SEZ.MINORENNI di NAPOLI
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, con le quali si è chiesto l’annullamento con rinvio ad altro giudice dell’ordinanza impugnata per nuovo esame.
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Napoli ha rigettato la richiesta di riconoscimento di un indennizzo a titolo di riparazione per ingiusta detenzione, presentata nell’interesse di COGNOME NOME, in relazione alla privazione della libertà da costui subita in forza di un’ordinanza che ne aveva disposto gli arresti domiciliari, emessa dal GIP del Tribunale di Napoli, titolo non riemesso però dal giudice competente (GIP del Tribunale di Avellino) che lo aveva scarcerato, nell’ambito di un procedimento, nel quale era stato chiamato a rispondere di concorso in turbata libertà degli incanti, reato dal quale era stato prosciolto da GUP. La Corte della riparazione, precisato che, nella specie, si versava in ipotesi di ingiustizia sostanziale del titolo, non essendo sata riconosciuta in via definitiva l’insussistenza dei presupposti di applicabilità della misura, h ritenuto un comportamento gravemente colposo del richiedente, ricavandolo da una circostanza rimasta accertata nel procedimento. Nella specie, alcune conversazioni intercettate avevano disvelato notizie inerenti a una gara d’appalto pubblica, alla quale erano interessati soggetti che vantavano conoscenze all’interno dell’ente appaltante e non erano sgraditi alla cosca camorristica egemone. Quanto al COGNOME, titolare di un’impresa che aveva preso parta alla gara (poi non aggiudicatasi per pochi decimi di differenza rispetto al maggior ribasso), egli aveva colloquiato con COGNOME NOME e COGNOME NOME, soggetti interessati alla gara tramite l’impresa del RAGIONE_SOCIALE e il dialogo, pur non avendo fornito la prova che l’istante avesse ottenuto le informazioni incriminanti (cioè il dato sicuro del numero di imprese partecipanti, ma soprattutto, della percentuale di ribasso), aveva però disvelato la sua consapevolezza circa la irregolarità della condotta degli interlocutori, egli avendo formulato considerazioni in ordine alla strategia migliore per aggiudicarsi l’appalto, affermando l’utilità di conoscere la percentuale di ribasso piuttosto che il numero dei partecipanti e il rischio che si correva a procedere in tal modo, pur considerando tale modo di agire necessario per guadagnare. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Inoltre, i giudici della riparazione hanno valorizzato la circostanza che il COGNOME, in sede di interrogatorio di garanzia, aveva mentito: egli, infatti, aveva affermato di aver discusso solo del numero dei partecipanti, ciò che il tenore del dialogo smentiva, egli avendo invitato i COGNOME a farsi dire dal
proprio contatto interno all’ente appaltante (un dipendente comunale) quale fosse il ribasso offerto, piuttosto che il numero dei partecipanti.
Tale COGNOME comportamento COGNOME è COGNOME stato COGNOME considerato COGNOME macroscopicamente imprudente, atteso che il COGNOME era in rapporti di affari con i suoi interlocutori, come dal medesimo pacificamente ammesso, oltre che causalmente collegato all’emissione del titolo, avendo l’istante contributo con tale condotta a configurare gli estremi del suo concorso morale nella turbativa d’asta che avrebbe dovuto realizzarsi proprio procacciandosi le informazioni segrete delle quali i tre avevano discusso, avendo per di più tenuto il comportamento mendace nei termini sopra richiamati.
2. La difesa ha proposto ricorso, formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto inosservanza e erronea applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen. e vizio di omessa motivazione in ordine alla rilevanza causale della ritenuta condotta ostativa. La difesa muove dal presupposto che, nella specie, si versi in ipotesi di ingiustizia formale del titolo, evidenzian pertanto che il comportamento ostativo è stato erroneamente agganciato agli stessi elementi dei quali il giudice della cautela aveva disposto. Nella specie, la misura emessa dal GIP del Tribunale di Napoli non era stata riemessa dal GIP del Tribunale di Avellino, il quale non aveva ritenuto sussistente il quadro gravamente indiziario di cui all’art. 273, cod. proc. pen. e, sulla scorta de medesimi elementi, poi, il GUP aveva pronunciato sentenza di proscioglimento.
Con il secondo motivo, ha dedotto inosservanza e erronea applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen. e vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta esistenza della causa ostativa alla riparazione. Nella specie, la difesa ha contestato la valutazione del significato attribuito al dialogo al quale aveva partecipato il NOME, offrendone una diversa lettura.
L’Avvocatura generale dello Stato, per il Ministero resistente, ha depositato memoria scritta, con la quale ha chiesto, in via pregiudiziale, la declaratoria di inammissibilità COGNOME del COGNOME ricorso; in subordine, il suo rigetto unitamente ad ogni altra richiesta di parte ricorrente, con ogni conseguente statuizione per ciò che concerne spese, diritti ed onorari del giudizio.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Considerato in diritto
1. Il ricorso va accolto nei termini che si vanno a esporre.
2. Il primo motivo è fondato.
Nel caso all’esame, va intanto precisato che il NOME ha subito una carcerazione preventiva domiciliare in forza di un primo titolo che, tuttavia, non è stato riemesso dal GIP competente, il quale ha ritenuto insussistente un quadro di gravità indiziaria a sostegno della medesima domanda cautelare.
La Corte della riparazione, in maniera del tutto apodittica, ha affermato che la fattispecie al vaglio non rientrerebbe tra quelle previste dall’art. 314 comma 2, cod. proc pen., semplicemente perché il primo titolo non era stato annullato per difetto dei presupposti di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., omettendo, tuttavia, ogni approfondimento in ordine all’intervento del giudice cautelare competente a norma dell’art. 27 cod. proc. pen. il quale, viceversa, aveva ritenuto proprio il difetto di quei presupposti.
Com’è noto, si ha ingiustizia formale (o illegittimità formale) del titol cautelare ogni qual volta sia accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero, al momento dell’adozione o del mantenimento, le condizioni di cui agli artt. 273-280 cod.proc. pen. (mancanza di gravi indizi, presenza di cause di giustificazione, di non punibilità o di fatti estintivi, limiti di pena).
Quanto al provvedimento che accerti la illegittimità formale del titolo, superato definitivamente l’indirizzo per il quale era necessaria una decisione irrevocabile in fase (o comunque, come nel giudizio direttissimo, con valenza anche) cautelare, si è ormai consolidato quello opposto, per il quale l’interpretazione della disposizione di cui al secondo comma dell’art. 314 cod. proc. pen. ne estende l’ambito applicativo sia ai casi oggetto di decisioni definitive favorevoli all’indagato assunte in sede di procedimento cautelare de libertate, sia a quelli nei quali l’insussistenza dei presupposi per l’applicazione della custodia cautelare sia stata accertata anche all’esito del giudizio cognitivo di merito. A tale conclusione si è giunti considerando che il diritto all riparazione per ingiusta detenzione non può trovare ostacolo nella legittimità allo stato degli atti del provvedimento applicativo della misura, non essendo neppure richiesto che la detenzione sia conseguenza di una condotta illecita, rilevando esclusivamente l’obiettiva ingiustizia della privazione della libertà personale (Sez. U, n. 32383 del 27/5/2010, COGNOME, in motivazione).
L’imponente opera di riscrittura della norma di cui all’art. 314, cod. proc. pen. da parte del giudice dellle leggi, del resto, ha costituito punto d
forza della successiva interpretazione estensiva da parte della giurisprudenza di legittimità che ha via via riconosciuto il diritto anche in ipotesi nelle q l’insussistenza delle condizioni di applicabilità del titolo non fosse sta valutata ex ante, ma accertata ex post sulla base di elementi acquisiti successivamente al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo e dello svolgimento dello stesso giudizio incidentale cautelare (in motivazione Sez. U, D’COGNOME cit.). Proprio muovendo da tale principio, si è ricondotto a un’ipotesi di ingiustizia formale, per esempio, il caso di una misura cautelare applicata in difetto di una condizione di procedibilità, la cui necessità sia stat accertata soltanto all’esito del giudizio di merito in ragione della divers qualificazione attribuita ai fatti rispetto a quella ritenuta nel corso del giudi cautelare (sez. 4 n. 8869 del 22/01/2007, COGNOME, Rv. 240332; n. 44596 del 16/4/2009, COGNOME, Rv. 245437; n. 43458 del 15/10/2013, Ta/lento, Rv. 257194; n. 39535 del 29/5/2014, COGNOME, Rv. 261408; sez. 4, n. 29340 del 22/5/2018, COGNOME, Rv. 273089). Pertanto, deve ribadirsi che la nozione di “decisione irrevocabile” di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen. comprende anche quella emessa all’esito del giudizio di merito, sempre che, naturalmente, da essa si evinca la mancanza, sin dall’origine, delle condizioni di applicabilità della misura.
3. Poste tali coordinate in diritto, la decisione impugnata se ne è discostata in maniera sostanziale: i giudici della riparazione, infatti, hanno ritenuto la ricorrenza di un’ipotesi di ingiusta sostanziale del titolo sulla s base della mancanza di un provvedimento definitivo di annullamento in fase cautelare, senza tuttavia scrutinare la valenza, sotto il medesimo profilo, del provvedimento adottato dal giudice per le indagini preliminari competente, il quale ha rigettato la domanda cautelare proprio per difetto delle condizioni di applicabilità della misura e senza neppure considerare la stretta connessione esistente, in ipotesi di identità della domanda cautelare, tra il provvedimento adottato d’urgenza dal giudice che si dichiari incompel:ente e quello da adottarsi dal giudice competente ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 27 co proc. pen.
In conclusione, la sola circostanza che il titolo restrittivo non sia stat revocato in fase cautelare non è di per sé idonea a sorreggere le apodittiche conclusioni rassegnate dal giudice della riparazione, il quale nulla ha affermato in merito alle ragioni e alla piattaforma indiziaria, alle stregua delle qtiali il competente ha rigettato l’originaria domanda cautelare.
Una volta effettuato tale scrutinio, spetterà al giudice della riparazione verificare poi se gli elementi a sostegno della domanda cautelare fossero
rimasti invariati, anche ai fini del successivo giudizio sulla sussistenza o meno della condizione negativa di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. poiché, anche nel caso di ingiustizia formale ai sensi della comma 2 della norma citata, deve essere verificata la ricorrenza di un comportamento ostativo all’insorgenza del diritto azionato, sebbene esso non potrà concretamente operare quale presupposto negativo ove l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione (Sez. U, n. 32383 del 27/5/2010, COGNOME, Rv. 247663, in cui la Corte ha operato un netto distinguo rispetto al meccanismo causale che governa l’indicata condizione ostativa nelle due distinte ipotesi di ingiustizia; sez. 4, n. 22103 de 21/3/2019, COGNOME, Rv. 276091-01, in cui si è pure precisato che, in tale ipotesi, il giudice della riparazione non può valutare – nemmeno ai fini della eventuale riduzione dell’entità dell’indennizzo – la condotta colposa lieve; n. 5452 del 11/1/2019, COGNOME, Rv. 275021-01).
L’ordinanza deve essere, quindi, annullata con rinvio per nuovo esame sul punto, in accoglimento del primo motivo, ritenuto l’assorbimento del secondo e rimessa al giudice del rinvio ogni valutazione in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Napoli cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Deciso il 9 gennaio 2024