Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6281 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6281 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE contro NOME COGNOME nato a NAPOLI il 18/11/1987
avverso l’ordinanza del 18/01/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sulle conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Roma con ordinanza del 18 gennaio – 21 febbraio 2024 ha accolto la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell’interesse di NOME COGNOME che è stato ristretto agli arresti domiciliari per 337 giorni (dal 3 novembre 2016 al 6 ottobre 2017) in relazione all’accusa di corruzione, da cui è stato assolto, per insussistenza del fatto, dal Tribunale di Roma con sentenza del 16 luglio 2021, divenuta irrevocabile; in conseguenza è stata liquidata al richiedente la somma ritenuta di giustizia.
Ricorre per la cassazione dell’ordinanza il Ministero dell’economia e finanze, tramite Avvocatura dello Stato, affidandosi ad un solo motivo con il quale, ripercorsi gli antefatti (accuse elevate dal P.M.; condotta difensiva tenuta in sede di interrogatorio; ragione della decisione assolutoria del Tribunale), denunzia promiscuamente violazione di legge (art. 314, comma 1, cod. proc. pen.) e difetto di motivazione, che sarebbe gravemente illogica.
Richiamati plurimi precedenti di legittimità stimati pertinenti, ritiene ricorrente avere tenuto l’imputato una condotta connivente, consistita in sostanza nel “non vedere” (così alla p. 9 dell’impugnazione), condotta che, seppure penalmente non punibile, può costituire colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla equa riparazione, come puntualizzato dalla S.C.
Tale connivenza emergerebbe da quanto accertato in sentenza, ossia da «favori economici sospetti, debiti altrui pagati, beni messi a disposizione. Nella contrattazione con soggetti pubblici è massima la cautela che deve osservarsi nello spostamento a qualunque titolo, non ufficiale, di trasferimenti patrimoniali» (così alla p. 11 del ricorso). Infatti – rammenta l’Avvocatura erariale – «nella ordinanza della Corte romana si dà atto che: pur assenti silenzio e mendacio nell’interrogatorio dell’ing. COGNOME, le condotte del medesimo, comunque, si inscrivevano in attività potenzialmente sospette se riguardate nel loro articolarsi sistemico, consistenti: A) nel far redigere a COGNOME, ingegnere della Stim, società appaltatrice della RAGIONE_SOCIALE per lavori nella struttura ospedaliera, una relazione che l’ing. COGNOME accludeva agli atti del procedimento (p. 4, 2° capoverso e seguenti ordinanza della Corte romana); B) era assunto come stagista presso la struttura pubblica il Salemme, in realtà dipendente della Stim; C) pagava in uno col sig. COGNOME un contratto di locazione per un appartamento in INDIRIZZO a partire dall’anno 2014 i cui canoni, per un importo complessivo di 2.400 euro al mese, venivano rimborsati nella misura di 2.000 euro al mese dalla Stim» (così alle pp. 8-9 dell’impugnazione).
Si chiede, dunque, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Con memoria del 2 ottobre 2024 il Difensore di NOME COGNOME ha chiesto il rigetto ovvero la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato e deve essere accolto, per le seguenti ragioni.
2.Appare opportuno premettere che l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione è esclusa, secondo l’espresso disposto dell’art. 314 cod. proc. pen., qualora l’istante «vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave», con condotte al riguardo apprezzabili poste in essere sia anteriormente che successivamente all’insorgere dello stato detentivo e, quindi, alla privazione della libertà (Cass., Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, COGNOME e altri, Rv. 203636).
Compito del giudice di merito è la individuazione, ove ne ricorrano gli estremi, di eventuali condotte dolose o colpose concausative della privazione della libertà tenendo conto che: «dolosa deve giudicarsi non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali (indipendentemente dal fatto di confliggere o meno con una prescrizione di legge), difficile da ipotizzare in fattispecie del genere, ma anche la condotta consapevole e volontaria che, valutata con il parametro dell’id quod plerumque accidit, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo», sicché l’essenza del dolo sta, appunto, «nella volontarietà e consapevolezza della condotta con riferimento all’evento voluto, non nella valutazione dei relativi esiti, circa i quali non rileva il giudizio del singolo, ma quello del giudice de procedimento riparatorio» (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, COGNOME, cit.). Il concetto e l’area applicativa della colpa vanno ricavati dall’art. 43 c pen., secondo cui «è colposo il comportamento cosciente e volontario, al quale, senza volerne e senza rappresentarsene gli effetti (anche se adottando l’ordinaria diligenza essi si sarebbero potuti prevedere), consegue un effetto idoneo a trarre in errore l’organo giudiziario»: in tal caso, la condotta de soggetto, connotata da profili di colpa volta per volta rinvenibili (negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti etc.) «pone in essere una situazione tale da dare una non voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria con l’adozione del provvedimento cautelare, ovvero omessa revoca della privazione della libertà» (Sez. U, n. 43 del
19/12/1995, dep. 1996, COGNOME, cit.). In tale ultimo caso la colpa deve essere “grave”, come esige la norma, «connotata, cioè, da macroscopica, evidente negligenza, imprudenza, trascuratezza, ecc., tale da superare ogni canone di comune buon senso» (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, COGNOME, cit.).
Posto che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l’indennizzo per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che abbiano «dato causa» o che abbiano «concorso a dar causa» all’instaurazione dello stato privativo della libertà, sicché è ineludibile l’accertamento del rapporto causale tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà, per escludere il diritto in questione è necessario che il giudice della riparazione pervenga alla sua decisione in base a dati di fatto certi, cioè elementi “accertati o non negati” (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, COGNOME, cit.; in conformità, tra le Sezioni semplici, v. Sez. 4, n. 3895 del 14/12/2017, dep. 2018, P, Rv. 271739; Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867), con esclusione, dunque, di dati meramente congetturali.
2.1. Si è precisato che la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso, ed autonomo, rispetto a quello del giudice della cognizione penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale: infatti, tale ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di un’ipotesi di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all’imputato; il primo, invece, deve valutare non già non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma «se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” Il rapporto tr giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al presupposto dell’altro spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l’ausilio dei criteri propri all’azione esercitata dalla parte» (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, cit.; cfr., tra le Sezioni semplici, Sez. 4, n. 3895 del 14/12/2017, dep. 2018, P, cit.; Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867; Sez. 4, n. 1904 del 11/06/1999, Murina e altro, Rv. 214252; Sez. 4, n. 2083 del 24/06/1998, Nemala, Rv. 212114; nello stesso senso, v. anche Sez. 4, n. 3895 del 14/12/2017, dep. 2018. P, Rv. 271739).
Il giudice della riparazione deve seguire un iter logico-motivazionale proprio ed autonomo rispetto a quello del processo penale; costituiscono compito del giudice del merito la ricerca, la selezione e la valutazione delle circostanze di fatto idonee ad integrare o ad escludere la sussistenza delle condizioni preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto il profilo appunto, del dolo o della colpa grave. In particolare, «In tema di riparazione
per l’ingiusta detenzione, il giudice della riparazione, per decidere se l’imputato vi abbia dato causa per dolo o colpa grave, deve valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il tito cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione» (così Sez. 4, n. 41396 del 15/09/2016, Piccolo, Rv. 268238).
Della decisione sulla ingiusta detenzione il giudice del merito ha l’obbligo di dare adeguata ed esaustiva motivazione, strutturata secondo le corrette regole della logica: infatti, il mancato assolvimento di tale obbligo in termini di adeguatezza, congruità e logicità è censurabile in cassazione.
3.Tanto premesso, l’ordinanza impugnata, come sottolineato nel ricorso, alle pp. 5-7 indica taluni comportamenti non lineari, tali da far nascere – in tesi di parte ricorrente – il sospetto circa la illiceità dell’agire di NOME COGNOME ma nel prosieguo, con motivazione che risulta non logica (p. 7), ritiene di potere “superare” con poche battute le riferite emergenze, sottolineando che il Tribunale nella sentenza assolutoria ha ritenuto mancante il riscontro del rapporto sinallagmatico tra l’asservimento della funzione e le utilità conseguite secondo l’accusa (punto n. 36 della motivazione) ed inesistente la reticenza o il mendacio di COGNOME (punto n. 37).
Il ricorso dell’Avvocatura, in effetti, “coglie” il punto della avvenu sovrapposizione nel caso di specie tra la valutazione del Tribunale e quella della Corte territoriale, mentre, come si è detto (sub n. 2.1 del “considerato in diritto”) e come appare opportuno ribadire, quella del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello del giudice della cognizione penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale.
Appare, in conseguenza, necessario che la Corte di appello si misuri con il tema della affermata esistenza di possibili condotte dell’imputato colposamente concausative della restrizione della libertà, con precipuo, anche se non esclusivo, riferimento alle emergenze istruttorie rappresentate da plurimi atti contrari ai doveri di ufficio posti in essere dall’imputato (atti di cui si parla alle pp. 60 della sentenza assolutoria, richiamati nel ricorso del Ministero alle pp. 8-9): e ciò onde valutarne la eventuale valenza concausativa rispetto alla restrizione della libertà, in uno con l’errore dell’A.G.
4.Consegue dalle considerazioni svolte l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma.
Così deciso il 16/10/2024.