Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 672 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 672 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Ktt , L: Ate/tà0 C:W ( é C”. OGul, ( C, j2, DIA22, PAPA43-c , NOME nato a LUCERA il 10/10/1983
avverso l’ordinanza del 21/09/2023 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del PG, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Bari ha parzialmente accolto la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da NOME COGNOME in relazione al periodo (pari a complessivi 183 giorni) durante il quale il ricorrente era stato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari (dal 20/02/2016 al 20/08/2016, data in cui la misura era stata sostituita con quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), in ordine a un capo di imputazione provvisorio ipotizzante il reato previsto dagli artt. 81, 110 e 629 cod.pen., in riferimento all’art.628, comma 2, cod.pen., dal quale lo stesso istante era poi stato assolto dal Tribunale di Foggia con sentenza del 12/06/2018, divenuta irrevocabile il 26/10/2018.
La Corte d’appello, quale giudice adito ai sensi dell’art.315 cod.proc.pen., ha ritenuto che sussistesse il diritto al riconoscimento dell’indennizzo, non emergendo dagli atti la dimostrazione in ordine a un comportamento dell’istante caratterizzato da dolo o colpa grave,COGNOME in riferimento alla valutazione del Tribunale che aveva ritenuto che l’imputato avesse assunto il ruolo di mero testimone rispetto all’azione estorsiva posta in essere dal coimputato.
In punto di quantificazione dell’indennizzo, la Corte territoriale ha fatto riferimento al criterio aritmetico, riconoscendo un importo di C 117,00 per ogni giorno trascorso in stato di restrizione cautelare e aggiungendo – a titolo di personalizzazione del danno in riferimento al fattore rappresentato dall’incensuratezza del richiedente – la somma di C 25,00 giornalieri, per un importo finale di C 25.986,00.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Economia e della Finanze, articolando quattro motivi di impugnazione.
Con il primo motivo di impugnazione ha dedotto la violazione di cui all’art.606, comma 1, lett.b) e c), cod.proc.pen., per non avere la Corte territoriale tenuto conto – come dimostrato dalla stringatezza delle argomentazioni spese in punto di an della pretesa – della memoria difensiva depositata nel corso del precedente grado di giudizio; come peraltro desumibile dal punto relativo alla regolazione delle spese di lite, in cui la Corte aveva erroneamente dato atto della mancata opposizione dell’hmministrazione all’accoglimento dell’istanza.
Con il secondo motivo di impugnazione, ha dedotto la violazione e falsa applicazione – in relazione all’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen.
dell’art.314 cod.proc.pen., attesa la motivazione carente, insufficiente, manifestamente illogica o contraddittoria circa l’insussistenza dell’elemento ostativo rappresentato dal dolo o dalla colpa grave del richiedente.
Ha specificamente dedotto che la Corte non aveva tenuto in alcun conto, nella motivazione, degli elementi fattuali rappresentati dalle ambigue frequentazioni del ricorrente con NOME COGNOME destinatario di plurime contestazioni di condotte estorsive e con il quale l’istante aveva intrattenuto svariati contatti telefonici finalizzati alla spartizione delle zone per la vendita ambulante di libri, gadget e articoli per ragazzi; elementi di entità e rilievo tale da poter essere posti in diretto rapporto sinergico con l’adozione della misura cautelare; sottolineando altresì che adeguata valenza concausale doveva essere attribuita alla strategia processuale del ricorrente, che in sede di interrogatorio di garanzia si era avvalso della facoltà di non rispondere.
Con il terzo motivo di ricorso ( è stata dedotta – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.314 cod.proc.pen. e degli artt. 1227 e 2056 cod.civ., oltre all’omessa motivazione sul punto.
Ha dedotto che, nella quantificazione dell’indennizzo, la Corte territoriale avrebbe comunque, quanto meno, dovuto operare una commisurazione del medesimo sulla base della riconosciuta sussistenza della colpa lieve, con conseguente diminuzione della somma riconosciuta.
Con il quarto motivo ha chiesto che, in caso di accoglimento del ricorso e in applicazione del principio di soccombenza, lo COGNOME fosse condannato al pagamento integrale delle spese di lite anche del precedente grado.
Il Procuratore generale ha depositato memoria scritta nella quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso e il conseguente annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
In ordine al primo motivo di ricorso, va ricordato che – in riferimento al disposto dell’art.121 cod.proc.pen. – l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive in quanto devono essere attentamente considerate dal giudice cui vengono
rivolte (Sez. 3, n. 5075 del 13/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272009; Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, COGNOME, Rv. 279578, tra le altre), fermo restando che la parte che deduce l’omessa valutazione di memorie difensive ha l’onere di indicare, pena la genericità del motivo di impugnazione, l’argomento decisivo per la ricostruzione del fatto contenuto nelle memorie e non valutato dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019, COGNOME, Rv. 276511).
3. Il relativo motivo si salda quindi, logicamente, con l’esame del secondo motivo di ricorso, nel quale il ricorrente ha dedotto la carenza motivazionale del provvedimento impugnato per non avere preso in esame le argomentazioni analiticamente spiegate nella suddetta memoria difensiva e inerenti alla sussistenza del presupposto ostativo rappresentato dal dolo o dalla colpa grave del richiedente.
Il motivo è fondato.
Deve quindi rilevarsi che questa Corte di legittimità ha da tempo chiarito che, in tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, costituisce causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.) e che l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (Sez. 4, n. 34181 del 5/11/2002 dep. 2003, COGNOME, Rv. 226004; Sez. 4, n. 6880 del 26/01/2021, Rv. 280543).
Già in precedenza, peraltro, si era rilevato che l’assenza di siffatta causa costituisce una condizione dell’azione che, come tale, va verificata dal giudice ) indipendentemente dalla deduzione della parte (Sez. 4, n. 1558 del 18/12/1993, Legnaro, Rv. 197378).
Va ricordato, in proposito, che per condizioni dell’azione si intendono le condizioni necessarie perché il giudice possa dichiarare esistente ed attuare la volontà di legge invocata dall’attore, ed è noto che, secondo autorevolissima dottrina, la prima condizione dell’azione è l’esistenza di una volontà di legge che garantisca ad alcuno un bene, obbligando il convenuto ad una prestazione.
Il giudice della riparazione, pertanto, al fine di valutare la sussistenza o meno del diritto all’indennizzo, ha il diritto-dovere di acquisire ed esaminare con piena ed ampia libertà il materiale acquisito nel processo penale, al fine di controllare la ricorrenza, o meno, delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, come il verificare la sussistenza
di una causa di esclusione del diritto all’indennizzo, quale l’avere l’istante dato concausa all’evento che produsse il pregiudizio (perdita della libertà) tenendo un comportamento doloso ovvero gravemente colposo e, inoltre, ai fini della quantificazione, tenendo una condotta anche lievemente colposa.
Il rapporto tra giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al presupposto dell’altro, vale a dire all’accertamento della ingiustizia della detenzione; il che non conduce automaticamente all’indennizzo, spettando al giudice di quest’ultimo una serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l’ausilio di criteri diversi da quelli dettati dalla legge al giudice penale (cfr. questa Sez. 4 n. 1533 del 17/12/1992 dep. 1993, Campione, Ftv. 194089).
Ciò posto, deve quindi rilevarsi come sussista il lamentato vizio di omessa motivazione, avendo la Corte territoriale operato la liquidazione dell’indennizzo sulla base dell’applicazione del criterio aritmetico e in riferimento ai giorni di sofferta restrizione, ma omettendo del tutto di valutare – come avrebbe invece doverosamente dovuto – il comportamento processuale ed extraprocessuale del ricorrente al fine di escludere il requisito ostativo del dolo o della colpa grave (o comunque, ed eventualmente, della colpa lieve, idonea a riverberarsi sul profilo del quantum debeatur, Sez. 4, Sentenza n. 2198 del 12/01/2022, COGNOME, Rv. 282569).
In particolare, la Corte territoriale ha omesso del tutto di prendere posizione sulle argomentazioni spiegate dalla difesa erariale nella predetta memoria difensiva e ribadite in sede di successivo ricorsov , nella quale era stato sottolineato il coinvolgimento dell’istante nella complessiva dinamica illecita e, in ogni caso, il dato rappresentato dalla ripetute frequentazioni ambigue dello stesso rispetto a NOME COGNOME soggetto destinatario di plurime contestazioni per fattispecie estorsive, tutti elementi posti in diretto rapporto sinergico con l’adozione della misura cautelare custodliale.
L’ordinanza impugnata – con logico assorbimento dell’esame degli ulteriori motivi di ricorso – dunque, presenta una omissione motivazionale che non la pone in linea con i principi di diritto elaborati dalla Corte di legittimità; il provvedimento impugnato deve essere, pertanto, annullato con rinvio alla Corte d’Appello di Bari, che vorrà dare adeguatamente conto del comportamento processuale ed extraprocessuale del richiedente e della sua eventuale incidenza sulla detenzione sofferta.
Al giudice del rinvio va altresì devoluta la regolazione delle spese anche di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Bari cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 7 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente