Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 3728 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 3728 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME COGNOME nato a VIBO VALENTIA il 15/07/1964
avverso l’ordinanza del 24/06/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memora dell’avv. NOME COGNOME del foro di Palmi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 24 giugno 2024, la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato la domanda formulata da NOME COGNOME per la riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione alla misura della custodia cautelare dal 1 marzo 2018 – data in cui veniva tratto in arresto – al 17 novembre 2018 data in cui veniva rimesso in libertà, per poi essere assolto con sentenza del Tribunale di Vibo Valentia del 15 giugno 2020 (irrev. 18 novembre 2020).
La misura cautelare nei confronti del Florio fu disposta in quanto gravemente indiziato di aver concorso, con NOME COGNOME (poi effettivamente ritenuto responsabile), nella consumazione di reati in materia di stupefacenti.
1.1. Più in particolare, l’impugnata ordinanza ha ritenuto sussistente la colpa grave di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., osservando che, nel giudizio di cognizione, pur conclusosi con pronuncia assolutoria, non sono stati smentiti i rapporti intrattenuti con NOME COGNOME (anzi, di oggettiva familiarità), soggetto implicato nel traffico di sostanze stupefacenti, con il quale il ricorrente aveva intrattenuto conversazioni dal tenore criptico.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con un unico motivo si deduce violazione della legge penale e vizio della motivazione (poiché manifestamente illogica ed incongrua: p. 7), ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen..
I giudici della riparazione sono incorsi in errore nel ritenere gravemente colposa la condotta del ricorrente: posta l’irrilevanza del giudizio di responsabilità formulato nei confronti del COGNOME, il giudice della riparazione ha valorizzato delle mere congetture sia nel ritenere un particolare rapporto con lui intrattenuto dal COGNOME, sia nel ritenere che quest’ultimo fosse a conoscenza delle di lui precedenti condanne, sia nel ritenere criptiche delle conversazioni che, in realtà, sono ben spiegabili in ragione del rapporto lavorativo intercorso tra i due.
Sono pervenuti altresì motivi nuovi, in cui si illustrano le ragioni del ricorso, e si censura l’assenza del rapporto sinergico tra la condotta del Florio (in ipotesi colposa) e la detenzione patita.
Il Sostituto Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
NOME COGNOME ha concluso con memoria scritta per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Essendo stata dedotta una ipotesi di cd. ingiustizia sostanziale, è compito del giudice della riparazione valutare se l’imputato, con una condotta gravemente negligente o imprudente, abbia colposamente indotto in inganno l’autorità giudiziaria in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’adozione di una misura cautelare.
In tal modo la connotazione solidaristica dell’istituto viene quindi ad essere contemperata in rapporto al dovere di responsabilità gravante su tutti i consociati.
2.1. Questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha più volte ribadito che il giudice della riparazione deve procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale
Ciò in quanto è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203638 – 01; conf., Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263 – 01).
La valutazione deve essere effettuata ex ante, e ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo, ed è volta a verificare, seppur in presenza di un errore dell’autorità procedente: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663).
Tali comportamenti possono essere, come detto, di tipo extra-processuale (ad es., grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver dato causa all’imputazione, violazione di legge o regolamenti) o processuale (ad es., autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi).
Il giudice della riparazione, quindi, non può ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione, ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, n. 46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274350; Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039; Sez. 3, n. 19998 del 20/04/2011, COGNOME, Rv. 250385 – 01).
Nel rispetto di tali limiti, pertanto, il giudice della riparazione rimane libero di valutare autonomamente i fatti già giudicati.
2.2. Nel caso in esame la Corte distrettuale si è attenuta a tali principi, avendo ritenuto, con motivazione adeguata e coerente sotto il profilo logico e nel rispetto delle norme applicabili, che la condotta del Fiori° aveva sostanzialmente contribuito ad ingenerare la rappresentazione di una condotta illecita dalla quale è scaturita, con rapporto di causa-effetto, la detenzione ingiustamente sofferta.
I giudici della riparazione, in maniera tutt’altro che illogica, ed in forza delle intercettazioni utilizzabili, hanno messo in evidenza come tra il COGNOME (effettivamente coinvolto nel traffico di stupefacenti) ed il COGNOME fossero state intercettate una serie di conversazioni criptiche, con frasi tronche, prive di riferimenti specifici, e comunque non compiutamente decifrabili secondo il loro tenore letterale.
Dalla reiterazione dei contatti, dal loro tenore, dal rinvio ad incontri di persona per affrontare taluni aspetti non ostensibili nelle comunicazioni telefoniche, la Corte della riparazione ha tratto argomenti per ritenere, alla luce della vicinanza del Florio al COGNOME, la consapevolezza del primo (o comunque la colposa ignoranza) circa il coinvolgimento del secondo nei traffici per cui è stato poi condannato.
Tenuto conto della circostanza per cui il Tribunale di Vibo Valentia non ha certamente negato la materialità dei fatti (gli incontri ed i contatti), ma ha ritenuto insufficiente la prova che quei dialoghi fossero realmente relativi alle sostanze stupefacenti trattate dal COGNOME, i giudici della riparazione li hanno quindi autonomamente valutati con giudizio ex ante, ritenendo tali frequentazioni, ed i connessi dialoghi, causalmente rilevanti rispetto alla detenzione patita, poiché tali da denotare grave imprudenza, e perciò ostativi al riconoscimento del diritto all’indennizzo.
Hanno quindi ritenuto, i giudici della riparazione, che il carattere criptico del linguaggio utilizzato, indice del possibile oggetto illecito delle conversazioni, abbia (quantomeno) contribuito a creare la falsa rappresentazione del reato posta a fondamento del provvedimento cautelare.
I giudici della riparazione, pertanto, hanno fatto corretta applicazione del principio per cui la condizione ostativa può essere integrata da comportamenti quali le frequentazioni ambigue con i soggetti condannati nel medesimo procedimento o in procedimento diverso, purché il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi di complicità, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 850 del 28/09/2021, COGNOME, Rv. 282565; sez. 4, n. 53361de1 21/11/2018, Puro, Rv. 274498), ovvero dall’utilizzo, nel corso di conversazioni telefoniche, da parte dell’indagato di frasi in “codice”, destinate a occultare un’attività illecita, anche se
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diversa da quella oggetto dell’accusa e per la quale fu disposta la custodia cautelare (Sez. 4, n. 44997 del 19/11/2024, Marino, non mass.; Sez. 4, n. 46584 del 12/11/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 3374 del 20/10/2016, dep. 2017, Aga, Rv. 268954 – 01, con conferma della decisione di rigetto in un caso in cui “l’allusività delle conversazioni, l’uso di termini fuori contesto e lo stesso riferimento a pagamenti privi di causale apparente rimandano a rapporti opachi se non a traffici illeciti”; Sez. 4, n. 48029 del 18/09/2009, COGNOME, Rv. 245794 01).
Né può ritenersi, come fa il ricorrente (anche nei motivi aggiunti) in chiave puramente avversativa, che è stata accertata la natura lecita dei contatti intervenuti tra il COGNOME ed il COGNOME, in ragione dell’attività lavorativa svolta dai due: come anticipato, i giudici della riparazione, hanno evidenziato come il Tribunale di Vibo Valentia avesse ritenuto insufficiente la prova che quei dialoghi fossero realmente relativi alle sostanze stupefacenti trattate dal COGNOME.
Il Collegio, inoltre, richiama sul punto il principio secondo il quale ai fini dell’accertamento della condizione ostativa del dolo o della cupa grave, lad , love le conclusioni nel processo penale siano state fondate sul criterio dell’accertamento oltre ogni ragionevole dubbio, il giudice può attribuire agli stessi fatti accertati nel giudizio di cognizione una diversa valutazione probatoria, posto che il richiamato criterio caratterizza solo il giudizio di responsabilità penale (Sez. 4, n. 46589 del 03/12/2024, COGNOME non mass.; Sez. 4, n. 2145 del 13/01/2021, COGNOME, Rv. 280246 – 01; Sez. 4, n. 34438 del 02/07/2019, Messina, Rv. 276859 – 01).
Il ricorrente, quindi, oppone una diversa lettura dei dialoghi (anche nei motivi aggiunti), e nel fare ciò non si confronta con il principio secondo il quale il sindacato del giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio.
Sindacato che non può quindi estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito.
Resta pertanto nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo (Sez. 4, n. 31199 del 28/03/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 2200 del 12/01/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 21896 del 11/04/2012, NOME COGNOME, Rv. 253325 – 01).
D’altra parte, la circostanza che il giudizio si svolga dinanzi alla corte d’appello in un unico grado di merito non comporta che in sede di legittimità possano essere fatti valere motivi di ricorso diversi da quelli enunciati dall’art. 606
cod. proc. pen., con tutte le limitazioni in essi previste, poiché una diversa estensione del giudizio, pur talvolta prevista dalla legge, non risulta da alcuna disposizione che, per la sua eccezionalità, non potrebbe che essere esplicita (Sez. 4, n. 574 del 05/12/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 17119 del 14/01/2021, Reale, Rv. 281135 – 01).
Quanto, infine, al necessario collegamento sinergico tra la condotta gravemente colposa del richiedente e l’intervento dell’autorità, è solo genericamente contestato nel ricorso (p. 6); questo nonostante i giudici della riparazione abbiano sottolineato come fu proprio il tenore di quei dialoghi, e la relazione tra i due, che consentì di ritenere esistente la prescritta gravità indiziaria.
Va infine sottolineato che l’inammissibilità del motivo non può essere tardivamente sanata per effetto della proposizione dei motivi nuovi.
Secondo un costante orientamento di legittimità, l’inammissibilità di un motivo del ricorso principale cui si colleghi un motivo aggiunto, anche ipotizzando che sia idoneo, in astratto, a colmarne i difetti, travolge quest’ultimo, non potendo essere tardivamente sanato il vizio radicale dell’impugnazione originaria; e ciò vale anche nel caso in cui il ricorso non sia integralmente inammissibile perché contenente altri motivi immuni da vizi (Sez. 5, n. 8439 del 24/01/2020, L., Rv. 278387 – 01; Sez. 2, n. 34216 del 29/04/2014, COGNOME, Rv. 260851; Sez. 6, n. 47414 del 30/10/2008, COGNOME, Rv. 242129).
Tanto discende dal vincolo esistente tra i motivi nuovi e quelli originariamente proposti (Sez. U., n. 4683 del 25/02/1998, COGNOME, Rv. 210259; Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, COGNOME, Rv. 272821).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pag2mento oelle s)ese processuali.
Così deciso in Roma, 9 gennaio 2025
ere estensore GLYPH
Il Presidente