Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1856 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1856 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/02/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, nel senso del rigetto del ricorso:
lette le conclusioni dell’Avvocatura generale dello Stato, in difesa del RAGIONE_SOCIALE resistente, nel senso dell’inammissibilità o del rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del ricorrente, nel senso dell’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Roma, quale giudice della riparazione ex art. 314 cod. proc. pen., ha rigettato l’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME avente a oggetto il riconoscimento di un equo indennizzo per l’ingiusta detenzione patita in Forza di ordinanza cautelare emessa e confermata in sede di riesame, ancorché con sostituzione con gli arresti domiciliari, con riferimento a una pluralità di delitti contr pubblica amministrazione (corruzione propria e turbative di cui ai capi D, S, T, V, W, W e Y) commessi, in concorso con altri soggetti tra cui il proprio marito coimputato, nella sua qualità di dirigente presso il RAGIONE_SOCIALE. Trattasi di rati con riferimento ai quali l’instant stata assolta per insussistenza del fatto con sentenza di primo grado il cui appello è stato dichiarato inammissibile con sentenza irrevocabile.
Avverso l’ordinanza nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comrna 1, disp. att. cod. proc. pen.).
2.1. Con il primo motivo si deducono la violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. e vizio congiunto di motivazione per aver la Corte territoriale ritenuto accertata la colpa grave sinergica rispetto all’intervento dell’autorità ostativ all’equo indennizzo in maniera illogica e contraddittoria.
In primo luogo, il giudice di merito avrebbe errato nel ritenere la colpa grave rilevante, trattandosi invece di assoluzione penale dell’imputata in ragione dei medesimi elementi sottesi all’ordinanza cautelare (sostanzialmente, le plurime e concordi dichiarazioni rese dall’imputata), con conseguente irrilevanza, a dire del ricorrente, del riferimento alla colpa grave.
In secondo luogo, sarebbe stata ravvisata la condotta gravemente colposa extraprocedimentale in presunti atti illegittimi e nella ricezione di un’util nonostante la loro acclarata insufficienza, in sede penale, ai fini dell configurabilità dei rati in forza dell’accertata insussistenza dell’elemento costitutivo, il c.d. pactum sceleris, con conseguente imprevebilità che la detta condotta potesse essere sinergica rispetto all’intervento dell’autorità. Peraltro, l prova della causale lecita dell’utilità percepita, individuata sin da subito d NOME COGNOME nell’anticipo di biglietti aerei per un viaggio in Corsic diversamente da quanto avrebbe ritenuto il giudice della riparazione, sarebbe emersa dalla stessa sentenza assolutoria, quale frutto RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese dai correi dopo l’adozione dell’ordinanza cautelare, circostanza che avrebbe dovuto
indurre la Corte territoriale a verificare l’idoneità della condotta dell’insta almeno in termini di sinergia in ordine alla permanenza della misura.
Il provvedimento impugnato sarebbe altresì contraddittorio e illogico per non aver considerato che circa la posizione di altri coindagati la medesima ordinanza cautelare sarebbe stata annullata in sede di legittimità, così come, ciò è invero prospettato dal ricorrente in sede di memorie in vista della discussione, un altro coimputato si sarebbe visto riconoscere il l’indennità di cui all’art. 314 cod. proc pen. con altra ordinanza adottata sempre dalla medesima Corte d’appello. Ulteriore vizio logico emergerebbe dall’aver posto a fondamento della decisione circa la colpa grave sinergica un messaggio inviato dalla richiedente a Sorbini, il 3 novembre 2010, ore 16:42, con frasi allusive («tutto bene per la 2 e 3 carrozza…») ritenendolo tale da fornire all’interlocutore informazioni sull procedura in atto nonostante si fosse trattato di messaggio non antecedente bensì successivo all’aggiudicazione dei lotti nn. 2 e 3 (avvenute, rispettivamente, il 2 e il 3 novembre alle 11:30).
Avrebbe la Corte territoriale altresì errato nel considerare rilevante una condotta qualificata in termini di «leggerezza» o «trascuratezza» laddove una tale condotta non avrebbe potuto sottendere l’adozione di una misura cautelare, richiedendo invece l’art. 273 cod. proc. pen. gravi indizi di colpevolezza.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono violazione di legge, in particolare l’art. 314 cod. proc. pen. in relazione anche all’art. 5, paragrafo 5 CEDU e a principi costituzionali, per aver letto la citata norma del codice di rito nel senso della sussistenza di cause ostative al riconoscimento dell’indennizzo. La Corte territoriale avrebbe peraltro ravvisato la condotta colposa sinergica rispetto all’intervento dell’autorità solo con riferimento a due dei cap d’incolpazione per i quali è stata emessa la misura cautelare (i capi D e Y), rimanendo invece silente, con conseguente omessa motivazione sul punto, in merito alle altre fattispecie di cui all’ordinanza cautelare per le quali vi è sta comunque assoluzione (capi S, T, V, W X). Ciò avrebbe comportato l’omessa considerazione della circostanza che il G.i.p., qualora, in ragione della condotta sinergica ravvisata dal giudice della cautela, avesse ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza solo con riferimento ai capi D e Y, avrebbe ben potuto opinare nel senso dell’insussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari, come avrebbe invece fatto con riferimento a taluni coindagati.
Le parti hanno concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe (con rigetto dell’istanza di discussione orale da parte della difesa di NOME COGNOME, in quanto non contemplata dalla procedura in argomento).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, complessivamente considerato, è infondato.
È preliminare la trattazione della questione, prospettata con il secondo motivo di ricorso, avente a oggetto un asserito contrasto tra la disciplina nazionale e quella sovranazionale in materia di riparazione per ingiusta detenzione, derivante dalla previsione di cause ostative alla riparazione da parte dell’art. 314 cod. proc. pen.
2.1 Il dedotto contrasto è insussistente come già affermato e recentemente ribadito dalla Suprema Corte (Sez. 4, n. 11536 del 02/02/2023, COGNOME, non massimata; Sez. 4, n. 30056 del 30/06/2022, COGNOME, non rnassimata).
L’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo contempla il diritto alla libertà e alla sicurezza, precisando che nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi dal detto articolo previsti, nei modi previsti dalla legge comunque, con le garanzie processuali minime ivi stabilite. La medesima disposizione attribuisce a ogni persona arrestata o detenuta in violazione di tale disciplina il diritto alla riparazione.
Dall’evidenziata premessa consegue che, nel caso di specie, non vi è alcuna interferenza della disciplina in esame con l’invocato art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, posto che il ricorrente ha subito la detenzione in uno dei casi ivi contemplati, secondo le modalità previste dalla legge nazionale e conformi alle garanzie processuali minime che devono essere assicurate in base alla Convenzione medesima.
Invero, come ribadito dalle sentenze innanzi citate (sostanzialmente conforme a Sez. 4, n. 6903 del 02/02/2021, COGNOME, Rv. 280929-01, e Sez. 4, n. 35689 del 09/07/2009, COGNOME, Rv. 245311-01), la normativa italiana, agli artt. 314 e ss. cod. proc. pen., in un’ottica solidaristica, riconosce il diritto riparazione non solo per la detenzione preventiva formalmente illegittima, come imposto dall’art. 5 in esame, bensì anche per quella formalmente legittima (come nel caso di specie), ma sostanzialmente ingiusta, in quanto non seguita da una sentenza di condanna. Il diritto all’indennizzo è però subordinato alla condizione che l’adozione o il mantenimento della misura cautelare non siano causalmente riconducibili a una condotta dolosa o gravemente colposa dell’istante. Si tratta, pertanto, come ribadito dalle citate sentenze («COGNOME» «COGNOME» e «COGNOME»), di una disciplina del tutto conforme a quella convenzionale, in quanto attribuisce un diritto ulteriore rispetto a quello imposto dall’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, cioè, il diritto a ristoro patrimoniale anche nelle ipotesi di detenzione formalmente legittima, che
può conseguentemente essere limitato dal legislatore nazionale senza il rischio di incorrere in violazioni della disciplina convenzionale.
2.2. La sentenza alla quale il ricorrente si riferisce (CEDU, Quarta Sezione, 12 giugno 2018, ricorso n. 59133/11, Pedroso c. Portogallo) non è pertinente alla fattispecie, riguardando una ipotesi di violazione RAGIONE_SOCIALE garanzie processuali di cui all’art. 5, comma 3, della Convenzione. Né sussistono sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbiano ritenuto contrario l’art. 314 cod. proc. pen. all’art. 5 della Convenzione sotto il profilo invocato dal ricorrente. Pe contro, la RAGIONE_SOCIALE Camera, con la decisione del 18 dicembre 2002, ricorso n. 24952 del 1994, N.C. contro Italia, ha escluso la violazione, da parte dell’Italia, dell’alt 5 della Convenzione proprio in considerazione della previsione dell’indennizzo di cui all’art. 314 cod. proc. pen., precisando che l’ordinamento italiano consente la richiesta di una riparazione per il solo fatto della custodi cautelare, a prescindere dalla sua illegalità ed eccessiva lunghezza, in caso di proscioglimento, e che tale compensazione assorbe quella imposta dall’art. 5 della Convenzione. La violazione dell’art. 5, invece, è stata affermata in una ipotesi in cui si è esclusa l’applicabilità dell’art. 314 cod. proc. pen. e, cioè, n ipotesi della detenzione cautelare protrattasi per un periodo più lungo di quello consentito dalla legge nazionale, in difetto di provo circa l’effettività di ulter rimedi giurisdizionali (così CEDU, Terza Sezione, 9 giugno 2005, ricorso n. 42644, COGNOME contro Italia, come ribadito dalle citate sentenze «COGNOME», «COGNOME» e «COGNOME»).
Quanto alle altre doglianze occorre ribadire che in tema di riparazione per ingiusta detenzione, il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita abbia da o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (ex plurimis: Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263; Sez. 4, n. 20963 del 14/03/2023′ Tare, in motivazione; Sez. 4, n. 21308, del 26/04/2022, Fascia, in motivazione; Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, La Fornara, Rv. 268952). La colpa grave di cui all’art. 314 cod. proc. pen., quale elemento negativo della fattispecie integrante il diritto all’equa riparazione in oggetto non necessita difatti di estrinsecarsi in condotte integranti, di per sé, reato, se tali, in forza di una valutazione ex ante, da causare o da concorrere a dare causa all’ordinanza cautelare (sul punto si vedano anche Sez.
4, n. 15500 del 22/03/2022, COGNOME, in motivazione; Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, B., Rv. 273996, in motivazione, oltre che i precedenti ivi richiamate, tra cui Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, COGNOME, dep. 2014, Rv. Rv. 259082-01).
3.1. Ai fini di cui innanzi, è necessario uno specifico raffronto tra la condott del richiedente (da ricostruirsi in considerazione della sentenza assolutoria) e le ragioni sottese all’intervento dell’autorità elo alla sua persistenza (Sez. 4, n 20963/2023, Tare, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 21308/2022, Fascia, cit., in motivazione; Sez. 3, n. 36336 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277662, nonché Sez. 4, n. 27965 del 07/06/2001, COGNOME, Rv. 219686), con motivazione che deve apprezzare la sussistenza di condotte che rivelino (dolo o) eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazioni di leggi o regolamenti che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 20963/2023, Tare, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 21308/2022, Fascia, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 27458 del 05/02/2019, COGNOME, Rv. 276458, e anche, tra le altre, Sez. 4, n. 22642 del 21/03/2017, COGNOME, Rv. 270001).
Occorre quindi muovere non dagli elementi fondanti la misura cautelare bensì dall’accertamento della condotta del richiedente, anche in ragione dei fatti ritenuti provati o non esclusi dal giudice penale, per poi valutarla ai fini d giudizio circa la condizione ostativa del dolo o della colpa grave e del loro collegamento sinergico con l’intervento dell’autorità in relazione alle circostanze sottese all’ordinanza cautelare (ex plurimis: Sez. 4, 44572 del 21/10/2022, COGNOME, non massimata, nonché, tra le successive, Sez. 4, n. 20963/2023, Tare, cit., non massimata).
3.2. La condizione ostativa al riconoscimento del dritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa o concorso a dare causa all’ingiusta detenzione, può essere integrata da condotte, dolose o gravemente colpose, tanto extraprocedimentali quanto tenute nel corso del procedimento, comprese le dichiarazioni dallo stesso richiedente rese (con particolare riferimento alla possibile rilevanza RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese dall’indagato/imputato si vedano, ex plurimis, Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, COGNOME, Rv. 257601, nonché, in fattispecie successive alla modifica dell’art. 314, comma 1, cod. pen., Sez. 4, n. 30056 del 30/06/2022, in motivazione, e SeZ. 4, n. 3755 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282581). Tra le condotte di cui innanzi si annoverano anche le «frequentazioni ambigue» con soggetti gravati da specifici precedenti penali o coinvolti in traffici illeciti, necessitando sempre un’adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità a essere interpretate come indizi di complicità, in rapporto al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento
restrittivo adottato (Sez. 4, n. 20963/2023, Tare, cit., in motivazione; Sez. 4, n 21308/2022, Fascia, cit., in motivazione; Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 260397; si vedano altresì, ex ,plurimis, circa la possibile rilevanza RAGIONE_SOCIALE «frequentazioni ambigue» con soggetti condannati nel medesimo procedimento, Sez. 4, n. 53361 del 21/11/.2018, Puro, Rv. 274498, nonché in merito alle frequentazioni con condannati in diverso procedimento, Sez. 4, n. 850 del 20/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282565, oltre che Sez. 4, n. 29550, 05/06/2019, COGNOME, Rv. 277475, per la quale rilevano le dette frequentazioni con soggetti condannati nello stesso procedimento anche nel caso in cui intervengano con persone legate da rapporto di parentela, purché siano accompagnate dalla consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti e non siano assolutamente necessitate). È altresì suscettibile di integrar gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento dell’equa riparazione, la condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una su contiguità (ex plurimis, tra le più recenti: Sez. 4, n. 20963/2023, Tare, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 21308/2022, Fascia, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 7956 del 20/10/2020, dep. 2021, Abruzzese, Rv. 280547).
Orbene, differentemente da quanto prospettato dal ricorrente, l’ordinanza impugnata, con motivazione in linea con i principi di cui innanzi oltre coerente e non manifestamente illogica, con la quale il ricorrente non si confronta, ha ritenuto sussistente nella specie la condotta della richiedente ostativa all’equa riparazione, in quanto gravemente colposa e in sinergia con l’intervento dell’autorità e con il suo mantenimento, all’esito di apprezzamenti di fatto insindacabili in questa sede in quanto esenti da vizi motivazionali (per l’inammissibilità del motivo di ricorso che non coglie la ratio decidendi del provvedimento impugnato, venendo così meno, in radice, l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, ex plurimis: Sez. 4, n. 2644 del 16/12/2022, dep. 2023, COGNOME, in motivazione; Sez. 4, n. 49411 del 26/10/2022, COGNOME, in motivazione; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, COGNOME, Rv. 254584).
4.1. In particolare, il ricorrente non confronta il suo dire con l’ordinanz impugnata laddove deduce l’errore nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale nel ritenere la colpa grave ostativa, trattandosi invece, a dire del ricorrente, assoluzione penale dell’imputata in ragione dei medesimi elementi sottesi all’ordinanza cautelare con conseguente irrilevanza del riferimento alla colpa grave.
A prescindere dalla circostanza, comunque di per sé decisiva, per cui l’assoluzione è intervenuta all’esito di prove assunte in dibattimento, quindi non
sulla base di una mera diversa valutazione dei medesimi elementi sottesi all’ordinanza cautelare, il giudice della riparazione, con l’apparato motivazionale di cui a pag. 12, primo capoverso, con il quale il ricorrente non si confronta, ha escluso la riconducibilità della fattispecie concreta all’ipotesi di «ingiusti formale» di cui al 314, comma 2, cod. proc. pen., in ragione dell’insussistenza di un accertamento (in sede penale) dell’assenza ab inizio dei presupposti applicativi della misura cautelare. All’evidenziato detto mancato confronto si aggiunge l’errore logico-concettuale del ricorrente laddove fonda la censura sull’assunto per cui neanche la «leggerezza» o la «trascuratezza», caratterizzanti la condotta gravemente colposa accertata del giudice della riparazione, sarebbero suscettibili di porsi a fondamento di una ordinanza cautelare; non considerando, difatti, che la causa ostativa, costituita da colpa grave o dolo, in ragione dei principi innanzi richiamati rileva se semplicemente sinergica rispetto all’intervento dell’autorità.
4.2. Al netto dell’inammissibilità e dell’inconferenza dei profili di censura d cui innanzi, oltre che del tentativo di sostituire proprie valutazioni anche d natura probatoria a quelle del giudicante, il ricorrente articola le censure frammentando le diverse circostanze considerate dal giudice di merito e valutate in uno al fine dell’accertamento della causa ostativa.
La Corte territoriale (pag. 15 e 16 dell’ordinanza impugnata), muovendo dalle emergenze della sentenza penale assolutoria, fonda infatti la propria decisione, quanto a tutte le fattispecie per cui si deduce l’ingiusta detenzione, nella valutazione della condotta extraprocedimentale della richiedente, caratterizzata da colpa grave estrinsecatasi nelle innumerevoli illegittimità caratterizzanti le procedure, commesse da soggetto in posizione di «vicinanza» ai soggetti in esse coinvolti. Rilevano altresì, per il giudice di merito, quanto al relative fattispecie per cui si invoca l’ingiustizia della detenzione, specifici pro di irregolarità RAGIONE_SOCIALE procedure relative agli affidamenti allo «RAGIONE_SOCIALE». istruite dalla richiedente, oltre che l’aggiornamento sull’esito di specifich procedure, emergente anche dalle comunicazioni successive a esse, rilevante una «eccessiva familiarità» già riscontrata in sede penale. La circostanza per cui la causa ostativa, essendo caratterizzata da colpa grave o dolo dello specifico soggetto richiedente, priva infine di conducenza la circostanza, peraltro fattuale e prospettate dalla ricorrente solo con le conclusioni scritte, dell’intervenuta liquidazione ex art. 314 cod. proc. pen. in favore di soggetti diversi dall’attuale ricorrente (taluni coindagati/coimputati).
5. In conclusione, al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Per converso, non consegue la rifusione RAGIONE_SOCIALE spese sostenute dal RAGIONE_SOCIALE resistente, non avendo la memoria depositata nel suo interesse, a cagione della sua genericità, fornito alcun contributo alla dialettica processuale in quanto priva di eccezioni o deduzioni dirette a paralizzare o ridurre la pretesa del ricorrente nonché di qualsivoglia riferimento specifico ai fatti oggetto del presente giudizio (sul punto si vedano, con riferimento a fattispecie sostanzialmente sovrapponibili alla presente Sez. 15/09/2022, n. 41351, COGNOME, non massimata, e Sez. 4, n. 41352 del 15/09/2022, COGNOME, non massimata; si veda altresì, con argomentazioni che, mutatis mutandis, rilevano anche nella presente fattispecie, Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, RV. 222264; in merito alle spese sostenute in sede di legittimità dalla parte civile ma con argomentazioni rilevanti anche nella presente fattispecie si vedano altresì: Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, in motivazione; Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226716; Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez. 3, n. 27978 del 24/03/2021, G., Rv. 281713; Sez. 2, n. 12784 del 23/01/2020, Tamborrino, Rv. 278834; SeZ. 5, n. 3074:3 del 26/03/2019, Loconsole Rv. 277152).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali. Nulla per le spese in favore del RAGIONE_SOCIALE resistente.
Così deciso il 16 novembre 2023