Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32183 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32183 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da Ministero dell’Economia e delle Finanze NOME COGNOME nato in Nigeria il 21 ottobre 1971 avverso l’ordinanza del 23/01/2025 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che l’ordinanza sia annullata con rinvio, in accoglimento del ricorso del Ministero, e che il ricorso della parte privata sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 5 maggio 2021, il Tribunale di Roma ha assolto NOME dai reati di cui agli artt. 73 e 80 del d.P.R. n. 309 del 1990, per insussistenza del fatto, nonché dal reato di cui all’art. 74 del medesimo decreto, per non aver commesso il fatto.
A seguito della pronuncia assolutoria, l’imputato ha proposto istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta dal 31 maggio 2014 al 7 febbraio 2017 (custodia cautelare carceraria e arresti domiciliari), quantificandola in euro 150.000,00, in ragione delle gravi conseguenze subite sotto il profilo familiare ed economico.
Con ordinanza del 31 gennaio 2023, la Corte di appello di Roma ha rigettato l’istanza. Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione, a seguito del quale la Corte di sassazione (Sez. 4, n. 42956 del 19/09/2024) ha annullato con rinvio l’ordinanza impugnata. Con ordinanza del 24 marzo 2025, la Corte di appello di Roma, in sede di rinvio, ha accolto l’istanza, riconoscendo il diritto dell’interessato alla riparazione per l’ingiusta detenzione subita.
Avverso l’ordinanza il Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
Con due motivi di ricorso, che possono essere esposti congiuntamente, l’Avvocatura dello Stato denuncia vizio di motivazione e violazione dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., contestando la conclusione a cui è pervenuta la Corte di appello in ordine alla ritenuta assenza di colpa grave in capo a NOME quale causa dell’avvenuta privazione della libertà personale.
In particolare, si assume che il giudice del merito avrebbe omesso di considerare che l’interessato, in occasione di precedenti controlli effettuati dalle autorità competenti, aveva fornito false generalità. Sebbene tali dichiarazioni non abbiano direttamente determinato l’adozione della misura restrittiva, esse secondo la prospettazione dell’Avvocatura – avrebbero comunque contribuito causalmente all’adozione della stessa, in quanto idonee ad alimentare negli inquirenti il sospetto dell’esistenza di un disegno criminoso in atto, che doveva essere interrotto. Le false generalità avrebbero infatti assunto, agli occhi dell’autorità giudiziaria, la valenza di reato-mezzo o reato-sintomo, volto a occultare uno status personale potenzialmente collegato a condotte delittuose indeterminate. Tale comportamento, secondo la parte ricorrente, costituirebbe manifestazione di colpa grave, in quanto doloso o comunque gravemente imprudente; sufficiente, dunque, a escludere il diritto all’equa riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen.
3. Ha proposto ricorso anche RAGIONE_SOCIALE.
3.1. Con una prima doglianza, la difesa denuncia vizi della motivazione e violazione degli artt. 314 e 315 cod. proc. pen., in relazione alla liquidazione del danno patrimoniale e non patrimoniale disposto dalla Corte e al rigetto
dell’istanza con cui il richiedente modificava la domanda iniziale da 150.000 a 300.000 euro. In particolare, si contesta che la decisione impugnata non abbia adeguatamente valorizzato gli effetti devastanti che l’arresto e la custodia cautelare hanno avuto sulla vita dell’istante. Più precisamente, il ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello abbia quantificato il risarcimento per l’ingiusta detenzione sulla base di criteri meramente aritmetici e standardizzati, facendo riferimento a limiti massimi desunti dalla giurisprudenza civilistica e applicabili, secondo la Corte, anche alla riparazione prevista dall’art. 314 cod. proc. pen. Secondo la prospettazione difensiva, la motivazione della decisione, oltre a risultare generica, non avrebbe considerato neppure il cd. “danno differenziale”, omettendo così una parte rilevante della complessiva richiesta risarcitoria.
3.2. Con un secondo motivo di doglianza, la difesa si duole di vizi della motivazione e violazione degli artt. 314 e 315 cod. proc. pen. e 292 cod. proc. civ. (verosimilmente, trattasi dell’art. 92 cod. proc. civ.) con riferimento alla decisione della Corte di Appello di compensare le spese processuali sul presupposto che non vi fosse stata opposizione da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Secondo la prospettazione difensiva, tale affermazione sarebbe palesemente erronea, poiché l’Avvocatura Generale dello Stato avrebbe costantemente depositato proprie conclusioni in tutte le udienze, manifestando formale opposizione alla domanda di riparazione per ingiusta detenzione e proponendo altresì ricorso avverso il provvedimento favorevole all’istante.
In data 5 giugno 2025, la difesa di COGNOME ha depositato memoria, con la quale ribadisce quanto già dedotto, replicando alla requisitoria scritta del pubblico ministero
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze è fondato.
1.1. È pacifico, come affermato anche dalla recente giurisprudenza di legittimità che, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice, per stabilire la sussistenza di un comportamento processuale o extraprocessuale ostativo al riconoscimento del beneficio, è tenuto a valutare ex ante, secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo da quello del processo di me-rito, tutti gli elementi probatori disponibili, atti a dimostrare che la condotta sia stata il presupposto che abbia ingenerato, seppur in presenza di un errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (ex
plurimis, Sez. 4 , n. 39726 del 27/09/2023, Rv. 285069; Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, Rv. 268952).
E infatti, il principio dell’autonomia tra il giudizio penale e il successivo giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione è stato, invero, più volte sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha rilevato che il giudizio per la riparazione impegna piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti» (ex plurimis, Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME; Sez. 4, n. 39500 del 18/06/2013, Rv. 256764).
Inoltre, è principio consolidato quello per cui, nel giudizio avente ad oggetto la riparazione per ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, può darsi rilievo agli stessi fatti accertati nel giudizio penale di cognizione, e non rileva che quest’ultimo si sia definito con l’assoluzione dell’imputato sulla base degli stessi elementi posti a fondamento del provvedimento applicativo della misura cautelare, trattandosi di un’evenienza fisiologicamente correlata alle diverse regole di giudizio applicabili nella fase cautelare e in quella di merito, valendo soltanto in quest’ultima il criterio dell -al di là di ogni ragionevole dubbio” (ex plurimis, Sez. 4, n. 2145 del 13/01/2021, Rv. 280246; Sez. 4, n. 34438 del 02/07/2019, Rv. 276859).
1.2. Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui la Corte di appello avrebbe dovuto occuparsi della questione delle false generalità rese dall’imputato, evidentemente ricompresa nel giudizio sulla sussistenza della colpa grave, essendosi limitata invece all’affermazione secondo cui non vi non vi erano prove, neppure indirette, né reticenza o mendacio dell’interessato, che avrebbero potuto impedire l’accesso l’accertamento della sua estraneità ai fatti o sviare significativamente le indagini; né vi erano prove di una sua collusione con i componenti del sodalizio criminoso.
Nel rigettare l’istanza, la prima ordinanza della Corte d’appello, quella del 31 gennaio 2023, aveva valorizzato tale aspetto, invece ignorato dalla seconda ordinanza, evidenziando che, dalle schede investigative, emergeva che gli indagati, tra cui NOMECOGNOME avevano fornito false generalità in occasione di controlli delle competenti autorità italiane. Ciò poteva denotare una collaborazione, o comunque, un modus operandi sinergico da parte dei vari soggetti interessati dall’indagine; profilo che avrebbe dovuto essere oggetto di considerazione da parte della Corte di appello in un quadro di contatti fra gli indagati che avrebbe dovuto essere oggetto di maggiori approfondimenti.
1.3. Deve essere dunque disposto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, in accoglimento del ricorso del Ministero, perché la Corte di appello proceda a nuovo giudizio, facendo applicazione dei principi sopra richiamati.
Quanto a ricorso di Vitalis, questo deve essere dichiarato inammissibile.
La richiesta di riconoscimento di un indennizzo comprensivo anche del cosiddetto danno differenziale e, comunque, di entità maggiore – oggetto del primo motivo di doglianza – è stata correttamente disattesa dalla Corte territoriale perché i danni complessivamente prospettati eccedevano il quantum inizialmente richiesto ed erano meramente asseriti. Mancava infatti, come manca nel ricorso per cassazione, un puntuale riferimento alla situazione di dissesto finanziario dovuta alla perdita del lavoro e alle difficoltà di sostentamento, nonché alla perdita di credibilità professionale, non essendovi prova, nemmeno indiretta, sul punto, ed essendo comunque idonei i documenti prodotti a dimostrare la sussistenza di un nesso causale tra la detenzione e i maggiori danni dedotti.
Il secondo motivo di doglianza deve invece essere ritenuto assorbito dall’accoglimento del ricorso del Ministero, perché, in sede di rinvio, la Corte di appello dovrà pronunciarsi anche in punto di spese, facendo applicazione del criterio della soccombenza o, previa adeguata motivazione che tenga conto puntualmente dell’andamento del giudizio, delle posizioni delle parti, degli elementi rilevanti ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ., disporre la compensazione, anche parziale.
L’assorbimento del secondo motivo di doglianza, nell’ambito della valutazione che dovrà essere condotta dal giudice del rinvio in punto di spese, e l’andamento complessivo della vicenda processuale inducono ad escludere la condanna alle spese e al pagamento di somme alle Casse delle ammende per il ricorrente COGNOME
P.Q.M.
In accoglimento di ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME