Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 33724 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 33724 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a CITTADELLA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a CITTADELLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/04/2023 della CORTE di APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori delle parti civili, AVV_NOTAIO per RAGIONE_SOCIALE e AVV_NOTAIO per RAGIONE_SOCIALE, che hanno depositato conclusioni scritte e hanno chiesto la liquidazione delle spese come da nota spese depositata;
uditi i difensori degli imputati, AVV_NOTAIO per entrambi e AVV_NOTAIO per NOME COGNOME, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi; l’AVV_NOTAIO rileva, anche agli effetti della confisca per equivalent l’intervenuta prescrizione dei reati.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Venezia, investita dell’appello del Pubblico ministero, delle parti civili e degli imputati, ha confermato anche agli effetti civili, la condanna di COGNOME NOME e COGNOME NOME in ordine al delitto di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 cod. civ. loro ascr nella veste di amministratori della società RAGIONE_SOCIALE (capo A).
1.1. Gli imputati erano stati rinviati a giudizio per rispondere dei seguenti reati:
capo A) «reato di cui agli artt. 81, 110 e 2634 cod. civ., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in qualità di amministratori e soci della società RAGIONE_SOCIALE, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o comunque un vantaggio, compivano atti di disposizione dei beni sociali, stipulando dapprima un contratto di collaborazione commerciale con la società RAGIONE_SOCIALE, ad essi di fatto riconducibile, e poi un contratto preliminare e definitivo di cessione di impianti macchinari e di cessione di contratti di leasing dietro corrispettivo di eur 1.960.300,00, in realtà cedendo l’intera azienda della RAGIONE_SOCIALE, di valore ben maggiore e pari ad euro 5.643.321; svivano, inoltre, la clientela ed emettevano una nota di accredito (n. 21NUMERO_DOCUMENTO) pari ad euro 181.601,96 di imponibile (di cui 39.952,43 di Iva) nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto l’attività di intermediazione nello smaltimento delle carcasse animali ed agli stessi riconducibile, così cagionando intenzionalmente alla società RAGIONE_SOCIALE un danno patrimoniale»;
capo B) «reato previsto dall’art. 4 d. Igs. n. 74 del 2000 (concorso in dichiarazione infedele) perché, nella qualità indicata sub A), al fine di evadere le imposte sui redditi, con la condotta descritta al capo che precede, in particolare omettendo di indicare la plusvalenza realizzata dalla cessione di azienda pari ad euro 3.448.538,67 indicavano nella dichiarazione annuale relativa ai redditi 2015 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ed elementi passivi fittizi, con imposta evasa pari ad euro 836.125,575».
1.2. Il Tribunale, all’esito del dibattimento, dichiarava gli imputati colpevo del delitto di cui al capo A); mentre riteneva insussistente il delitto di cui al c B).
1.3. La Corte di appello ha confermato la condanna e inoltre:
ha revocato la confisca diretta, ex art. 2641 comma primo, cod. pen., dei beni utilizzati per commettere il reato (macchinari elencati nell’allegato A del contratto del 3 dicembre 2015);
ha ridotto la confisca per equivalente ex art. 2641, comma secondo, cod. pen., all’importo di euro 777.253,96 corrispondente al profitto del reato;
ha liquidato una provvisionale di pari importo (euro 777.253,96) in favore della parte civile RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Avverso l’indicata pronuncia ricorrono gli imputati, con il medesimo atto a firma dei difensori.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, e il primo in unione all’AVV_NOTAIO nell’interesse di NOME COGNOME, articolan cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo eccepiscono la nullità del decreto che dispone il giudizio per violazione dell’art. 429, comma 1 lett. c) e comma 2, cod. proc. pen.
Il fatto contestato ai capi A) e B), pur essendo il medesimo, viene addebitato sotto due diversi profili in rapporto di reciproca contraddizione; invero o g imputati hanno sottratto alla società il valore dell’azienda in assenza di congruo corrispettivo oppure, attraverso la medesima operazione, quel plusvalore è entrato nelle casse sociali senza essere, però, denunciato a fini reddituali.
Ciò avrebbe comportato una “complessiva indeterminatezza del capo di imputazione e una genericità della contestazione” con pregiudizio per i diritti difensivi.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d) ed e) cod. proc. pen., vizio di motivazione in punto di revoca della ammissione del testimone COGNOME, indicato nella lista testimoniale della difesa ex art. 468 cod. proc. pen. “per provare la violenta variazione al ribasso de/prezzi di mercato nel 2015 unitamente alla riconducibilità di tale ribasso alla concorrenza sleal operata dalla società del RAGIONE_SOCIALE“.
Il testimone avrebbe dovuto chiarire sia i rapporti con RAGIONE_SOCIALE, sia la nota d accredito emessa a favore di RAGIONE_SOCIALE che si inseriva in un contratto di fornitura con clausola di adeguamento per l’ipotesi di variazioni al ribasso dei prezzi di mercato in misura superiore al 20%.
Il Tribunale aveva motivato la revoca sostenendo, nella prima parte della sentenza, che il testimone avrebbe dovuto deporre su circostanze già emerse in dibattimento (l’esistenza di una forte concorrenza sul mercato); salvo poi cadere in contraddizione, affermando, in altra parte della sentenza, che quella concorrenza non era stata provata.
La Corte di appello, chiamata a pronunciarsi sulla denunciata frattura logica, dapprima avrebbe ritenuto irrilevante la circostanza della concorrenza (perché attinente ai “motivi” a delinquere) salvo poi fondare l’affermazione di
responsabilità per la vicenda RAGIONE_SOCIALE proprio sulla mancata dimostrazione di una situazione di forte concorrenza.
2.3. Con il terzo motivo si fa valere la ritenuta inosservanza del divieto d reformatio in peius circa il punto della decisione inerente alle dichiarazioni del teste COGNOME: mentre il Tribunale non ne ha tenuto conto (bollandole come inattendibili); la Corte di appello le ha utilizzate al fine di respingere il quinto motivo di ricors
Il giudice di secondo grado neppure spiegherebbe le ragioni di questo diverso apprezzamento.
2.4. Il quarto motivo si incentra sul vizio di motivazione in merito alla esatta quantificazione del valore dell’azienda (nelle sue componenti materiali e immateriali) – circostanza rilevante ai fini della sussistenza del danno patrimoniale e del profitto quali elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 2634 cod. civ.
Tale valore avrebbe dovuto essere determiNOME in base a risultanze oggettive per poi essere rapportato al prezzo di vendita stabilito dal contratto del 3 dicembre 2015 al fine di verificarne la congruità.
La Corte di appello – pur accedendo parzialmente alla tesi difensiva che contestava la valutazione in oltre 5 milioni di euro – ha attribuito all’azienda un valore superiore al prezzo di vendita di impianti e macchinari (euro 1.960.300,00), ritenendo di dover aggiungere a quell’importo il valore dell’avviamento, quantificato in euro 595.652,00 sulla scorta della stima effettuata dal consulente della difesa dottor COGNOME.
La corte distrettuale, quindi, avrebbe dato per pacifico che il valore dei beni materiali ceduti corrispondesse ad euro 1.960.300,00 e ha ritenuto, al fine di determinare il valore dell’azienda, di sommare a detto importo quello dell’avviamento.
Nel fare ciò però avrebbe trasformato l’oggetto della contestazione nel criterio di valutazione dei beni ceduti.
Inoltre non avrebbe fornito alcuna risposta al motivo di appello che poneva in risalto come il prezzo di vendita di impianti e macchinari (euro 1.960.300,00) avrebbe coperto il valore assegNOME al complesso dei beni materiali e immateriali dal dottor COGNOME nella perizia di stima redatta su incarico dei COGNOME e di COGNOME e riferita al 31 dicembre 2013: il commercialista di fiducia di entrambe le parti aveva stimato il valore di impianti e macchinari in euro 1.099.826,00 e il valore dell’avviamento in euro 1.095.913,00; questi valori, sommati, non si discostavano dall’importo del corrispettivo del contratto di vendita del 3 dicembre 2015 oggetto di addebito; con conseguenza insussistenza di un danno per RAGIONE_SOCIALE e di un profitto per gli imputati.
2.5. Il quinto motivo attiene al vizio di motivazione sull’elemento soggettivo del reato.
La c.d. perizia COGNOME (che era l’unica nelle mani degli imputati al momento della condotta) testimonierebbe la congruità del prezzo di vendita pattuito anche se riferito all’intera azienda e dunque la buona fede degli imputati, come riferito da NOME COGNOME nel corso del suo esame.
Si è proceduto a discussione orale su richiesta delle difese delle parti private.
Il difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, AVV_NOTAIO, ha trasmesso una memoria con la quale esamina i motivi di ricorso e ne evidenzia le ragioni di infondatezza o inammissibilità.
Una articolata memoria è stata inviata anche dal difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Il primo motivo è manifestamente infondato, poiché coltiva una tesi priva di agganci normativi.
L’ipotetico contrasto “logico” tra le imputazioni non è previsto dalla legge come causa di nullità del decreto che dispone il giudizio.
La situazione non ha cagioNOME alcun pregiudizio all’esercizio delle facoltà difensive, posto che l’antinomia ha trovato soluzione già nell’ambito del giudizio di primo grado conclusosi con la ritenuta insussistenza del delitto di cui al capo B).
Il secondo motivo presenta diversi e concorrenti profili di inammissibilità.
3.1. Va ricordato che la revoca dell’ordinanza ammissiva dei testimoni della difesa produce una nullità di ordine generale a regime intermedio, integrando una violazione del diritto della parte di “difendersi provando”, stabilito dall’art. comma 2, cod. proc. pen., corrispondente al principio della “parità delle armi” sancito dall’art. 6, comma 3, lett. d), della CEDU, al quale si richiama l’art. 111 comma 2, della Costituzione in tema di contraddittorio tra le parti (Sez. 5, n. 16976 del 12/02/2020, AVV_NOTAIOse, Rv. 279166 – 01).
Nella specie la nullità si è prodotta in udienza alla presenza delle parti; ebbene, come risulta dal verbale riassuntivo e dalle trascrizioni dell’udienza del 29 ottobre 2021, il difensore degli imputati, presente, nulla ha eccepito; pertanto il vizio non può più essere dedotto stante la preclusione sancita dall’art. 182, comma 2, cod. proc. pen.
Del resto, neppure nel rassegnare le conclusioni dinanzi al Tribunale la difesa ha insistito nella richiesta di assunzione della testimonianza.
3.2. La testimonianza, revocata, di NOME COGNOME era stata richiesta dalla difesa “per provare la violenta variazione al ribasso dei prezzi di mercato nel 2015”; circostanza incidente, in tesi, sia sulla condotta infedele a favore di RAGIONE_SOCIALE sia su quella a favore di RAGIONE_SOCIALE.
3.2.1. Rispetto alle ragioni della revoca, è immune da vizi logici e coerente con la decisione la considerazione, svolta dalla Corte di appello, circa la ritenuta irrilevanza della circostanza oggetto di prova ai fini della condotta infedele a favor di RAGIONE_SOCIALE: le variazioni al ribasso dei prezzi di mercato e la concorrenza sleale da parte di COGNOME riguardano elementi esterni alla fattispecie delittuosa i contestazione.
3.2.2. Quanto alla condotta infedele a favore di RAGIONE_SOCIALE, la censura risulta generica, in quanto:
per un verso non illustra la decisività della prova intesa come idoneità a scalfire gli elementi valorizzati dal giudice di merito (la nota era stata emessa giorno prima dello scioglimento della società; l’elevato importo aveva rappresentato un unicum posto che tra le altre note di credito, la più elevata era stata emessa per soli euro 20mila; non vi era contestazione alcuna dell’importo richiesto; i prezzi praticati a RAGIONE_SOCIALE erano i medesimi che RAGIONE_SOCIALE, subentrata a RAGIONE_SOCIALE, aveva applicato, a sua volta, a RAGIONE_SOCIALE (pag. 25 sentenza impugnata);
per altro verso non spiega, con l’indicazione di specifici elementi (anche cronologici), in quali precisi e concreti termini la situazione oggetto di prov avrebbe comportato l’emissione di una nota di credito per un importo superiore a 180mila euro.
Il terzo motivo è manifestamente infondato.
4.1. La doglianza si fonda su una erronea interpretazione del concetto di “punto della decisione”.
Secondo il costante insegnamento della Corte di cassazione il “punto della decisione” riguarda tutte le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo, di talché, se ciascun capo è concretato da ogni singolo reato oggetto di imputazione, i punti della decisione, ai quali fa espresso riferimento l’art. 597, comma 1, c.p.p., coincidono con le parti della sentenza relative alle statuizioni indispensabili per il giudizio ciascun reato quali quali l’accertamento del fatto, l’attribuzione di esso all’imputato, la qualificazione giuridica, l’inesistenza di cause di giustificazione, colpevolezza, e – nel caso di condanna- l’accertamento delle circostanze
aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale di essa, e le altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili di ufficio. Non costituiscono punti del provvedimento impugNOME le argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna statuizione (cfr. per tutte Sez. U, n. 1 del 19/01/2000).
Invero, come emerge dal dato testuale dell’art. 597 cod. proc. pen., la preclusione derivante dall’effetto devolutivo dell’impugnazione riguarda esclusivamente i “punti” della decisione non gli argomenti e le questioni coltivate dall’impugnante (Sez. U, n. 1 del 27/09/1995, dep. 1996, Timpanaro, Rv. 203096) sicché l’art. 597, comma 1 cod. proc. pen. attribuisce al giudice di appello gli stessi poteri del primo giudice, con la conseguenza che la cognizione del giudice di secondo grado, pur limitata ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motiv non incontra limiti per quanto attiene alla ricostruzione del fatto ed al argomentazioni utilizzate dal giudice di primo grado (Sez. 5, n. 4743 del 08/10/1999, COGNOME, Rv. 215047 – 01; Sez. 5, n. 49667 del 10/11/2023, COGNOME, non massimata sul punto), essendo anzi tenuto a rivalutare le prove (Sez. 2, n. 8947 del 16/02/2016, COGNOME, Rv. 265848 -01).
Ne deriva che l’attendibilità o meno di un testimone non costituisce punto della decisione e pertanto non soggiace al principio devolutivo, né tantomeno all’invocato divieto di reformatio in peius.
4.2. Sotto altro profilo va rimarcato come, a differenza di quel che sostengono i ricorrenti, la Corte di appello fornisca adeguata motivazione in merito alla attendibilità di quanto riferito dal teste COGNOME in sede di ritrattazione dell’origin dichiarazione (pag. 17 sentenza impugnata che pone in evidenza la piena coerenza e convergenza delle nuove dichiarazioni rispetto alle complessive evidenze disponibili).
Il quarto motivo è generico e manifestamente infondato.
5.1. Gli imputati sono stati riconosciuti colpevoli del reato di infedelt patrimoniale di cui all’art. 2634 cod. civ. (capo A), nella veste di amministrator della RAGIONE_SOCIALE; tale società operava nel campo dello smaltimento delle carcasse animali e nella lavorazione dei sottoprodotti di macellazione, le cui quote erano detenute al 50% dai due RAGIONE_SOCIALE e dalla loro madre e per il restante 50% dalla RAGIONE_SOCIALE facente capo al querelante COGNOME NOME.
5.1.1. Le sentenze di primo e secondo grado, che si integrano reciprocamente, offrono la seguente ricostruzione della vicenda.
In conseguenza di dissidi insorti tra le due compagini sociali interne della RAGIONE_SOCIALE (i COGNOME da una parte e COGNOME dall’altra), i fratelli COGNOME congegnano una operazione volta a svuotare la società dell’intero complesso aziendale (beni
materiali e immateriali, locali, dipendenti, clienti) per trasferirli alla società RAGIONE_SOCIALE.
L’operazione viene mascherata attraverso la stipula, in data 3 dicembre 2015, di un contratto di vendita e di un contratto di cessione dei rapporti di leasin afferenti alla totalità di impianti e macchinari della RAGIONE_SOCIALE in favore dell RAGIONE_SOCIALE, società costituita il 19 marzo 2015, formalmente amministrata da COGNOME NOME, ma di fatto riconducibile ai RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, i beni di proprietà (elencati all’allegato A del contratto) vengon venduti al prezzo pattuito di euro 1.960.300,00 (corrispondente alla stima del valore dei beni risultante dalla perizia costituente l’allegato C); mentre i contrat di leasing relativi ai beni elencati nell’allegato B vengono ceduti al prezzo di eur 122.254,95 oltre Iva.
Lo stesso 3 dicembre 2015, tutti i dipendenti di RAGIONE_SOCIALE rassegnano le dimissioni per essere assunti, a distanza di pochi giorni, dalla RAGIONE_SOCIALE.
NOME si accaparra anche la clientela di ML RAGIONE_SOCIALE, subentra a quest’ultima nelle autorizzazioni amministrative, opera nei locali della RAGIONE_SOCIALE, utilizza i medesimo gestionale e lo stesso numero di telefono.
Quindi di fatto gli imputati hanno ceduto a RAGIONE_SOCIALE l’intero complesso aziendale di RAGIONE_SOCIALE dietro versamento di un prezzo di gran lunga inferiore rispetto al valore dell’azienda, stimato in euro 4.094.756,00 dalla GdF e in euro 5.643.321,00 dal dottAVV_NOTAIO COGNOME, commercialista della RAGIONE_SOCIALE dal 1993 fino allo scioglimento.
La RAGIONE_SOCIALE, spogliata dell’intera azienda, veniva resa inoperativa e posta in liquidazione il 2 febbraio 2016.
In giorno precedente NOME COGNOME, senza effettiva giustificazione, emette una nota di accredito per euro 181.601,96 in favore della RAGIONE_SOCIALE, altra società riconducibile agli imputati.
Lo stesso 2 febbraio 2016 NOME COGNOME versa 460mila euro in favore di RAGIONE_SOCIALE a pagamento di un pregresso debito, nonostante la prima fosse creditrice della seconda dell’importo di 800mila euro, rinunciando a far valere una eventuale compensazione e, comunque, senza mai pretendere la soddisfazione del proprio credito, ben maggiore.
5.1.2. In forza di tanto, i giudici di merito hanno ravvisato la piena sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato, vale a dire (cfr. Sez. 5, n. 40446 del 04/06/2019, Polverino, Rv. 277430 – 01): a) l’interesse in conflitto, posto che gli imputati gestivano sia la dante causa sia le società aventi causa, beneficiate; b) gli atti di disposizione patrimoniale consistiti nella cessione dell’intera azien e nella emissione di una nota di accredito sine causa; c) il danno patrimoniale intenzionalmente cagioNOME alla RAGIONE_SOCIALE con la dismissione dell’intera azienda
e la conseguente impossibilità di operare; d) il perseguimento del fine specifico di procurarsi un ingiusto profitto consistente nel vantaggio ottenuto grazie al trasferimento, a prezzo notevolmente inferiore al valore reale, dell’intero patrimonio aziendale della RAGIONE_SOCIALE verso società interamente controllate dagli imputati.
5.2. La motivazione offerta risulta congrua e coerente e, letta nel suo complessivo incedere argomentativo, non incorre in fratture logiche.
5.2.1. L’affermazione di responsabilità ruota attorno a un punto, evidenziato già dal primo giudice (cfr. pag. 24), con cui i ricorsi evitano di misurarsi: complessiva strategia degli imputati ha portato a trasferire nelle loro mani l’intero complesso aziendale della RAGIONE_SOCIALE (impianti, macchinari, forza lavoro, clientela) che il dottor COGNOME, consulente di fiducia degli stessi RAGIONE_SOCIALE, ave stimato in oltre 5 milioni di euro al 31 dicembre 2013.
Il “riversamento del complesso aziendale in una nuova struttura societaria” (cfr. pag. 16 sentenza impugnata) è stato mascherato con un contratto di vendita a prezzo notevolmente inferiore a quello appena indicato.
5.2.2. Il tentativo dei ricorrenti di richiamare le singole voci della perizia dottor COGNOME non è fruttuoso, poiché non tiene conto della effettiva ratio decidendi: la RAGIONE_SOCIALE ha perso la differenza tra corrispettivo pattuito e valore complessivo dell’azienda (al di là delle singole componenti); detta società, inoltre, svuotata di qualunque mezzo e incapace di operare, ha patito anche “il forte pregiudizio della messa in liquidazione” avvenuto il 2 febbraio 2016 (cfr. pag. 24 sentenza di primo grado); con ulteriori rilevanti depauperamenti subiti, ad opera degli amministratori, nella imminenza della messa in liquidazione, a favore sia della RAGIONE_SOCIALE (con il versamento il 2 febbraio 2016 di 460mila euro) sia a favore di COGNOME (con l’emissione, in data 1 febbraio 2016, di una nota di accredito per euro 181.601,96)
5.2.3. Il riferimento che la sentenza impugnata fa alla consulenza delle difese (pag. 24) mira soltanto a contenere l’ammontare del profitto tratto dall’operazione di trasferimento d’azienda e quantificato, in ottica favorevole agli imputati, ne valore dell’avviamento stimato dal loro consulente (oltre all’importo della nota di accredito per RAGIONE_SOCIALE).
6. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
La censura invoca una sorta di buona fede dei COGNOME in ragione della stima, effettuata dal dottor COGNOME, di cui gli stessi disponevano all’epoca dei fatti.
L’assunto è completamente destituito di fondamento.
Come già aveva osservato il primo giudice, proprio la perizia COGNOME aveva fornito ai RAGIONE_SOCIALE il valore della società pari ad oltre 5 milioni di euro e «dunque
da tale dato si desume la consapevolezza da parte degli amministratori del valore effettivo dell’azienda, molto superiore rispetto a quello dei beni di cui al contrat del 3.12.2015» (così pag. 27 sentenza di primo grado; cfr. anche pagg. 26 e 27 sentenza di secondo grado).
Consegue che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Va ricordato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, DL, Rv. 217266).
La declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, con il passaggio in giudicato dell affermazione di responsabilità per il delitto di infedeltà patrimoniale, mantiene ferma la confisca per equivalente, disposta dal giudice di merto ex art. 2641, comma secondo, cod. pen., per un importo pari al profitto del reato (previsione che, per il suo oggetto, non viene intaccata dalla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla sezione quinta con ordinanza n. 8612 del 14 dicembre 2023, dep. 2024, attinente invece alla confisca per equivalente dei beni utilizzati per la commissione del reato)
Gli imputati, inoltre, devono essere condannati, in solido tra loro, alla rifusion delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che, tenuto conto dell’opera prestata dai difensori, possono liquidarsi, pe ciascuna parte, in complessivi euro 6.000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, gli imputati, in solido tra loro, alla rifusione delle spese rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi euro seimila ciascuna, oltre accessori di legge.
Così deciso il 21/06/2024