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Indirizzo PEC errato: quando l’appello è valido

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’invio di un’impugnazione a un indirizzo PEC errato non causa l’inammissibilità dell’atto se l’indirizzo utilizzato, pur non essendo quello specifico per i depositi, appartiene comunque allo stesso ufficio giudiziario ed è incluso negli elenchi ministeriali. Questo principio tutela la volontà della parte impugnante rispetto a un mero errore formale, superando un’interpretazione restrittiva della normativa sul processo penale telematico.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Indirizzo PEC errato: non sempre l’appello è inammissibile

L’invio di un atto di appello a un indirizzo PEC errato può costare caro, ma una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce i confini dell’inammissibilità, privilegiando un approccio sostanzialistico rispetto a un formalismo eccessivo. Il caso analizzato riguarda un difensore che, il giorno della scadenza, ha inviato un’impugnazione a un indirizzo di posta certificata esistente ma non corretto. Vediamo come la Suprema Corte ha risolto la questione.

I Fatti di Causa

Un avvocato doveva depositare un atto di appello avverso una sentenza del Tribunale di Salerno. L’ultimo giorno utile per il deposito, il 18 luglio 2024, il legale procedeva all’invio telematico tramite PEC. Tuttavia, l’atto veniva indirizzato a due caselle PEC appartenenti sì al Tribunale, ma non a quella specificamente designata per il deposito degli atti penali.

Accortosi dell’errore solo mesi dopo, il 19 novembre 2024, il difensore inviava nuovamente l’appello all’indirizzo corretto, chiedendo contestualmente alla Corte d’Appello la restituzione nel termine per il deposito. La Corte d’Appello respingeva l’istanza, ritenendo l’errore del difensore non scusabile e il successivo invio tardivo. Di conseguenza, il difensore proponeva ricorso per Cassazione.

La decisione della Corte sull’indirizzo PEC errato

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza della Corte d’Appello. Il punto cruciale della decisione non risiede nella valutazione della scusabilità dell’errore ai fini della restituzione nel termine, bensì nell’analisi preliminare della validità del primo deposito.

Secondo la Suprema Corte, l’invio a un indirizzo PEC errato non determina automaticamente l’inammissibilità dell’impugnazione. È necessario distinguere: un conto è inviare l’atto a un indirizzo non presente negli elenchi ministeriali o appartenente a un ufficio giudiziario diverso; un altro è inviarlo a un indirizzo che, pur non essendo quello specifico, è comunque “riferibile” all’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato e figura negli elenchi ufficiali del Ministero della Giustizia.

Le Motivazioni

La Corte fonda il suo ragionamento sulla normativa transitoria che regola il deposito telematico degli atti penali (art. 87-bis del d.lgs. n. 150/2022). Tale norma prevede l’inammissibilità quando l’atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata “non riferibile” all’ufficio che ha emesso il provvedimento.

La Cassazione interpreta questo requisito in senso meno restrittivo. Se l’indirizzo PEC utilizzato, sebbene non sia quello specificamente designato per il deposito di quel tipo di atto, è comunque compreso nell’elenco ufficiale degli indirizzi di quell’ufficio giudiziario (pubblicato sul portale dei servizi telematici), l’atto non può essere considerato inammissibile. L’errore nell’individuazione della casella specifica all’interno dello stesso ufficio non equivale a un invio a un destinatario completamente estraneo.

Questa interpretazione è coerente con una precedente giurisprudenza (Cass. n. 4633/2024) e mira a salvaguardare la sostanza dell’atto e la volontà della parte, evitando che un errore meramente formale possa precludere il diritto di difesa e di impugnazione. L’essenziale è che l’atto pervenga all’ufficio giudiziario corretto, anche se tramite una “porta” interna diversa da quella principale.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante punto di riferimento per gli operatori del diritto nell’era della digitalizzazione del processo penale. Essa stabilisce un principio di ragionevolezza: non ogni errore nell’uso dell’indirizzo PEC comporta la sanzione più grave dell’inammissibilità. La validità del deposito è garantita se l’indirizzo utilizzato è ufficialmente riconducibile all’ufficio giudiziario destinatario. Questo non elimina il dovere di diligenza del difensore nell’utilizzare l’indirizzo corretto, ma impedisce che un errore formale, che non pregiudica la ricezione dell’atto da parte dell’ufficio competente, possa vanificare il diritto di impugnazione.

Cosa succede se un avvocato invia un appello a un indirizzo PEC errato?
Secondo la sentenza, l’appello non è automaticamente inammissibile. Se l’indirizzo PEC, pur non essendo quello specifico per i depositi, appartiene allo stesso ufficio giudiziario ed è presente negli elenchi ufficiali del Ministero, l’invio è considerato valido.

L’appello è sempre valido se inviato a un indirizzo PEC dello stesso tribunale?
Sì, a condizione che l’indirizzo PEC utilizzato sia incluso nel provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, cioè nell’elenco ufficiale degli indirizzi di quell’ufficio. L’inammissibilità scatta solo se l’indirizzo è “non riferibile” all’ufficio che ha emesso il provvedimento, come un indirizzo di un altro tribunale o uno non presente negli elenchi.

Quale principio guida la decisione della Corte in questo caso?
La decisione è guidata da un’interpretazione sostanzialistica delle norme processuali, in linea con il principio del favor impugnationis. Questo principio suggerisce di preferire, nel dubbio, l’interpretazione che consente l’esame nel merito dell’impugnazione, per tutelare il diritto di difesa della parte, piuttosto che sanzionare un errore meramente formale che non ha compromesso lo scopo dell’atto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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