Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 30057 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 30057 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LOCRI il DATA_NASCITA
avverso•l’ordinanza del 25/01/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, il quale ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Ritenuto in fatto
La Corte d’appello di Roma, decidendo sull’istanza di riconoscimento di indennizzo per la detenzione ingiustamente subita da COGNOME NOME con riferimento a un’ordinanza dispositiva, nei suoi confronti, della misura della custodia cautelare in carcere, interamente eseguita sino alla scarcerazione per decorrenza dei termini di fase, siccome gravemente indiziato del delitto di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309/1990 ; e agli artt. 73 e 80 e all’art. 73 stesso d.P.R. , reati dai quali era stato assolto in sede di rinvio dopo l’annullamento della prima sentenza d’appello, confermativa della condanna in abbreviato, ha ritenuto COGNOME l’esistenza COGNOME di COGNOME un COGNOME comportamento COGNOME ostativo COGNOME dell’interessato, causalmente collegato all’apparenza del quadro gravamente indiziario a suo carico in ordine ai reati di cui sopra.
Premessa un’analitica ricostruzione dell’intera vicenda processuale e delle sue interconnessioni con altra inerente all’omicidio di NOME NOME, avvenuto nel gennaio del 2013 nella capitale (reato che aveva visto l’odierno ricorrente tra i soggetti accusati da un collaboratore di giustizia), la Corte ha esposto le ragioni per le quali ha ritenuto che il comportamento del richiedente, connotato quantomeno da colpa grave, avesse contribuito all’esecuzione della misura restrittiva più grave.
In primo luogo, ha valorizzato in chiave causale la caratura criminale del COGNOME (egli NOME scelto uno stile di vita pervicacemente portato avanti, nonostante la condanna per narcotraffico per fatti vicini a quelli per i quali è NOME avanzata la richiesta di indennizzo e l’avvenuta scarcerazione solo un anno prima degli eventi qui d’interesse); il mancato accertamento di f un’attività lecita dalla quale traesse le fontii i sostentamento; la circostanza (non smentita in sede di assoluzione) che lo stesso aveva sostenuto le spese legali in favore di COGNOME NOME (corriere al quale era NOME sequstrata l’arma impiegata per l’omicidio NOME, un appunto con il numero cellulare del solo COGNOME, infine il quantitativo di sei chilogrammi di marijuana); infine, le frequentazioni con criminali di elevato spessore (tra i quali, lo stesso collaboratore di giustizia, le cui dichiarazioni erano state poste a base della ricostruzione dell’omicidio NOME, ma anche i propri familiari, padre e fratello, parimenti coinvolti in quella vicenda e COGNOME NOME e COGNOME NOME, condannati per omicidio volontario). Su tale ultimo punto,
peraltro, la Corte della riparazione ha richiamato le affermazioni del giudice dell’assoluzione che aveva dato atto del contesto dei rapporti familiari, personali e illeciti del padre COGNOME NOME, come descritto dal collaboratore, tale da far ritenere che la condotta dei figli fosse condizionata dalla volontà del padre; ma anche dell’impegno di costoro nel narcotraffico, essendo pacificamente emerso che il padre, dopo l’arresto di due esponenti della famiglia COGNOME per traffico internazionale di cocaina, aveva cercato di affidare i due figli ai cugini “COGNOME” perché svolgessero una sorta di vigilanza sugli stessi.
Inoltre, la Corte ha osservato che l’assoluzione non era derivata da una radicale smentita dell’apporto conoscitivo del collaboratore COGNOME, ma dalla circostanza che alcune sue affermazioni erano rimaste prive di riscontro, con conferma di altre.
La difesa del COGNOME ha proposto ricorso, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza di un comportamento ostativo alla insoregnza del diritto azionato.
Anche il difensore ha operato in premessa una ricostruzione analitica della vicenda all’esame, osservando che l’autonomia della valutazione del giudice della riparazione, rispetto a quella compiuta dal giudice della cognizione, incontrerebbe il limite dell’accertamento effettuato dal secondo e che, nella specie, COGNOME era stato intanto assolto nel processo per omicidio, essendo NOME, in quel processo, neutralizzata dal giudice della cognizione la valenza indiziaria degli elementi raccolti (procedendo alla loro indicazione analitica). Ha, poi, rilevato che l’elemento del ritrovamento del numero di cellulare al COGNOME non costituirebbe un dato valorizzabile ai fini in esame, NOME il giudice in quella diversa sede processuale ritenuto non dimostrato che l’utenza -fosse riferibile al COGNOME. Quanto, poi, alla condotta di vita e alle frequentazioni ambigue, la difesa ha rilevato che l’esistenza dell’associazione era NOME esclusa in radice, cosicché tali frequentazioni non potrebbero correlarsi, in termini di concausalità, alla privazione della libertà. Inolt quanto allo stile di vita, definito dalla Corte della riparazione antigiuridico antisociale, la difesa ha obiettato che trattasi di elementi che non si traducono in un comportamento dell’interessato, con conseguente difetto, anche in questo caso, del necessario collegamento etiologico tra tali elementi e la privazione della libertà. Infine, ha contestato gli operati richiami al sentenza assolutoria, asserendo lo stravolgimento del loro significato, affermando di non aver trovato traccia dell’ulteriore passaggio riportato tra
virgolette come riferito alla sentenza assolutoria, nel quale si dà atto dell’esistenza dei rapporti tra il collaboratore, COGNOME NOME e i figli di costui, tra i quali l’odierno ricorrente, altresì osservando, con riferimento a precedenti penali, che la loro valorizzazione sarebbe condizionata alla circostanza che di essi il giudice della cattura avesse tenuto conto, rilevando di per sé solo ove specificamente connessi alle contestazioni per le quali è stato emesso il titolo cautelare. Sotto altro porfilo, poi, ha contestato l conducenza del dato del pagamento delle spese legali del COGNOME, rispetto al quale, ancora una volta, ha sottoineato la mancata conoscenza del documento dal quale il passaggio sarebbe ricavato, tenuto anche onto che la riferibilità dell’arma trovata al COGNOME all’omicidio NOME NOME NOME esclusa dalla sentenza assolutoria del 26/6/2017.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato proprie conclusioni, con le quali ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Considerato in diritto
Il ricorso va .tolto nei termini che si vanno a illustrare.
In linea generale, va ribadito che – ai fini del riconoscimento dell’indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell’istituto (Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606). Sotto altro profilo, va pure ricordato che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante -e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli .estrenni di reato, ma solo se sia NOME il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese, Rv. 259082; sez. 4, n.
3359 del 22/09/2016, dep. 2017, La Fornara, Rv. 268952; n. 3895 del 14/12/2017, dep. 2018, P., Rv. 271739; n. 39726 del 27/9/2023, COGNOME, RV. 285069-01).
Nello svolgimento di detta verifica, peraltro, non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare, pur nell’errore dell’autorità procedente, quel grave quadro indiziante un suo coinvolgimento negli illeciti oggetto d’indagine. Ai medesimi fini, il giudice deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, Hosni, Rv. 276458).
Questo, dunque, è il significato dell’autonomia tra il giudizio per la riparazione e quello di cognizione: i due giudizi impegnano piani di indagine diversi che possono portare a conclusioni differenti in base allo stesso materiale probatorio in atti; i che, tuttavia, non consente al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (sez. 4 n. 11150 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262957; n. 46469 del 14/9/2018, COGNOME, Rv. 274350-01).
Quanto, poi, alla natura del comportamento ostativo, deve anche ribadirsi che esso può essere certamente integrato dalle cc.dd. frequentazioni ambigue con soggetti condannati nel medesimo procedimento, ma il giudice della riparazione deve fornire adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi di complicità, in rapporto al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, COGNOME, Rv. 274498-01; n. 850 del 28/9/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282565-01). Trattasi, peraltro, di comportamento astrattamente rilevante anche ove le frequentazioni intervengano con persone legate da rapporto di parentela, sempre che siano accompagnate dalla consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti e non siano assolutamente necessitate (sez. 4, n. 29550 del 5/6/2019, COGNOME, Rv. 277475-01).
Allo stesso modo, il giudice della riparazione può valutare la condotta di vita dell’interessato, sempre che essa abbia costituito elemento considerato a sua volta dal giudice della cautela a conferma della gravità indiziaria, come, ad esempio, nell’ipotesi di una incolpazione provvisoria inerente ad attività di narcotraffico, come nella specie, rispetto alla quale nel titolo cautelare si sia dato atto della circostanza
che l’indagato è soggetto dedito a tale attività e che dalla stessa trae il suo sostentamento.
Ancora, sempre avuto riguardo alla tipologia di comportamento considerata nell’ordinanza impugnata, giova ribadire che il giudice può valutare comportamenti del richiedente, la cui dimostrazione sia tratta da una prova dichiarativa assunta nel giudizio di merito, ma sempre che tale prova abbia positivamente superato il vaglio del giudizio di cognizione o, comunque, se il giudice abbia conto dell’accertata riferibilità della condotta ostativa al richiedente, o ancora, abbia verificato che quanto dichiarato non sia stato escluso dalla sentenza di assoluzione (sez. 4, n. 2202 del 12/1/2022, Sewaneh, Rv. 282570-01, in fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza di rigetto dell’istanz di riparazione in quanto fondata su comportamenti dell’istante riportati da testimoni, senza riferimento alla valutazione che di quelle prove dichiarative aveva fatto il giudice di merito).
Fatta tale premessa in diritto, deve poi operarsi una precisazione imposta dall’articolazione del ragionamento svolto nel provvedimento censurato.
Infatti, sino a pag. 21, la Corte della riparazione ha sostanzialmente operato una ricognizione degli elementi ritenuti utilizzabili ai fini dello scrutinio inerente a condizione negativa posta dall’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. Di lì in ayeti, invece, ha condensato le sue valutazioni circa il comportamento del COGNOME che ha ritenuto di poter trarre proprio da quegli elementi e il suo collegamento etiologico con la privazione della libertà.
L’esistenza di propalazioni del collaboratore di giustizia COGNOME NOMENOME NOME, ha determinato l’estensione della valutazione operata dai giudici capitolini all’accertamento contenuto nella sentenza che ha definito, anch’essa in termini assolutori, l’accusa di concorso in omicidio ai danni di COGNOME NOMENOME NOME quel dichiarante offerto elementi utilizzati in entrambi i procedimenti. E, a tale spcifico fine, la Corte della riparazione ha ritenuto che tale apporto dichiarativo non avesse ricevuto in entrambi gli ambiti processuali una “patente” di inaffidabilità, ma soltanto che alcune affermazioni del propalante non erano state riscontrate.
Inoltre, sempre secondo il ragionamento esposto nell’ordinanza, i giudici della riparazione hanno collegato il comportamento ostativo riconosciuto in capo al richiedente anche al quadro cautelare, affermando che, ove il COGNOME non fosse stato pregiudicato per reati della stessa specie e ove si fosse dissociato dall’ambiente criminale di riferimento, senza perseverare in uno stile di vita antigiuridico, la misura avrebbe anche potuto essere non restrittiva (v. foglio 22 dell’ordinanza impugnata).
Il ragionamento, nel suo complesso, non supera il vaglio di legittimità, riposando su affermazioni errate in diritto ed articolandosi in maniera incompleta, risultando peraltro smentito dalle stesse premesse operate dai giudici della riparazione.
Quanto allo stile di vita, intanto, pur dovendosi riaffermare che il diritto all riparazione per l’ingiusta detenzione non spetta se l’interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Tucci, Rv. 242034-01), ha colto nel segno la difesa nell’evidenziare che la Corte non ha specificato se il precedente penale prossimo in materia di narcotraffico fosse stato considerato dal giudice della cautela, non ai fini della prognosi di pericolosità, qui irrilevante, bensì per avvalorare il coinvolgimento del COGNOME negli illeciti traffici, specificamente contestati nel procedimento d’interesse.
Quanto, poi, alle dichiarazioni del COGNOME, la Corte le ha erroneamente rivalutate ai fini della loro valenza dimostrativa, in maniera pertanto incoerente con il principio di autonomia tra i due piani di giudizio, come sopra chiarito, suo compito essendo piuttosto quello di indicare quali tra queste dichiarazioni i giudici della cognizione avessero ritenuto confermate e, quindi, dotate di valenza probatoria rispetto alle specifiche condotte attribuite al COGNOME.
Infine, con riferimento all’ulteriore elemento, astrattamente rilevante ai fini del vaglio devoluto al giudice della riparazione, vale a dire le frequentazioni ambigue con soggetti pregiudicati, anche se familiari, la Corte della riparazione ha omesso, come rilevato ancora una volta dalla difesa, di valutarne doverosamente il collegamento con l’indagine nella quale è stato adottato il titolo al quale si riferisce la richiesta di indennizzo.
L’ordinanza deve essere pertanto annullata perché la Corte d’appello di Roma proceda a un rinnovato giudizio che tenga conto dei sopra richiamati principi.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma.
Deciso il 4 luglio 2024