Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 36964 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 36964 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a BARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/02/2025 della CORTE APPELLO di BARI
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona della sostituta NOME COGNOME, con le quali si è chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
La Corte d’appello di Bari ha rigettato l’istanza di riconoscimento di un indennizzo per la detenzione ingiustamente subita da COGNOME NOME con riferimento a un’ordinanza dispositiva della misura della custodia cautelare in carcere, siccome gravamente indiziato di concorso in omicidio ai danni di COGNOME NOME e partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso (RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE). L’ordinanza applicativa della misura era stata confermata dal Tribunale del riesame, ma successivamente revocata dal GIP su richiesta del PM, alla luce di sopravvenuti elementi che avevano giustificato l’accoglimento della richiesta di archiviazione. Nel rigettare la domanda, la Corte della riparazione ha ravvisato un comportamento ostativo dell’interessato – causalmente collegato all’apparenza del quadro gravamente indiziario a suo carico in ordine ai reati di cui sopra – nel contenuto di conversazioni intrattenute dallo stesso con il suocero COGNOME NOME e il di lui figlio, il primo condanNOME per associazione di stampo mafioso, per l’omicidio COGNOME e per il tentato omicidio COGNOME, nonché per l’omicidio oggetto del procedimento penale esitato nel decreto di archiviazione emesso nei confronti del richiedente.
La difesa del COGNOME ha proposto ricorso, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza di un comportamento ostativo.
Secondo le argomentazioni difensive, la Corte della riparazione non si sarebbe confrontata con tutti gli elementi che hanno condotto alla archiviazione del procedimento nei confronti del richiedente, avendo valorizzato, di contro, conversazioni che il COGNOME aveva intrattenuto con il proprio suocero, gli stessi collaboratori di giustizia avendo escluso un coinvolgimento del COGNOME che aveva fornito un alibi in sede di spontanee dichiarazioni, alla luce del quale il titolo cautelare era stato revocato, conclusivamente osservando che, nel caso all’esame, non vi era stata neppure una sentenza di assoluzione, ma addirittura un decreto di archiviazione.
NOME COGNOME Procuratore generale, COGNOME in COGNOME persona COGNOME della COGNOME sostituta COGNOME NOME COGNOME, ha rassegNOME proprie conclusioni, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
L’Avvocatura generale dello Stato per il Ministero resistente ha depositato memoria, con la quale ha sostenuto l’infondatezza del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso va rigettato per infondatezza del motivo.
2. In linea generale, va ribadito che – ai fini del riconoscimento dell’indennizzo – può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell’istituto (Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, COGNOME, Rv. 257606 – 01). Sotto altro profilo, va pure ricordato che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di accertare, con valutazione ex ante -e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese, Rv. 259082 – 01; n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, La COGNOME, Rv. 268952 – 01; n. 3895 del 14/12/2017, dep. 2018, P., Rv. 271739 – 01; n. 39726 del 27/9/2023, COGNOME, RV. 285069 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nello svolgimento di detta verifica, peraltro, non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma piuttosto dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare, pur nell’errore dell’autorità procedente, quel grave quadro indiziante un suo coinvolgimento negli illeciti oggetto d’indagine. Ai medesimi fini, il giudice deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento una motivazione che, se adeguata e
congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, Hosni, Rv. 276458 – 01).
Questo, dunque, è il significato dell’autonomia tra il giudizio per la riparazione e quello di cognizione: essi impegnano piani di indagine diversi che possono portare a conclusioni differenti in base allo stesso materiale probatorio in atti; il che, tuttavi non consente al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4 n. 11150 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262957 – 01; n. 46469 del 14/9/2018, COGNOME, Rv. 274350 – 01).
Quanto, poi, alla natura del comportamento ostativo, deve anche ribadirsi che esso può essere certamente integrato dalle cc.dd. frequentazioni ambigue con soggetti condannati nel medesimo procedimento, ma il giudice della riparazione deve fornire adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità a essere interpretate come indizi di complicità, in rapporto al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, COGNOME, Rv. 274498 – 01; n. 850 del 28/9/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282565 – 01). Trattasi, peraltro, di comportamento astrattamente rilevante anche ove le frequentazioni intervengano con persone legate da rapporto di parentela, sempre che siano accompagnate dalla consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti e non siano assolutamente necessitate (Sez. 4, n. 29550 del 5/6/2019, COGNOME, Rv. 277475 – 01).
Ancora, sempre avuto riguardo alla tipologia di comportamento considerata nell’ordinanza impugnata, giova ribadire che il giudice può valutare comportamenti del richiedente, la cui dimostrazione sia tratta da una prova dichiarativa assunta nel giudizio di merito, ma sempre che tale prova abbia positivamente superato il vaglio del giudizio di cognizione o, comunque, se il giudice abbia I Wtt dell’accertata riferibilità della condotta ostativa al richiedente, o, ancora, abbia verificato che quanto dichiarato non sia stato escluso dalla sentenza di assoluzione (Sez. 4, n. 2202 del 12/1/2022, Sewaneh, Rv. 282570 – 01, in fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza di rigetto dell’istanza di riparazione in quanto fondata su comportamenti dell’istante riportati da testimoni, senza riferimento alla valutazione che di quelle prove dichiarative aveva fatto il giudice di merito).
Fatta tale premessa in diritto, deve rilevarsi che la Corte della riparazione ha dapprima operato una ricognizione degli elementi ritenuti utilizzabili ai fini dello scrutinio inerente alla condizione negativa posta dall’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., enucleandone taluni che la difesa non ha ritenuto insussistenti o smentiti in
sede di archiviazione del procedimento, avendone piuttosto offerto una lettura dissonante, rispetto a quella congruamente giustificata del giudice territoriale. Peraltro i giudici della riparazione hanno collegato il comportamento ostativo direttamente al quadro cautelare, sostanzialmente ravvisando una grave imprudenza del COGNOME per avere costui intrattenuto, sia pur con un congiunto, dialoghi aventi la portata di quelli richiamati nell’ordinanza impugnata, nella consapevolezza della caratura criminale dell’interlocutore, soggetto già condanNOME per associazione mafiosa e per altri gravissimi delitti per i quali aveva anche scontato la pena.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute, per questo giudizio di legittimità, dal Ministero resistente che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dal Ministero resistente, che liquida in euro mille.
Deciso il 30 settembre 2025
alvo
La Consigliera est.
COGNOME
Ilpresidte
NOME COGNOME
COGNOMEE COGNOME