Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 35028 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 35028 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nata a Reggio Emilia il DATA_NASCITA, avverso la sentenza in data 27/03/2025 della Corte di appello di Palermo; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte con, ex art. 611 cod. proc. pen., cui il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 27/03/2025, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza con cui, il precedente 19/07/2023, il Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, aveva prosciolto NOME NOME dai delitti di furto di cui ai capi 2, 4, 6, 7 e 10 (quest’ultimo in esito alla derubricazione de delitto di ricettazione in origine contestato), aveva dichiarato la propria incompetenza per materia in relazione al delitto di associazione per delinquere di cui al capo 1 e aveva disposto, per l’effetto, la trasmissione degli atti alla local Procura della Repubblica, ha dichiarato la nullità della statuizione relativa al più grave delitto-mezzo, ha disposto la trasmissione degli atti al Tribunale di
Palermo, in composizione collegiale e ha confermato, nel resto, la decisione gravata.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore della COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha articolato un unico motivo di ricorso, di seguito sintetizzato conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con tale motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza della norma processuale di cui all’art. 33quinquies, comma 5, cod. proc. pen.
Sostiene, in particolare, che, con la decisione impugnata, sarebbe stata erroneamente dichiarata la nullità della statuizione relativa al delitto associativo, in quanto le questioni attinenti alla competenza del giudice procedente avrebbero dovuto essere prospettate o rilevate d’ufficio entro il termine di cui all’art. 491, comma 1, cod. proc. pen. o, al più, all’udienza preliminare, nel caso in cui si fosse proceduto per delitti per cui tale fase è prevista, sicché la Cort territoriale, una volta investita della trattazione del processo, avrebbe dovuto pronunciarsi anche sul più grave delitto-mezzo, piuttosto che dichiarare la nullità della decisione gravata, nella parte relativa alla declaratoria di incompetenza del primo giudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME è manifestamente infondato per le ragioni che, di seguito, si espongono.
Destituito di fondamento è l’unico motivo del ricorso, con cui si lamenta l’inosservanza della norma processuale di cui all’art. 33-quinquies, comma 5, cod. proc. pen., sostenendo che, con la decisione impugnata, si sarebbe erroneamente dichiarata la nullità della statuizione relativa al delitto associativo, posto che le questioni relative alla competenza del giudice procedente avrebbero dovuto essere prospettate o rilevate d’ufficio entro il termine di cui all’art. 491 comma 1, cod. proc. pen. o, al più, all’udienza preliminare, laddove si fosse proceduto per delitti per i quali è prevista tale fase, sicché la Corte territorial investita della trattazione del processo, avrebbe dovuto pronunciarsi anche sul più grave delitto-mezzo e non dichiarare – come avvenuto – la nullità della decisione gravata, nella parte relativa alla declaratoria di incompetenza del primo giudice.
Ritine il Collegio che la decisione oggetto d’impugnativa, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, non sia inficiata dall’inosservanza dell’indicata norma processuale.
Deve innanzitutto porsi in rilievo che la natura processuale della deduzione legittima la diretta consultazione degli atti, costituendo principio consolidato quello secondo cui «In tema di impugnazioni, allorché sia dedotto, mediante ricorso per cessazione, un “error in procedendo” ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., la Corte di cessazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali» (così: sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, NOME, Rv. 255304-01, nonché, in precedenza, Sez. 4, n. 47891 del 28/09/2004, NOME e altri, Rv. 230568-01).
Orbene, l’attenta disamina dell’incarto processuale rivela che la questione prospettata con l’impugnativa in disamina non fu dedotta con l’atto di appello, essendosi limitata, nell’occasione, la parte appellante ad invocare, peraltro in via subordinata, la declaratoria di nullità della sentenza emessa dal giudice di primo grado, con conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di Palermo in composizione collegiale.
Tale circostanza pone la decisione assunta dalla Corte di appello al riparo dalle censure fatte valere con il ricorso in trattazione, essendosi chiarito, da tempo, nella giurisprudenza di legittimità che «L’annullamento senza rinvio, per abnormità, dell’ordinanza con cui il tribunale monocratico, oltre i termini previsti dall’art. 33 quinquies, comma primo, cod. proc. pen., abbia, nel dibattimento, per reato la cui cognizione appartenga al tribunale in composizione collegiale, restituito gli atti al pubblico ministero anziché al tribunale stesso, comporta la trasmissione degli atti al tribunale collegiale laddove la decadenza, per inosservanza dei termini, del giudice monocratico dal potere di rilevare la violazione, non abbia formato oggetto di ricorso» (così Sez. 1, n. 43193 del 12/06/2012, P.M. in proc. Dedi, Rv. 253749-01).
D’altro canto, non può non rilevarsi che, nella vicenda di specie, sussiste un’evidente carenza di interesse della parte ricorrente, non essendovi stata, per effetto della pronunzia, una lesione dei suoi diritti o, comunque, un’indebita compressione delle prerogative difensive, atteso che la disposta trasmissione degli atti al giudice collegiale assicura maggiori garanzie rispetto ad un eventuale giudizio da parte di un organo decidente di natura monocratica.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che la ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’08/10/2025