Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44496 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44496 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a VIBO VALENTIA il 05/04/1961
avverso l’ordinanza del 08/07/2024 del TRIBUNALE di MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME; lette/ -3cntite le conclusioni del PG
Letta la requisitoria del dott. NOME COGNOME Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, con cui è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Milano, quale giudice dell’esecuzione, ha dichiarato inammissibile un incidente di esecuzione proposto avverso il rigetto da parte del Pubblico ministero presso lo stesso Tribunale di un’istanza presentata personalmente da NOME COGNOME di correzione di un provvedimento di cumulo emesso in data 31/10/2023 e del conseguente ordine di esecuzione.
Avverso detta ordinanza COGNOME tramite il proprio difensore, propone ricorso per cassazione, deducendo violazione degli artt. 111 Cost. e 546 cod. proc. pen., nonché carenza e/o apparenza di motivazione.
Osserva che: – con l’ordinanza n. 7/2022 del Tribunale di Caltanissetta era accolta la richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati già unificati con una serie di ordinanze e le sentenze sub 8 e 13 del casellario giudiziale, per un totale di diciotto titoli anziché sedici ; – era stato segnalato nell’istanza originaria che con ordinanza n. 43/2023 del 6 aprile 2023 il Tribunale di Caltanissetta, quale giudice dell’esecuzione, avesse chiarito tra i reati di quali ordinanze fosse stata riconosciuta la continuazione e specificato che si trattava dei reati delle sentenze di cui all’ordinanza n. 1499/2017 del Tribunale di Milano, di cui all’ordinanza n. 170/2019 del Tribunale di Vibo Valentia, e di cui all’ordinanza n. 71/21 del Tribunale di Caltanissetta; – il Tribunale di Milano, senza addentrarsi nel merito della richiesta e confrontarsi con le censure, si è limitato a richiamare i precedenti provvedimenti dei giudici dell’esecuzione.
La difesa, pertanto, insiste per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per genericità, aspecificità e manifesta infondatezza.
Invero, si evince dal provvedimento impugnato che: – l’incidente di esecuzione oggetto di valutazione risulta costituito dalle istanze di due
diversi difensori di COGNOME, dal contenuto pressoché identico, che ripercorrevano ampiamente una serie di precedenti pronunce di diversi giudici dell’esecuzione e concludevano chiedendo «la rideterminazione della pena complessiva in termini di minor rigore» senza alcuna precisazione in ordine ad eventuale errore di calcolo commesso dal P.m. nella redazione del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti; fissata l’udienza per la riunione dei procedimenti e per la migliore determinazione della domanda da parte della difesa, da quest’ultima non risulta pervenuta alcuna precisazione in merito, avendo la medesima, invece, ribadito una richiesta di rivalutazione dei provvedimenti già emessi da altre autorità giudiziarie ed attinenti al riconoscimento della continuazione; – certamente non è possibile riesaminare ed eventualmente modificare il contenuto dei provvedimenti dei precedenti giudici dell’esecuzione, che avevano deliberato sulle richieste del condannato di applicazione dell’istituto della continuazione; – ciò con particolare riferimento all’ordinanza emessa il 20 gennaio 2023 dal Tribunale di Caltanissetta, Tribunale che risulta avere già respinto, in data 6 aprile 2023 l’istanza del condannato di correzione di errore materiale, escludendo qualsiasi incongruenza fra motivazione e dispositivo del suddetto provvedimento, in particolare con riferimento al numero di sentenze in relazione alle quali era stata riconosciuta la continuazione; – pertanto le due analoghe istanze difensive appaiono, da un lato, indeterminate con riferimento all’eventuale errore di calcolo del pubblico ministero, che non viene in alcun modo individuato, e, dall’altro, avanzate fuori dai casi previsti dalla legge, nella parte in cui le stesse contengono censure ai provvedimenti di precedenti giudici dell’esecuzione, in relazione ai quali, una volta escluso l’errore materiale, si sarebbe eventualmente dovuto procedere con ricorso per cassazione.
Tali essendo le argomentazioni dell’ordinanza impugnata, scevre da vizi logici e giuridici, il ricorso si limita a lamentare una motivazione apparente che, invece, non sussiste, non contesta specificamente quanto affermato da detta ordinanza, in particolare con riguardo al fatto che le doglianze nei confronti di precedenti provvedimenti dei giudici dell’esecuzione dovevano essere fatte valere tramite ricorso per cassazione avverso i singoli provvedimenti, e non chiarisce qual è l’originario petitum.
Ne deriva la manifesta infondatezza e aspecificità delle censure difensive, che insistono su generici rilievi già proposti in sede esecutiva e
correttamente e logicamente affrontati nell’ordinanza in esame con argomentazioni con le quali il ricorso non si confronta.
All’inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali e di una somma che si ritiene equo determinare in euro tremila a favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2024.