Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20127 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20127 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Casertano Prisco, nato il 16/11/1956 a Venafro avverso la sentenza del 17/10/2024 dalla Corte di appello di Campobasso;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che chiede il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Campobasso confermava la condanna di Prisco Casertano per peculato (art. 314 cod. pen.), perché, quale incaricato di pubblico servizio impiegato presso l’ufficio CUP dell’ospedale di
Venafro, si appropriava della somma di C 34.545,89, di spettanza dell’ASREM, in suo possesso per ragioni di servizio.
Le sentenze di merito accertavano che l’imputato, dipendente dell’Azienda Sanitaria della Regione Molise (ASREM) con mansioni di operatore di sportello CUP presso la Casa della Salute di Venafro e addetto all’intero processo di prenotazione delle prestazioni sanitarie erogate dall’ASREM, ivi compresa la riscossione del ticket, previa fittizia cancellazione di numerose prenotazioni di prestazioni sanitarie (per le quali gli utenti avevano pagato il relativo ticket), usufruendone poi regolarmente, ometteva di corrispondere le somme relative all’ente, appropriandosene e facendo risultare effettuati i corrispondenti rimborsi in realtà mai eseguiti.
Avverso la sentenza presentava ricorso Prisco Casertano, per il tramite dell’Avv. NOME COGNOME deducendo i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio.
I Giudici di merito fanno discendere la qualifica soggettiva pubblicistica dal mero rapporto di pubblico impiego dell’imputato con l’ASREM di Campobasso, escludendo che l’operatore di sportello addetto alle prenotazioni delle prestazioni all’incasso dei ticket svolga mansioni materiali.
Tuttavia, in appello si era dedotto come dalle attività svolte dall’imputato esulasse ogni forma di discrezionalità, essendo seriali e a tal punto esecutive che possono essere interamente meccanizzate attraverso servizi online.
2.2. Violazione di legge penale e vizio di motivazione quanto alla mancata riqualificazione del fatto in truffa.
Premesso che il servizio CUP si snodava attraverso le fasi della prenotazione, del pagamento del ticket e della effettuazione della prestazione sanitaria, la differenza tra peculato e truffa risiede non tanto nella precedenza cronologica o contestualità della frode rispetto alla condotta appropriativa, bensì nel modo con cui il funzionario infedele acquista il possesso del denaro o del bene: il momento consumativo della truffa coincidendo con il conseguimento del possesso a cagione dell’inganno e quale diretta conseguenza di esso; il peculato presupponendo che sia già stato ottenuto legittimamente il possesso.
Il fatto che Casertano potesse operare nell’ufficio CUP, acquisendo le somme corrisposte dagli utenti, quale interfaccia esclusivo dell’ASREM, sarebbe quindi un dato ininfluente rispetto alla disponibilità materiale o giuridica del denaro.
Una volta accertato che, per accedere alla disponibilità delle somme, occorreva attenersi alla sequenza procedurale che vedeva quale presupposto indefettibile la cancellazione delle prenotazioni, è giocoforza concludere che il
ricorrente non aveva a priori alcuna disponibilità materiale o giuridica delle somme contestate. Con la conseguenza che avrebbe dovuto essere condannato per truffa.
2.3. Violazione di legge penale e vizio di motivazione per aver ritenuto provata la distrazione e l’impossessamento, con inversione dell’onere della prova e conseguente violazione del diritto di difesa. Errata applicazione dell’art. 322-ter, comma 3, cod. pen. e vizio di motivazione.
I Giudici hanno affermato la responsabilità dell’imputato sulla base dell’irregolare tenuta della documentazione contabile, la quale può rappresentare sintomo della condotta di appropriazione, ma non sostituirne la prova.
Neppure tale prova è desumibile da un calcolo meramente statistico, come avvenuto nel caso di specie, in cui è stata fondata sul fatto che, nel periodo 2018/2020, il ricorrente avesse effettuato la cancellazione di 651 prenotazioni delle quali, a seguito di un accertamento a campione, è risultato che le prestazioni sanitarie sono state eseguite in soli nove casi e dal fatto che, nel periodo compreso tra il 28 novembre e il 24 dicembre 2020, l’imputato, attenzionato da riprese audiovisive, è stato visto, una volta, prelevare dal cassetto C 800.
Per contro, non è stato sentito alcun utente-paziente – nemmeno uno dei nove individuati a campione – per verificare se avessero pagato la prestazione o fossero stati soltanto agevolati da Casertano.
Non è stato accertato il numero di prestazioni sanitarie eseguite a fronte delle 651 cancellazioni.
Neppure la Corte di appello ha sentito l’amministratore di RAGIONE_SOCIALE o il contabile dell’ente per verificare l’entità degli ammanchi e, se sussistenti, a quale periodo si riferissero.
Manca, dunque, la prova della commissione del reato.
Di conseguenza, anche l’ammontare del profitto confiscato è stato definito sulla base di un semplice calcolo statistico, ritenendo che la somma corrispondesse alle prestazioni eseguite riferite alle 651 prenotazioni poi cancellate: tralasciando di considerare, dunque, che presupposto della confisca per equivalente è che il profitto sia individuabile ed individuato.
A maggior ragione, l’individuazione del profitto è necessaria ove si faccia luogo a confisca in via diretta del denaro.
2.4. Violazione di legge penale vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
A fronte delle deduzioni difensive, la Corte di appello non ha esplicitato i motivi per cui ha ritenuto di respingere la richiesta, limitandosi ad escludere si ravvisassero elementi tali da giustificare il riconoscimento delle attenuanti generiche.
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La RAGIONE_SOCIALE, parte civile, ha presentato conclusioni scritte con cui chiede la conferma della condanna.
Ha presentato una memoria scritta il ricorrente che, in replica alla requisitoria del Procuratore generale, ha ribadito come, nel caso di specie, non viene in discussione il carattere pubblico dell’attività dell’Azienda, ma la natura delle mansioni esercitate dal prevenuto, meramente esecutive di operazioni interamente predefinite nelle loro caratteristiche, di fatto meccanizzate, che si esplicano attraverso la prenotazione dei servizi sanitari standardizzati e l’incasso dei corrispettivi, anch’essi predefiniti nel loro ammontare: attività, dunque, connotata da serialità e dall’assenza di discrezionalià o impegno ideativo rispetto alle analoghe funzioni assicurate dal servizio online da remoto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei limiti di seguito indicati.
Fondato è, in particolare, il primo motivo di ricorso.
2.1. Nel rispondere ad analoga deduzione in appello, i Giudici del provvedimento impugnato richiamano la giurisprudenza di legittimità sulla natura pubblica del servizio sanitario nazionale e, quanto alla clausola di esclusione dell’art. 358, comma 2, ult. parte, aggiungono che «l’attività dell’imputato, addetto allo sportello CUP, ,non si esauriva in mansioni meramente materiali, implicando, quantomeno, l’attestazione del pagamento del ticket da parte dell’utenza, con il rilascio della relativa ricevuta».
2.2. La motivazione, espressa in questi termini, non è condivisa da questo Collegio.
Fermo il carattere pubblicistico della prenotazione delle prestazioni sanitarie presso una struttura pubblica (o comunque convenzionata) – poiché collegata all’erogazione delle prestazioni sanitarie stesse -, è opportuno ricordare che il legislatore della riforma n. 86 del 1990 intese restringere l’area concettuale del pubblico servizio, escludendone le «semplici mansioni di ordine» e la «prestazione di opera meramente materiale» (art. 358, comma 2, seconda parte, cod. pen.).
Ebbene, in attuazione di tale precetto, soprattutto la giurisprudenza più recente di questa Corte, innanzitutto, ha ridimensionato il rilievo che era in passato attribuito alla circostanza che l’agente maneggi pecunia pubblica (non si tratta di requisito esplicitato a livello legislativo, dove si adotta un criterio “oggettiv funzionale”, bensì, al più, di mero “sintomo” della natura pubblica dell’attività, da
argomentare in concreto e su basi diverse, comunque insuscettibile di oscurare la poc’anzi citata clausola di esclusione).
Quindi, ha valorizzato il riferito inciso legislativo, escludendo possa ritenersi incaricato di pubblico servizio chi, pur svolgendo la propria attività all’interno, o i modo indissolubilmente connesso ad un pubblico servizio, si veda attribuiti compiti soltanto esecutivi: compiti, cioè, da cui esuli qualunque profilo intellettuale, di autonomia e di discrezionalità, tipico invece delle mansioni di concetto.
In questa prospettiva, per esempio, si è negato rivestisse la qualifica di incaricato di pubblico servizio il dipendente di un’azienda di trasporto pubblico addetto alla distribuzione di carburante con mansioni esecutive e compiti meramente materiali (che si era appropriato di gasolio: Sez. 6, n. 38600 del 12/07/2024, D’Atri, Rv. 287032).
Ad analoga conclusione si è pervenuti per un dipendente di Poste Italiane s.p.a. addetto allo sportello di cassa che, su incarico del cliente, si era appropriato di somme inerenti al pagamento dei tributi tramite modello F24 (Sez. 6, n. 22275 del 31/01/2024, Puglisi, Rv. 286613) o, ancora, e sempre a titolo esemplificativo, in relazione al dipendente di una società in house del Comune di Napoli, addetto al settore gestione patrimonio o all’autista di ambulanze del servizio “118”, rispettivamente appropriatisi di denaro affidato per pagare le contravvenzioni stradali dei veicoli intestati alla suddetta società in house e di carburante acquistato con una fuel card di cui l’agente aveva la disponibilità in ragione del suo incarico (Sez. 6, n. 18966, del 01/04/2025, Galiano, non mass. e Sez. 6 n. 15783 del 18/03/2025, Lanatà, non mass.)
2.3. Peraltro, è utile osservare come, nelle prime tre pronunce citate, questa Corte abbia ritenuto irrilevante, ai fini del riconoscimento della qualific pubblicistica, che l’agente fosse tenuto ad un obbligo di documentazione: circostanza invece valorizzata – in modo esclusivo – nella sentenza impugnata.
Infatti, una volta escluso che l’obbligo di documentazione sia suscettibile di manifestarsi all’esterno – nel qual caso assumerebbe una valenza certificativa, peraltro indicativa del “potere” e quindi della “funzione” (art. 357 cod. pen.), piuttosto che del (mero) “servizio” (art. 358 cod. pen.) – la semplice redazione/presentazione di ricevute resta funzionale alla verifica interna inerente alla regolare esecuzione del rapporto di lavoro.
Configura, pertanto, un’attività di rendicontazione affatto neutra, in quanto, per un verso, potenzialmente anch’essa solo esecutiva (e come tale inidonea insufficiente a connotare l’attività in senso intellettuale); per altro vers caratteristica altresì delle relazioni di diritto privato.
2.4. Esclusa, in definitiva, la validità dell’unico indice valorizzato dai Giudic della sentenza impugnata, dal testo delle pronunce di merito non si evince se
l’imputato – di cui risulta soltanto che avesse mansioni di operatore di sportello CUP presso la Casa della Salute di Venafro e che fosse «addetto all’intero processo di prenotazione delle prestazioni sanitarie erogate dall’ASREM», svolgesse, in concreto – e cioè sulla base dell’effettiva organizzazione dell’ufficio in cui lavorava -, attività ulteriori, e se tali attività fossero caratterizzate dai quei pro autonomia e discrezionalità che, soli, come poc’anzi ricordato, appaiono suscettibili di: connotare l’attività come non meramente esecutiva; rendere quindi ragione della natura di pubblico servizio dell’attività svolta; incardinare, in ultima analis la qualifica pubblicistica in capo all’imputato. Restando inteso che, in mancanza di tali requisiti, la condotta appropriativa – in generale, sul piano teorico e, nell specie, per quanto di seguito osservato – integrerebbe il reato comune di cui all’art. 646 cod. pen.
2.5. Richiedendosi, dunque, un accertamento in fatto precluso a questo Giudice, di mera legittimità, si impone, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello che, nel valutare la sussistenza o meno della qualifica soggettiva in capo all’imputato, si atterrà ai criteri poc’anzi enunciati.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, oltre che meramente reiterativo.
Dalle sentenze di merito emerge che l’imputato riceveva il denaro, effettuava la prenotazione e, dopo, la cancellava (le prestazioni furono realmente eseguite).
Di conseguenza, gli artifizi, che si risolvevano nella cancellazione della prenotazione effettuata, non erano in rapporto causale con il conseguimento del profitto, ma piuttosto rappresentavano, come puntualmente rilevato dai Giudici di merito, un espediente volto ad occultare l’appropriazione di denaro.
Anche il terzo motivo di ricorso è, per le medesime ragioni, inammissibile.
La sentenza di secondo grado risponde compiutamente alle deduzioni difensive, osservando che l’accertamento a campione relativo ai nove casi riguardò soltanto la prima fase delle indagini. Mentre, come già rilevato nella sentenza di primo grado, le indagini svolte anche successivamente all’esecuzione delle misure cautelari personale e reale consentirono di accertare che le prestazioni indebitamente cancellate da Casertano furono regolarmente eseguite, il che fu dimostrato dal rinvenimento delle prescrizioni mediche e delle ricevute di pagamento all’esito delle perquisizioni di polizia giudiziaria presso gli archivi dei vari ambulatori della casa di salute (a ciò si aggiunga che gli ammanchi di cassa furono documentalmente provati per specifici importi relativi, partitamente, agli anni 2018, 2019, 2020 e 2021).
La motivazione appare, dunque, completa e tutt’altro che illogica, dimostrando la realizzazione del fatto nel rispetto degli
standard probatori penali.
5. Manifestamente infondato è, infine, il quarto motivo di ricorso.
5.1. Premesso il pacifico insegnamento di legittimità, secondo cui, in tema di circostanze, ai fini del diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è
necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferim
a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale rilevanza tenga conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche
considerazioni mosse sul punto dall’interessato (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, dep 2022, COGNOME, Rv. 282693), contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente,
nemmeno manca, sul punto, la motivazione.
5.2. La Corte d’appello indugia, infatti, sulla ritenuta gravità del reato desumendola, oltre che dalla significativa entità della somma di denaro oggetto di
appropriazione, dal lungo lasso di tempo per il quale le condotte sono state realizzate – oltre tre anni – che reputa testimoniare, sul piano soggettivo, la particolare pervicacia dell’agente, la cui scaltrezza è poi desunta dal meccanismo escogitato per giustificare i mancati introiti.
E dopo aver ritenuto, quindi, congruo un considerevole aumento di pena ai fini della continuazione, nega esplicitamente la sussistenza di elementi che giustifichino il riconoscimento delle attenuanti generiche, «a tal fine nemmeno rilevando l’assenza di precedenti penali stante il disposto dell’art. 62-bis ultimo comma, cod. pen.», rendendo, dunque, una motivazione completa, oltre che certamente non illogica.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Salerno.
Così deciso il 30/04/2025