LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Inammissibilità ricorso: rinuncia e conseguenze

Un imprenditore ricorre in Cassazione contro un’ordinanza del GIP relativa a un sequestro preventivo. Tuttavia, prima della decisione, l’avvocato rinuncia al ricorso. La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, applicando i principi della Corte Costituzionale.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 10 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del ricorso in Cassazione per rinuncia: un’analisi della Sentenza n. 2919/2025

La recente sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sezione 5, offre uno spunto cruciale sull’inammissibilità del ricorso quando interviene una rinuncia da parte del ricorrente. Questo caso evidenzia come un atto apparentemente semplice, come la rinuncia a proseguire un’impugnazione, comporti conseguenze processuali ed economiche ben precise, tra cui la condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria. Analizziamo insieme i dettagli della vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti: La Richiesta di Accesso e i Provvedimenti Impugnati

La vicenda ha origine dalla richiesta, avanzata dal detentore qualificato di un immobile e dal legale rappresentante della società che lo gestiva, di ottenere l’autorizzazione per accedere temporaneamente ad aree esterne di un edificio sottoposto a sequestro preventivo. Lo scopo era eseguire lavori di adeguamento all’impianto fognario, già autorizzati dal Comune. Il Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Tivoli respingeva la richiesta, ritenendo ancora sussistenti le esigenze cautelari alla base del sequestro.

Successivamente, l’interessato presentava una nuova istanza qualificandola come ‘incidente di esecuzione’, volta sempre ad ottenere l’accesso all’immobile. Anche questa veniva rigettata dal GIP, il quale la considerava un’impugnazione mascherata del precedente diniego, che avrebbe dovuto essere proposta con un appello ai sensi dell’art. 310 del codice di procedura penale.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Contro quest’ultima ordinanza, l’imprenditore proponeva ricorso per cassazione, articolando due motivi principali:

1. Erronea applicazione della legge processuale: Si sosteneva che il GIP avesse sbagliato a non considerarsi Giudice dell’esecuzione e a non seguire la procedura prevista (art. 666 c.p.p.), ritenendo erroneamente che l’istanza fosse un’impugnazione anziché un legittimo incidente di esecuzione.
2. Violazione del diritto di difesa: In subordine, qualora l’istanza fosse stata correttamente qualificata come incidente di esecuzione, il provvedimento sarebbe stato nullo per non aver garantito il contraddittorio. L’ordinanza, infatti, era stata emessa sulla base del solo parere del Pubblico Ministero, senza citare l’imputato e il suo difensore per un’udienza in camera di consiglio.

La Decisione della Corte: l’Inammissibilità del Ricorso per Rinuncia

Nonostante il Procuratore Generale presso la Corte avesse richiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza, la vicenda ha subito una svolta decisiva. Pochi giorni prima dell’udienza, il difensore del ricorrente, munito di procura speciale, comunicava via PEC la rinuncia al ricorso. La motivazione addotta era la ‘sopravvenuta cessazione dell’interesse a coltivare l’impugnazione’, dovuta alla dismissione dell’attività d’impresa da parte del suo assistito.

Le motivazioni

Di fronte a questa rinuncia, la Corte di Cassazione non ha potuto fare altro che dichiarare l’inammissibilità del ricorso. La motivazione della Corte si fonda su un principio consolidato: la rinuncia all’impugnazione, presentata prima della decisione, ne causa l’inammissibilità. A questa declaratoria, per espressa previsione dell’art. 616 del codice di procedura penale, conseguono due effetti automatici: la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.

La Corte ha inoltre richiamato la storica sentenza n. 186 del 2000 della Corte Costituzionale, specificando che la condanna alla sanzione pecuniaria può essere evitata solo se l’inammissibilità non è dovuta a colpa del ricorrente. Nel caso di specie, la rinuncia è un atto volontario che fa venir meno l’interesse all’impugnazione, configurando quindi una causa di inammissibilità riconducibile alla parte stessa. Pertanto, non sussistevano elementi per escludere la colpa e, di conseguenza, la sanzione è stata equitativamente fissata in 500,00 euro.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: la rinuncia a un ricorso è un atto che chiude definitivamente la porta a una decisione nel merito. Le conseguenze non sono neutre: oltre all’ovvia conclusione del procedimento, scatta una condanna economica a carico del rinunciante. Questo caso serve da monito sull’importanza di ponderare attentamente ogni scelta processuale, poiché anche un atto come la rinuncia, motivato da circostanze esterne al processo, ha implicazioni giuridiche ed economiche precise e inevitabili.

Cosa succede se una parte rinuncia al ricorso in Cassazione prima della decisione?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La rinuncia all’impugnazione, se presentata prima della deliberazione, impedisce alla Corte di esaminare il merito della questione.

Quali sono le conseguenze economiche della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, equitativamente determinata dalla Corte, in favore della Cassa delle ammende.

Perché il ricorrente è stato condannato a pagare una sanzione pecuniaria nonostante la rinuncia fosse motivata?
Perché la rinuncia è considerata un atto volontario che determina la causa di inammissibilità. Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, la condanna alla sanzione è esclusa solo se l’inammissibilità non è attribuibile a colpa del ricorrente, circostanza non ravvisata nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati