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Inammissibilità ricorso patteggiamento: limiti ex art. 448

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso contro una sentenza di patteggiamento. La decisione sottolinea che i motivi di impugnazione sono tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. e non includono censure generiche. La declaratoria di inammissibilità ricorso patteggiamento ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 4.000 euro alla Cassa delle Ammende.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso Patteggiamento: i Limiti Imposti dalla Legge

La scelta di definire un procedimento penale con il rito del patteggiamento, previsto dall’art. 444 c.p.p., comporta significative conseguenze anche sul piano delle impugnazioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza i confini entro cui è possibile contestare una sentenza di patteggiamento, evidenziando come la mancata osservanza di tali limiti porti a una declaratoria di inammissibilità ricorso patteggiamento. Questo principio è fondamentale per comprendere la logica deflattiva del rito speciale e le responsabilità che ne derivano per l’imputato.

I Fatti alla Base della Decisione

Il caso in esame ha origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento). L’imputato, attraverso il suo difensore, aveva sollevato una serie di censure contro la decisione del Giudice per le Indagini Preliminari. Tuttavia, tali motivi di ricorso non rientravano nel perimetro ristretto delineato dalla normativa vigente per l’impugnazione di questo tipo di sentenze.

I Limiti all’Impugnazione e l’inammissibilità ricorso patteggiamento

Il fulcro della questione risiede nell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce in modo tassativo i soli motivi per cui è possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento. Essi sono:

1. Vizi della volontà: quando il consenso dell’imputato al patteggiamento è stato espresso in modo non libero e consapevole.
2. Difetto di correlazione: in caso di mancata corrispondenza tra la richiesta di patteggiamento formulata e la sentenza emessa dal giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica: se il fatto è stato inquadrato in una fattispecie di reato errata.
4. Illegalità della pena: qualora la pena applicata sia illegale o non conforme alla legge, inclusa l’applicazione di una misura di sicurezza non prevista.

Qualsiasi altro motivo, come quelli sollevati nel caso di specie, è considerato indeducibile e, di conseguenza, porta inevitabilmente all’inammissibilità del ricorso.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, con la sua ordinanza, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto. I giudici hanno constatato che le censure mosse dall’imputato non rientravano in alcuna delle categorie consentite dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La Corte ha quindi proceduto a una declaratoria di inammissibilità “senza formalità”, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., una procedura accelerata per i ricorsi manifestamente infondati.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte sono state lineari e aderenti al dettato normativo. Il legislatore, nel limitare i motivi di ricorso avverso la sentenza di patteggiamento, ha inteso valorizzare la natura negoziale dell’accordo tra accusa e difesa. Consentire un’impugnazione per motivi generici snaturerebbe la funzione del rito, che è quella di definire rapidamente il processo. L’inammissibilità, pertanto, non è solo una sanzione processuale ma la logica conseguenza della violazione di un preciso sbarramento legale. La Corte ha inoltre sottolineato che all’inammissibilità del ricorso consegue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle Ammende. In questo caso, la somma è stata fissata in 4.000 euro, una cifra giustificata dall'”elevato coefficiente di colpa” nel proporre un’impugnazione palesemente inammissibile.

Conclusioni

Questa pronuncia della Cassazione funge da importante monito per la difesa. La decisione di patteggiare deve essere ponderata attentamente, con la piena consapevolezza che le vie di impugnazione sono estremamente limitate. Proporre un ricorso basato su motivi non consentiti dalla legge non solo è inutile ai fini processuali, ma espone il ricorrente a conseguenze economiche significative. La sentenza riafferma la necessità di un approccio rigoroso e tecnicamente corretto nell’utilizzo degli strumenti di impugnazione, specialmente in contesti, come quello del patteggiamento, dove la volontà delle parti ha già trovato una sua definizione nell’accordo sulla pena.

È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’impugnazione di una sentenza di patteggiamento è consentita solo per i motivi tassativamente elencati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Quali sono i motivi validi per ricorrere in Cassazione contro un patteggiamento?
I motivi validi sono: problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato (consenso viziato), difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Cosa succede se un ricorso contro un patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato per legge al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, il cui importo è stabilito dal giudice in base alla colpa nella proposizione del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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