Inammissibilità Ricorso Patteggiamento: Quando l’Appello è Precluso?
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una scelta strategica fondamentale nel processo penale. Tuttavia, una volta intrapresa questa via, le possibilità di impugnazione sono estremamente limitate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 23098/2024) ribadisce con chiarezza i confini invalicabili del ricorso, confermando l’inammissibilità del ricorso patteggiamento quando i motivi non rientrano nel novero di quelli tassativamente previsti dalla legge.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Brescia. L’imputato, dopo aver concordato la pena, ha deciso di presentare ricorso per Cassazione avverso tale decisione. L’obiettivo era, presumibilmente, contestare alcuni aspetti della sentenza con cui aveva precedentemente concordato.
La Decisione della Corte: un Ricorso Senza Sbocchi
La Suprema Corte ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile senza neppure entrare nel merito delle questioni sollevate. La decisione si fonda su una norma specifica del codice di procedura penale, l’articolo 448, comma 2-bis, che agisce come un filtro selettivo per le impugnazioni contro le sentenze di patteggiamento. Secondo i giudici, le censure proposte dal ricorrente esulavano completamente dalle categorie di vizi per cui è consentito ricorrere.
Di conseguenza, non solo il ricorso è stato respinto, ma il ricorrente è stato anche condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 4.000 euro in favore della Cassa delle ammende, a causa dell’evidente infondatezza e della ‘colpa’ nel proporre un’impugnazione non permessa.
Le Motivazioni: i Rigidi Paletti all’Impugnazione del Patteggiamento
Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che una sentenza di patteggiamento può essere impugnata solo per motivi molto specifici, quali:
* Vizi nella volontà dell’imputato: Se il consenso al patteggiamento non è stato espresso liberamente e consapevolmente.
* Difetto di correlazione: Se la sentenza non corrisponde alla richiesta di patteggiamento concordata tra le parti.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto: Se il reato è stato inquadrato in una fattispecie giuridica sbagliata.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza: Se la sanzione applicata è contraria alla legge o non prevista per quel tipo di reato.
La Corte ha specificato che le doglianze del ricorrente non rientravano in nessuna di queste ipotesi. L’inammissibilità del ricorso patteggiamento è stata quindi dichiarata ‘senza formalità’, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis c.p.p., una procedura accelerata per i ricorsi manifestamente infondati.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza serve come un importante monito per imputati e difensori. La scelta del patteggiamento è una decisione che, nella maggior parte dei casi, chiude definitivamente la vicenda processuale. Tentare di rimetterla in discussione attraverso un ricorso basato su motivi generici o non previsti dalla legge è un’azione destinata al fallimento. Anzi, come dimostra il caso in esame, può comportare ulteriori e significative conseguenze economiche. La sentenza sottolinea la necessità di una valutazione attenta e ponderata prima di accedere a questo rito speciale, poiché le porte dell’impugnazione, una volta chiuse, si riaprono solo in circostanze eccezionali e rigorosamente definite.
È sempre possibile appellare una sentenza di patteggiamento?
No, l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento non è sempre possibile. È consentita solo per i motivi tassativamente elencati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono i motivi validi per ricorrere contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi ammessi dalla legge sono esclusivamente quelli relativi a un difetto nell’espressione della volontà dell’imputato, alla mancanza di correlazione tra la richiesta e la sentenza, a un’erronea qualificazione giuridica del fatto, oppure all’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa accade se si presenta un ricorso con motivi non consentiti dalla legge?
Se il ricorso è basato su motivi non previsti dalla legge, la Corte di Cassazione lo dichiara inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata di 4.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23098 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23098 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME (CODICE_FISCALE) nato a TUNISI( TUNISIA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/11/2023 del TRIBUNALE di BRESCIA
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udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
N. 173)
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe indicata, emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., è inammissibile, per indeducibilità delle censure proposte, che non rientrano fra quelle consentite dal vigente art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., in quanto non riguardanti motivi specifici attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difet correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica d fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’odierna impugnazione va pronunciata «senza formalità» ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende che, avuto riguardo all’elevato coefficiente di colpa connotante la rilevata causa di inammissibilità, appare conforme a giustizia stabilire nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15 2024
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