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Inammissibilità ricorso patteggiamento: i limiti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27332/2024, ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso contro una sentenza di patteggiamento. La decisione si fonda sulla constatazione che i motivi di impugnazione non rientravano nel novero di quelli tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. Questa pronuncia ribadisce la severità dei criteri per l’ammissibilità del ricorso, portando alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, evidenziando le conseguenze dell’inammissibilità ricorso patteggiamento.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso Patteggiamento: La Cassazione Fissa i Paletti

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame affronta un tema cruciale della procedura penale: i limiti all’impugnazione di una sentenza emessa a seguito di patteggiamento. Con una decisione netta, la Suprema Corte ribadisce la regola della inammissibilità del ricorso patteggiamento quando i motivi addotti non rientrano nelle specifiche categorie previste dalla legge, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione. Questo provvedimento serve da monito sull’importanza di una corretta formulazione dei motivi di appello in questo specifico contesto procedurale.

Il Contesto del Caso Giudiziario

Il caso nasce dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Bari. L’imputato, tramite il suo legale, ha tentato di contestare la sentenza di primo grado portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione. Tuttavia, il ricorso è stato immediatamente sottoposto a un vaglio di ammissibilità, un filtro procedurale che ne valuta la conformità ai requisiti di legge prima ancora di entrare nel merito delle questioni sollevate.

I Limiti all’Impugnazione e l’Inammissibilità del Ricorso Patteggiamento

Il cuore della questione risiede nell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce in modo tassativo i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento. Essi sono limitati a questioni molto specifiche, quali:

* L’espressione della volontà dell’imputato;
* Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza;
* L’erronea qualificazione giuridica del fatto;
* L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Qualsiasi motivo di ricorso che esuli da questo elenco è destinato a essere dichiarato inammissibile. La legge intende così garantire la stabilità delle sentenze di patteggiamento, frutto di un accordo tra accusa e difesa, limitando le possibilità di rimetterle in discussione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto. La decisione è stata presa ‘senza formalità’, come previsto dall’articolo 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale, una procedura accelerata riservata ai casi di manifesta inammissibilità.

Oltre alla declaratoria di inammissibilità, la Corte ha condannato il ricorrente a due sanzioni economiche:

1. Il pagamento delle spese processuali.
2. Il versamento di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende.

Questa seconda sanzione è stata giustificata in base all'”elevato coefficiente di colpa” del ricorrente nell’aver proposto un’impugnazione basata su motivi non consentiti, gravando inutilmente il sistema giudiziario.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Le motivazioni dell’ordinanza sono concise ma estremamente chiare. I giudici hanno rilevato che le censure proposte dal ricorrente non rientravano in alcuna delle categorie consentite dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La Corte ha sottolineato che le critiche mosse alla sentenza non riguardavano né la volontà dell’imputato, né la qualificazione giuridica, né l’illegalità della pena. Di conseguenza, il ricorso era ab origine privo dei requisiti minimi per poter essere esaminato nel merito. La decisione di condannare il ricorrente a una somma significativa in favore della Cassa delle ammende riflette la volontà di sanzionare l’abuso dello strumento processuale, che in questo caso è stato utilizzato in modo palesemente non conforme alle norme procedurali.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale: il patteggiamento è una scelta processuale che comporta una forte limitazione del diritto di impugnazione. Per i difensori, ciò significa che la decisione di ricorrere in Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento deve essere ponderata con estrema attenzione, verificando scrupolosamente che i motivi di doglianza rientrino nell’elenco tassativo di legge. Proporre un ricorso basato su motivi generici o non consentiti non solo è destinato al fallimento, ma espone il proprio assistito a conseguenze economiche rilevanti, come dimostra la condanna al versamento di una cospicua somma alla Cassa delle ammende. La pronuncia, quindi, è un chiaro richiamo alla responsabilità e alla diligenza professionale nella gestione delle impugnazioni penali.

Perché il ricorso contro la sentenza di patteggiamento è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure proposte non rientravano tra i motivi specifici e tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, unici motivi per i quali è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende.

Qual è il fondamento della condanna al pagamento della somma alla Cassa delle ammende?
La condanna si basa sull’elevato coefficiente di colpa del ricorrente nell’aver proposto un ricorso per motivi non consentiti dalla legge, configurando un uso improprio dello strumento processuale. La sanzione è prevista per scoraggiare impugnazioni palesemente infondate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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