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Inammissibilità ricorso: misura cautelare inefficace

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso contro un’ordinanza applicativa della misura dell’obbligo di dimora, poiché divenuta inefficace a seguito della dichiarazione di incompetenza territoriale del giudice. La Corte ha stabilito la carenza di un interesse concreto e attuale del ricorrente, escludendo il diritto a una riparazione per ingiusta detenzione, mai subita. L’inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di un’ammenda.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del ricorso: quando l’appello perde di interesse?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22051/2025, offre un importante chiarimento sui presupposti di ammissibilità delle impugnazioni nel processo penale. La decisione si concentra sul concetto di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, specialmente quando la misura cautelare oggetto del contendere è divenuta inefficace. Questo principio è fondamentale per comprendere quando un’azione legale, pur formalmente corretta, non può essere esaminata nel merito dal giudice.

I fatti del caso

La vicenda processuale ha origine da un’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Napoli. Il GIP aveva applicato a un soggetto la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel proprio comune di residenza. Tuttavia, contestualmente all’applicazione della misura, lo stesso GIP si dichiarava territorialmente incompetente, disponendo la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Novara.

L’indagato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso al Tribunale del Riesame di Napoli avverso tale ordinanza. Il Tribunale del Riesame, però, dichiarava il ricorso inammissibile per sopravvenuta inefficacia del provvedimento impugnato. Contro questa decisione, l’interessato proponeva infine ricorso per Cassazione.

La decisione della Corte e l’inammissibilità ricorso

La Suprema Corte ha confermato la decisione del Tribunale del Riesame, dichiarando a sua volta l’inammissibilità del ricorso. La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri fondamentali: la mancanza di un interesse concreto e attuale all’impugnazione e un difetto di natura procedurale.

La mancanza di interesse ad agire

Il punto centrale della sentenza è la valutazione dell’interesse del ricorrente. Poiché l’ordinanza che imponeva l’obbligo di dimora era divenuta inefficace, la Corte ha ritenuto che non vi fosse più alcun interesse giuridicamente rilevante a ottenerne l’annullamento. In particolare, è stata respinta la potenziale argomentazione legata a una futura richiesta di riparazione per ingiusta detenzione. La Corte ha sottolineato che l’obbligo di dimora non è una misura detentiva e, pertanto, non può mai fondare una richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione. Di conseguenza, è venuto meno qualsiasi interesse concreto e attuale che potesse giustificare la prosecuzione del giudizio di impugnazione.

Aspetti procedurali: la procura speciale

Oltre alla questione sostanziale dell’interesse, la Corte ha rilevato anche un vizio procedurale. Dal controllo degli atti è emerso che il difensore non era munito di una procura speciale per la proposizione del ricorso, un requisito formale indispensabile in determinate fasi processuali. Questo ulteriore elemento ha contribuito a rafforzare la declaratoria di inammissibilità.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio cardine del diritto processuale: un’impugnazione è ammissibile solo se chi la propone ha un interesse concreto, attuale e giuridicamente apprezzabile a ottenere una riforma o l’annullamento del provvedimento che lo pregiudica. Nel momento in cui il provvedimento perde efficacia, viene meno anche il pregiudizio e, di conseguenza, l’interesse a ricorrere. La Corte ha specificato che un interesse meramente astratto o teorico non è sufficiente. Nel caso di specie, l’inefficacia dell’ordinanza cautelare ha reso l’impugnazione priva di scopo, in quanto un suo eventuale accoglimento non avrebbe prodotto alcun effetto pratico favorevole per il ricorrente.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce che il processo non può essere utilizzato per risolvere questioni puramente accademiche. La declaratoria di inammissibilità del ricorso ha comportato non solo la fine del procedimento di impugnazione, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende. Questa condanna è stata commisurata al grado di colpa del ricorrente nell’aver dato causa all’inammissibilità, promuovendo un’azione legale priva dei necessari presupposti di legge. La decisione serve da monito sull’importanza di valutare attentamente, prima di intraprendere un’azione legale, la sussistenza di un effettivo interesse ad agire, per evitare conseguenze processuali ed economiche sfavorevoli.

Quando un ricorso contro una misura cautelare può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile quando la misura cautelare impugnata ha perso la sua efficacia, facendo così venir meno l’interesse concreto e attuale del ricorrente a ottenere una decisione nel merito.

L’applicazione dell’obbligo di dimora può dare diritto alla riparazione per ingiusta detenzione?
No. La sentenza chiarisce che l’obbligo di dimora non costituisce una forma di detenzione. Pertanto, la sua applicazione, anche se illegittima, non può fondare una richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso per colpa del ricorrente?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, il cui importo è commisurato al grado di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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