Inammissibilità Ricorso: Quando un Atto di Impugnazione è Troppo Generico?
Presentare un ricorso in Cassazione è l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma per accedervi è necessario rispettare requisiti formali molto stringenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come la genericità dei motivi possa portare a una dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con conseguenze negative per il ricorrente. Comprendere questo principio è fondamentale non solo per gli addetti ai lavori, ma per chiunque si trovi a dover contestare una decisione giudiziaria.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Quest’ultima, in realtà, aveva già parzialmente accolto le richieste dell’imputato, riducendo la pena inflitta in primo grado. I giudici di secondo grado avevano infatti valutato positivamente il comportamento tenuto dall’imputato dopo la commissione del reato, in particolare l’avvenuto risarcimento e la rinuncia ad altri motivi di appello riguardanti la responsabilità. Nonostante questa riduzione, l’imputato decideva di proseguire, presentando ricorso in Cassazione lamentando un’errata valutazione della pena (la cosiddetta dosimetria).
La Decisione della Corte: la Regola della Specificità e l’Inammissibilità del Ricorso
La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato immediatamente inammissibile. La ragione di questa decisione risiede nella violazione di un principio cardine del processo penale: la specificità dei motivi di impugnazione, sancita dall’articolo 581, comma 1, del codice di procedura penale. Secondo la Corte, il ricorso era stato formulato in termini ‘del tutto generici’ e ‘inconferenti’. In pratica, l’atto si limitava a lamentare che i giudici avessero ‘omesso di eseguire in concreto una valutazione della condotta’, senza però indicare quali specifici errori di logica o di diritto avrebbero viziato la motivazione della sentenza d’appello.
Le Motivazioni della Sentenza
La Corte Suprema ha sottolineato che la sentenza impugnata era, al contrario, logicamente corretta. I giudici d’appello avevano chiaramente motivato la riduzione della pena, basandola proprio sulla condotta post-reato dell’imputato. Di fronte a una motivazione così strutturata, un ricorso non può limitarsi a una critica vaga. Deve, invece, individuare con precisione il punto della decisione che si ritiene errato e spiegare perché. La semplice affermazione che i giudici ‘omettono di eseguire una valutazione’ non è sufficiente a superare il vaglio di ammissibilità. L’inammissibilità del ricorso è stata quindi la naturale conseguenza di questa carenza argomentativa, portando alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
Le Conclusioni: Lezioni Pratiche per un Ricorso Efficace
Questa ordinanza ribadisce una lezione fondamentale: le impugnazioni, e in particolare il ricorso per Cassazione, non sono un’opportunità per ridiscutere genericamente il caso. Sono, invece, strumenti tecnici che richiedono precisione, specificità e un’argomentazione giuridica rigorosa. Formulare un motivo di ricorso in modo vago o generico equivale a non formularlo affatto, con il duplice effetto negativo di non ottenere una revisione della decisione e di subire una condanna economica. Per chiunque intenda contestare una sentenza, è cruciale affidarsi a una difesa tecnica che sappia tradurre le proprie doglianze in motivi di ricorso specifici e legalmente pertinenti, evitando così una pronuncia di inammissibilità del ricorso.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto del tutto generico e privo dei requisiti specifici prescritti dall’art. 581, comma 1, del codice di procedura penale, non contestando in modo puntuale la motivazione della sentenza impugnata.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
La Corte d’Appello aveva considerato il comportamento dell’imputato dopo il reato?
Sì, la Corte d’Appello aveva tenuto conto del comportamento successivo al reato, come l’azione risarcitoria e la rinuncia ad altri motivi di appello, procedendo a una riduzione della pena inflitta in primo grado.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31387 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31387 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a BARI il 07/08/1960
avverso la sentenza del 29/02/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
considerato che l’unico motivo con cui si deduce l’assenza di motivazione in ordine alla dosimetria della pena, risulta formulato in termini non consentiti in questa sede, in quanto del tutto privo dei requisiti prescritti dall’ art. 581, comma 1, cod. proc. pen.;
che, infatti, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata logicamente corretta ove la Corte di appello ha proceduto alla riduzione della pena inflitta dal giudice di primo grado valutando il comportamento dell’imputato successivo al reato (l’azione risarcitoria e la rinuncia ai motivi di appello in punto responsabilità), si prospetta una deduzione del tutto generica e peraltro anche inconferente lamentando che “i giudici omettono di eseguire in concreto una valutazione della condotta contestata alla luce della previsione di cui all’art. 129 c.p.p.”, così si legge testualmente nel ricorso.
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il giorno 1 luglio 2025.