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Inammissibilità ricorso esecuzione: la guida completa

La Corte di Cassazione ha confermato la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in esecuzione penale. La decisione si fonda sul principio che una richiesta, se costituisce una mera riproposizione di istanze già rigettate e non introduce nuovi elementi di fatto o di diritto, è inammissibile. La sentenza chiarisce l’operatività della preclusione ‘rebus sic stantibus’ nell’ambito dell’incidente di esecuzione.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso Esecuzione: La Cassazione e la Mera Riproposizione di Istanze

Nel contesto della procedura penale, la fase di esecuzione della pena è cruciale e regolata da norme precise. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’inammissibilità del ricorso in esecuzione quando questo si configura come una semplice ripetizione di istanze già valutate e respinte, senza l’introduzione di nuovi elementi. Questa pronuncia offre spunti importanti sulla preclusione processuale e sul corretto utilizzo degli strumenti giuridici a disposizione del condannato.

Il Caso: Una Richiesta di Continuazione Respinsa

Un soggetto condannato con più sentenze aveva presentato un’istanza al Tribunale, in qualità di giudice dell’esecuzione, chiedendo l’applicazione della cosiddetta “disciplina della continuazione”. Questo istituto permette di considerare più reati come un unico reato continuato, con conseguente ricalcolo della pena in senso più favorevole.

Il giudice dell’esecuzione, tuttavia, aveva dichiarato la richiesta inammissibile. La motivazione era netta: l’istanza era una “mera riproposizione” di altre due richieste identiche, già presentate e rigettate in precedenza dallo stesso Tribunale. Di fronte a questa decisione, il condannato ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che la nuova istanza fosse in realtà differente, in quanto mirava a ottenere la continuazione tra tutti i reati oggetto delle varie condanne, e non solo una parte come nelle precedenti.

La Decisione della Corte sull’Inammissibilità del Ricorso in Esecuzione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del giudice dell’esecuzione. I giudici supremi hanno evidenziato come il ricorrente non avesse adeguatamente contestato il nucleo della decisione impugnata, ovvero il fatto che la sua istanza fosse una copia di quelle precedenti.

L’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale è chiaro: il giudice può dichiarare inammissibile una richiesta se questa “costituisce una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi”.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha fondato la sua decisione su un consolidato principio giuridico, quello della preclusione processuale operante rebus sic stantibus. Questo significa che un provvedimento del giudice dell’esecuzione, una volta divenuto definitivo, impedisce una nuova pronuncia sullo stesso oggetto (petitum).

Tale preclusione, però, non è assoluta. Può essere superata solo se vengono presentati “nuovi dati di fatto” o “nuove questioni giuridiche” che non erano stati considerati nella decisione precedente. Per “nuovi elementi” si intendono non solo fatti sopravvenuti, ma anche elementi preesistenti che non erano stati portati all’attenzione del giudice.

Nel caso specifico, il ricorrente è stato generico: non ha specificato quali fossero questi presunti elementi nuovi, capaci di superare il cosiddetto “giudicato esecutivo”. Di conseguenza, il ricorso è stato giudicato privo di fondamento. La Corte ha richiamato una propria precedente sentenza (n. 19358 del 2016), la quale aveva già chiarito che la preclusione non opera solo se vengono dedotti fatti o questioni non oggetto della precedente decisione. Poiché ciò non è avvenuto, la declaratoria di inammissibilità era inevitabile.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

La sentenza in esame rafforza un importante principio di economia processuale e certezza del diritto. Non è possibile intasare il sistema giudiziario riproponendo all’infinito le medesime istanze nella speranza di un esito diverso. Chi intende presentare una nuova richiesta al giudice dell’esecuzione dopo un rigetto deve essere in grado di dimostrare, in modo chiaro e specifico, l’esistenza di elementi di novità sostanziali. In assenza di tali elementi, la strada dell’inammissibilità del ricorso in esecuzione è segnata. La pronuncia serve da monito: per superare una decisione negativa in fase esecutiva, è necessario un cambiamento concreto delle circostanze fattuali o giuridiche, e non un semplice riadattamento formale della domanda.

Quando un’istanza presentata al giudice dell’esecuzione può essere dichiarata inammissibile?
Un’istanza può essere dichiarata inammissibile, ai sensi dell’art. 666, comma 2, c.p.p., quando appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge oppure quando costituisce una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi.

È possibile ripresentare una richiesta già rigettata in fase di esecuzione?
Sì, è possibile, ma a condizione che si prospettino nuovi dati di fatto o nuove questioni giuridiche (principio del rebus sic stantibus). La richiesta non deve essere una ‘mera riproposizione’ basata sugli stessi elementi della precedente e non valutati dal giudice.

Quali sono le conseguenze per il ricorrente se il suo ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 c.p.p., il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso specifico è stata determinata in euro 3.000,00.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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