Inammissibilità Ricorso Detenuto: Diritto alla Salute e Limiti
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta il tema dei diritti dei detenuti, specificando i confini del diritto alla salute all’interno del contesto penitenziario. La decisione riguarda un caso di inammissibilità del ricorso di un detenuto che aveva richiesto di poter acquistare un prodotto fitoterapico. Analizziamo insieme la vicenda e i principi di diritto espressi dalla Suprema Corte.
Il Caso: La Richiesta di un Rimedio Fitoterapico in Carcere
La vicenda ha origine dal reclamo presentato da un detenuto contro un decreto del Giudice di Sorveglianza. Quest’ultimo aveva respinto la sua richiesta di acquistare “sommità fiorite di timo” per curarsi, un rimedio con valenza esclusivamente fitoterapica. Il detenuto, ritenendo leso il suo diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione e lamentando un vizio di motivazione nel provvedimento, ha proposto ricorso in Cassazione.
Il ricorrente sosteneva che il diniego dell’amministrazione penitenziaria violasse le disposizioni di legge, ma il suo reclamo era già stato giudicato inammissibile in prima istanza.
La Decisione della Corte: l’Inammissibilità del Ricorso del Detenuto
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo i giudici, le censure presentate dal detenuto erano manifestamente infondate e, in parte, meramente riproduttive di argomentazioni già valutate e respinte nel precedente provvedimento. La Corte ha quindi confermato la decisione del Giudice di Sorveglianza, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte ha basato la sua decisione su alcuni punti chiave. In primo luogo, ha evidenziato come l’istanza del ricorrente fosse palesemente infondata ai sensi dell’art. 666, comma 2, del codice di procedura penale. Mancavano, infatti, le condizioni di legge per accoglierla.
Il punto centrale della motivazione risiede nell’assenza di un vero e proprio diritto soggettivo del detenuto all’acquisto di un prodotto specifico come le sommità di timo. I giudici hanno chiarito che non sussiste una violazione ictu oculi (cioè evidente a prima vista) delle normative penitenziarie, in particolare della legge n. 354 del 1975. Il diritto alla salute del detenuto è certamente tutelato, ma viene garantito dall’amministrazione penitenziaria attraverso le cure e i presidi medici necessari, non attraverso l’accoglimento di ogni singola richiesta personale, specialmente se relativa a rimedi di natura puramente fitoterapica e non essenziali.
Inoltre, la Corte ha sottolineato che le argomentazioni del ricorso non facevano altro che riproporre questioni già adeguatamente esaminate, senza introdurre nuovi elementi validi. Questo ha portato a qualificare il ricorso come manifestamente infondato, giustificandone la declaratoria di inammissibilità.
Le Conclusioni: i Confini del Diritto alla Salute in Contesto Penitenziario
Questa pronuncia ribadisce un principio importante: sebbene il diritto alla salute sia fondamentale e debba essere garantito anche alle persone detenute, esso non si traduce in un diritto incondizionato a ottenere qualsiasi trattamento o prodotto desiderato. L’amministrazione penitenziaria ha il dovere di fornire le cure necessarie, ma conserva una discrezionalità organizzativa. La richiesta di un prodotto fitoterapico non essenziale non costituisce un diritto soggettivo tutelabile al punto da poter contestare con successo un diniego. La decisione della Cassazione, dichiarando l’inammissibilità del ricorso del detenuto, traccia una linea netta tra le garanzie fondamentali e le pretese individuali non supportate da un obbligo di legge specifico per l’amministrazione.
Un detenuto ha un diritto assoluto di acquistare qualsiasi prodotto per la propria salute?
No. Secondo la Corte, non esiste un diritto soggettivo del detenuto all’acquisto di specifici prodotti, in particolare se hanno solo una valenza fitoterapica e non sono essenziali per la cura. Il diritto alla salute viene garantito dall’amministrazione penitenziaria secondo le disposizioni di legge.
Perché il ricorso è stato considerato manifestamente infondato?
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato perché le censure proposte erano semplici ripetizioni di argomenti già esaminati e respinti nel precedente grado di giudizio, e perché non sussisteva ictu oculi (a colpo d’occhio) la violazione di legge lamentata dal ricorrente.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, salvo ipotesi di esonero, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2553 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2553 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CAMPOBELLO DI LICATA il 28/08/1970
avverso il decreto del 12/10/2020 del GIUD. RAGIONE_SOCIALE di NOVARA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
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Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME relative al vizio di motivazione in ordine alla declaratoria di inammissibilità del reclamo proposto e alla violazione dell’art. 32 Cost., sono manifestamente infondate.
Considerato, inoltre, che tali doglianze sono meramente riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati dal decreto impugnato. In esso, invero, si evidenzia che l’istanza presentata dal ricorrente appare manifestamente infondata ai sensi dell’art. 666 comma 2 cod. proc. pen, per difetto delle condizioni di legge dal momento che non ricorre ictu °cui/ la condizione dell’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla I. 26 luglio 1975, n. 354 e in particolare dell’art. 11, non sussistendo un diritto soggettivo del detenuto all’acquisto di sommità fiorite di timo per curarsi, peraltro con valenza solo fitoterapica.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2024.