Inammissibilità Ricorso: Quando non si può impugnare la pena concordata
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, fornisce un importante chiarimento sui limiti dell’impugnazione delle sentenze basate su un accordo tra le parti. L’analisi del provvedimento evidenzia un principio fondamentale del nostro sistema processuale: l’accettazione di una pena concordata preclude la possibilità di contestarla successivamente, a meno che non si denuncino specifici profili di illegalità. Il caso in esame ha portato a una dichiarazione di inammissibilità ricorso, confermando la stabilità degli accordi raggiunti in sede processuale.
Il Caso in Esame
La vicenda trae origine dal ricorso presentato da un individuo avverso una sentenza emessa dal Tribunale di Brescia. Il ricorrente, nato a Iseo nel 1978, aveva impugnato la decisione del tribunale di primo grado, ma i motivi addotti a sostegno del suo appello sono stati ritenuti non validi dalla Suprema Corte.
Il nucleo della questione non risiedeva in un errore di valutazione dei fatti o in una violazione di legge durante il processo, bensì nella natura stessa della contestazione. L’imputato, infatti, aveva concordato con l’accusa il trattamento sanzionatorio da applicare, una pratica comune nel nostro ordinamento che porta a una definizione più celere del procedimento.
La Decisione della Corte di Cassazione: la dichiarazione di inammissibilità ricorso
La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile utilizzando una procedura semplificata, nota come de plano. Questa modalità viene adottata quando i motivi dell’impugnazione appaiono manifestamente infondati o, come in questo caso, non consentiti dalla legge, rendendo superflua la discussione in udienza pubblica.
La decisione si è basata su una considerazione centrale: il ricorso era stato proposto per “motivi non consentiti afferenti al trattamento punitivo convenuto tra le parti e non inficiato da illegalità”. In altre parole, il ricorrente non contestava che la pena fosse illegale, ma piuttosto la sua entità o adeguatezza, la quale era però già stata oggetto di un suo precedente accordo. A seguito della declaratoria di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Suprema Corte è tanto sintetica quanto chiara. Il principio cardine è che l’accordo sulla pena (il cosiddetto patteggiamento o applicazione della pena su richiesta delle parti) cristallizza il trattamento sanzionatorio. Una volta che l’imputato e il pubblico ministero hanno raggiunto un’intesa, e questa è stata vagliata e accolta dal giudice, essa non può essere rimessa in discussione per ragioni di mero merito.
L’ordinamento consente l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento solo per motivi molto specifici, come ad esempio un errore nella qualificazione giuridica del fatto o l’applicazione di una pena illegale (ad esempio, una pena non prevista dalla legge per quel reato). Non è invece consentito un ripensamento successivo sull’opportunità o la congruità della pena che si era liberamente accettato di concordare. Poiché i motivi del ricorrente rientravano in questa seconda categoria, il ricorso è stato giudicato al di fuori del perimetro delle impugnazioni ammissibili, giustificandone la pronuncia di inammissibilità.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un concetto fondamentale per chi si approccia a un procedimento penale e valuta la possibilità di un accordo sulla pena. La scelta di definire il processo con un rito alternativo come il patteggiamento comporta una rinuncia a far valere alcune contestazioni nel merito. La decisione ha un carattere quasi definitivo sul trattamento sanzionatorio.
L’implicazione pratica è chiara: la scelta di concordare la pena deve essere ponderata attentamente, con la piena consapevolezza che le possibilità di impugnazione future saranno estremamente limitate. Non è possibile accettare un accordo e poi, in un secondo momento, tentare di rinegoziarne i termini davanti a un giudice superiore, a meno che non emergano vizi di manifesta illegalità. La pronuncia di inammissibilità ricorso in questi casi è una conseguenza pressoché automatica, con l’ulteriore aggravio delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti, in quanto contestava il trattamento punitivo che era stato precedentemente concordato tra le parti, senza che fosse lamentato alcun profilo di illegalità della pena.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Che tipo di procedura ha utilizzato la Corte per decidere?
La Corte ha utilizzato una procedura semplificata e rapida detta de plano, che si applica quando un ricorso è manifestamente inammissibile e non richiede una discussione in pubblica udienza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3351 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 6 Num. 3351 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da NOME, nato ad Iseo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/05/2023 emessa dal Tribunale di Brescia;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
OSSERVA
Ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con procedura de plano, perché proposto per motivi non consentiti afferenti al trattamento punitivo convenuto tra le parti e non inficiato da illegalità.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con procedura de plano e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30 novembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Preke1te