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Inammissibilità ricorso continuazione: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati. La richiesta era una mera riproposizione di una domanda già rigettata in via definitiva. La Corte ha applicato il principio del ‘ne bis in idem’, sottolineando che non si possono reiterare istanze basate sui medesimi elementi. La decisione conferma l’inammissibilità del ricorso per continuazione quando è una copia di una precedente istanza respinta.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso Continuazione: Quando una Richiesta è una Copia Inutile

Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ribadisce un principio cardine della procedura penale: non si può riproporre all’infinito la stessa istanza. Il caso specifico riguarda l’inammissibilità del ricorso per la continuazione presentato da un condannato, poiché la sua richiesta era una mera fotocopia di una precedente, già rigettata in via definitiva. Questa pronuncia offre spunti fondamentali sul principio del ne bis in idem nella fase esecutiva della pena.

Il Contesto del Caso: La Richiesta di Continuazione

Un soggetto, condannato con sentenza definitiva, presentava un’istanza al Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Milano. L’obiettivo era ottenere il riconoscimento del cosiddetto ‘vincolo della continuazione’ tra diversi reati per i quali era stato condannato. L’applicazione di questo istituto, previsto dall’art. 671 del codice di procedura penale, avrebbe comportato l’unificazione delle pene con un trattamento sanzionatorio complessivamente più mite.

Tuttavia, il Giudice dell’Esecuzione dichiarava l’istanza inammissibile. Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso per Cassazione, ritenendo che il giudice avesse errato nella sua valutazione.

L’Inammissibilità del Ricorso per Continuazione secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del primo giudice, dichiarando a sua volta inammissibile il ricorso. Il motivo centrale è semplice ma categorico: la richiesta presentata non era altro che la riproposizione di un’istanza identica, già avanzata in un precedente procedimento e definita con un’ordinanza irrevocabile quasi due anni prima.

Il ricorrente, secondo la Corte, ha completamente ignorato questo aspetto decisivo, limitandosi a evidenziare presunte novità che, tuttavia, non potevano superare la barriera processuale del giudicato. La Corte ha sottolineato che un giudice dell’esecuzione può dichiarare inammissibile un’istanza non solo quando è palesemente infondata, ma anche quando, ai sensi dell’art. 666, comma 2, c.p.p., costituisce una mera ripetizione di una richiesta già respinta.

Le Motivazioni della Decisione

Il Principio del ‘Ne Bis in Idem’ nella Fase Esecutiva

Il fulcro della motivazione risiede nel principio del ne bis in idem (non due volte per la stessa cosa). Questo principio, che permea l’intero ordinamento giuridico, vieta la reiterazione di procedimenti e decisioni sulla stessa regiudicanda, ossia sullo stesso oggetto di giudizio. La Cassazione ha chiarito che tale divieto non vale solo per i processi di cognizione, ma si estende pienamente anche alla fase esecutiva. Una volta che un’istanza è stata rigettata con provvedimento definitivo, non può essere ripresentata basandosi sui medesimi elementi. La giurisprudenza citata dalla Corte (Sez. 1, n. 12823/2011 e Sez. 1, n. 10320/2022) è granitica su questo punto: una pronuncia di rigetto sulla continuazione preclude la riproposizione della richiesta, anche se limitata solo ad alcuni dei reati già considerati.

L’Aspecificità e la Manifesta Infondatezza del Ricorso

Il ricorso è stato inoltre giudicato inammissibile per aspecificità e manifesta infondatezza. L’appellante ha fondato le sue argomentazioni su una errata interpretazione delle norme, senza confrontarsi con l’ostacolo principale: l’esistenza di una precedente decisione irrevocabile. Ignorare un punto così cruciale rende il ricorso privo di fondamento e incapace di superare il vaglio di ammissibilità della Suprema Corte.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La decisione consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: le istanze presentate al giudice dell’esecuzione non possono essere usate come tentativi ripetuti per ottenere un risultato favorevole dopo un primo rigetto. L’inammissibilità del ricorso per continuazione, quando questo è una semplice copia del precedente, non è solo una possibilità, ma un esito quasi certo. Le conseguenze per chi tenta questa strada sono onerose: il ricorso viene dichiarato inammissibile e il ricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, tremila euro) alla Cassa delle ammende. Questa pronuncia serve da monito: prima di presentare un’istanza, è fondamentale verificare che non vi sia già una decisione definitiva sulla medesima questione.

Quando un’istanza per il riconoscimento della continuazione può essere dichiarata inammissibile?
Può essere dichiarata inammissibile non solo se è manifestamente infondata, ma anche quando costituisce una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, in applicazione del principio del ‘ne bis in idem’.

Una precedente decisione di rigetto sulla continuazione impedisce di riproporre la richiesta anche solo per una parte dei reati?
Sì, la pronuncia di rigetto del giudice dell’esecuzione preclude la riproposizione della richiesta, anche se questa viene limitata ad alcuni soltanto dei reati già considerati nella decisione precedente.

Quali sono le conseguenze se un ricorso viene dichiarato inammissibile perché è una mera riproposizione di un’istanza precedente?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, in assenza di elementi che escludano la colpa, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata a tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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