Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13254 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13254 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a PALERMO il 28/02/1988
avverso la sentenza del 18/09/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 18 settembre 2024 la Corte di appello di Palermo ha confermato la pronuncia del locale Tribunale del 20 dicembre 2022 con cui NOME era stato condannato alla pena di mesi quattro di arresto ed euro 2.000,00 di ammenda in ordine al reato di cui all’art. 21-sexies I. 10 dicembre 2018, n. 132.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con tre distinti motivi: violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. per mancanza di correlazione tra capo d’imputazione e sentenza, in conseguenza della disposta riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 21-sexies I. n. 132 del 2018; violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento della sua responsabilità penale; violazione di legge per intervenuta prescrizione del reato.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
2.1. Ed infatti, con riferimento alla prima doglianza, deve essere osservato come essa, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale, con la quale sono state diffusamente rappresentate le ragioni di insussistenza della lamentata violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza (pp. 2 e s.), di fatto reiteri le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado, già vagliate da parte della Corte territoriale.
Per come ripetutamente chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
2.2. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso, in quanto del tutto generico e aspecifico, e, perciò, inidoneo a rappresentare le ragioni di doglianza in fatto e in diritto e a confrontarsi in maniera adeguata con le argomentazioni espresse dalla sentenza impugnata.
2.3. Manifestamente infondata, infine, è pure l’ultima doglianza dedotta, non essendo intervenuto il decorso del termine di prescrizione del reato in data antecedente alla pronuncia della sentenza di secondo grado e non potendosi porre in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della estinzione del reato per prescrizione maturata dopo la sentenza di appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso p cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (così, tra le altre: Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256463-01; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266-01).
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 19 febbraio 2025
Il Consigliere estensore