Inammissibilità Ricorso Cassazione: Quando Ripetere Non Aiuta
Presentare un ricorso alla Corte di Cassazione è l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, un’opportunità cruciale per contestare errori di diritto in una sentenza. Tuttavia, non tutti i ricorsi superano il vaglio di ammissibilità. Una recente ordinanza della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di inammissibilità del ricorso in Cassazione quando questo si limita a riproporre questioni già decise, senza aggiungere nuovi profili di critica.
I Fatti del Caso
Il caso in esame trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Catania. Il ricorrente aveva sollevato, tra i vari motivi, una censura relativa alla presunta illegittimità di una perquisizione subita. Tale questione, tuttavia, era già stata ampiamente analizzata e motivatamente respinta dai giudici del secondo grado di giudizio. Nonostante ciò, la difesa ha deciso di riproporre la medesima doglianza dinanzi alla Corte di Cassazione.
La Decisione della Suprema Corte
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile. La decisione si fonda su un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: il ricorso in Cassazione non può essere una semplice ripetizione delle argomentazioni già presentate e disattese nei precedenti gradi di giudizio. Deve, al contrario, contenere una critica specifica e puntuale alla motivazione della sentenza impugnata, evidenziandone gli errori di diritto.
Le Motivazioni: Il Divieto di Ricorsi Meramente Riproduttivi
Il cuore della motivazione risiede nel concetto di “motivo meramente riproduttivo”. La Corte ha ritenuto che il ricorso fosse inammissibile perché deduceva un motivo che, di fatto, replicava i profili di censura già vagliati e respinti con argomenti giuridici corretti dalla Corte territoriale. In pratica, il ricorrente non ha contestato il ragionamento giuridico dei giudici d’appello, ma si è limitato a ripresentare la stessa questione, sperando in un esito diverso. Questo comportamento processuale non è consentito, poiché il giudizio di Cassazione ha la funzione di controllare la corretta applicazione della legge (controllo di legittimità) e non di riesaminare i fatti o di valutare nuovamente questioni già risolte (giudizio di merito). Pertanto, l’inammissibilità del ricorso in Cassazione è la sanzione processuale per chi non formula censure specifiche contro la decisione che intende impugnare.
Le Conclusioni: Conseguenze dell’Inammissibilità e Principio di Diritto
La dichiarazione di inammissibilità non è priva di conseguenze. La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria si giustifica, come richiamato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, quando il ricorrente ha agito con colpa nella determinazione della causa di inammissibilità. Proporre un ricorso palesemente riproduttivo, senza reali possibilità di accoglimento, integra tale colpa. L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: l’accesso alla giustizia di legittimità deve essere esercitato con responsabilità, presentando critiche mirate e pertinenti, per non sovraccaricare il sistema con impugnazioni dilatorie o manifestamente infondate.
Quando un ricorso in Cassazione viene considerato ‘meramente riproduttivo’?
Un ricorso è considerato ‘meramente riproduttivo’ quando si limita a ripetere le stesse censure e argomentazioni già presentate, esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio, senza muovere una critica specifica e argomentata contro la motivazione della sentenza che si sta impugnando.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Se un ricorso viene dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se si ravvisa una sua colpa nel proporre l’impugnazione, anche al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende.
Perché il ricorrente deve pagare un’ammenda oltre alle spese processuali?
Il pagamento di un’ammenda è previsto quando si ritiene che il ricorrente abbia proposto il ricorso ‘senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’. Nel caso specifico, presentare un ricorso palesemente riproduttivo è considerato un comportamento colposo che giustifica l’applicazione di tale sanzione pecuniaria, come stabilito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1391 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1391 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato il 10/06/1986
avverso la sentenza del 21/11/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe; esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile perché deduce un motivo meramente riproduttivo di profili di censura in ordine alla illegittimità della perquisizione già adeguatamente vaglia disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte territoriale (si veda pagina 2 della sent impugnata);
ritenuto che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29 novembre 2024.