Inammissibilità Ricorso per Cassazione: Perché la Firma dell’Avvocato è Obbligatoria
L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, ma il suo esercizio è regolato da precise norme procedurali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale in materia di impugnazioni penali: l’inammissibilità del ricorso per cassazione se non sottoscritto da un avvocato abilitato. Questo articolo analizza la decisione e le sue importanti implicazioni pratiche, specialmente alla luce della cosiddetta Riforma Orlando.
Il Caso in Esame: Un Ricorso Presentato Personalmente
La vicenda trae origine da un’ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di una città del centro Italia. Un soggetto, all’epoca ristretto presso una casa circondariale, decideva di impugnare tale provvedimento proponendo personalmente ricorso alla Corte di Cassazione. La dichiarazione di ricorso veniva resa direttamente all’ufficio matricola dell’istituto penitenziario, come consentito in passato.
Tuttavia, sia il provvedimento impugnato sia la presentazione del ricorso erano successivi al 4 agosto 2017, data di entrata in vigore di una significativa modifica legislativa.
La Decisione della Corte e l’Inammissibilità del Ricorso per Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso con una procedura semplificata, nota come de plano, prevista dall’art. 610, comma 5-bis del codice di procedura penale per i casi di manifesta inammissibilità.
L’esito è stato netto: il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Una decisione che, seppur severa, è una diretta applicazione delle norme vigenti.
Le Motivazioni: L’Impatto della Riforma Orlando
Il cuore della decisione risiede nella Legge 23 giugno 2017, n. 103 (nota come Riforma Orlando), che ha modificato in modo sostanziale le regole per proporre ricorso per cassazione. La Corte ha osservato che questa legge ha escluso la facoltà dell’imputato, e quindi anche del condannato, di proporre personalmente l’impugnazione davanti alla Suprema Corte.
Gli articoli 571 e 613 del codice di procedura penale, come novellati dalla riforma, stabiliscono in modo inequivocabile che l’atto di ricorso deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, da un difensore iscritto nell’apposito albo speciale della Corte di Cassazione. La ratio di questa norma è quella di garantire un filtro tecnico-qualitativo, assicurando che gli atti sottoposti al vaglio del massimo organo di giurisdizione posseggano la necessaria perizia giuridica, evitando così di congestionare la Corte con ricorsi infondati o mal formulati. Questo orientamento è stato peraltro consolidato da una pronuncia delle Sezioni Unite (sent. n. 8914/2017), che ha confermato l’obbligatorietà di tale requisito.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
La pronuncia in esame è un monito chiaro: chiunque intenda presentare un ricorso alla Corte di Cassazione in materia penale non può più farlo personalmente. È indispensabile rivolgersi a un avvocato cassazionista, ovvero un legale iscritto all’albo speciale. Agire diversamente comporta conseguenze automatiche e negative: il ricorso verrà dichiarato inammissibile senza neppure essere esaminato nel merito, con condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria. Questa regola si applica a tutti, inclusi coloro che si trovano in stato di detenzione, i quali devono necessariamente avvalersi di un difensore qualificato per far valere le proprie ragioni davanti alla Suprema Corte.
Un imputato o condannato può presentare personalmente ricorso alla Corte di Cassazione?
No. In base alla normativa vigente (legge n. 103/2017), l’atto di ricorso deve essere obbligatoriamente sottoscritto da un avvocato iscritto all’albo speciale della Corte di Cassazione, pena l’inammissibilità.
Cosa succede se un ricorso per cassazione viene presentato personalmente dall’interessato?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile ‘de plano’, cioè senza udienza. Il ricorrente viene inoltre condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata di tremila euro.
Questa regola vale per tutti i ricorsi?
Sì, questa regola si applica a tutti i ricorsi e provvedimenti successivi al 4 agosto 2017, data di entrata in vigore della legge n. 103/2017 che ha introdotto questa modifica.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22777 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22777 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/02/2024 del GIP TRIBUNALE di PERUGIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione in esame è stata proposta personalmente da NOME COGNOME il 2 marzo 2024 con dichiarazione resa all’Ufficio matricola della Casa Circondariale ove è ristretto.
Osserva il Collegio che sia il provvedimento impugnato sia il ricorso sono successivi al 4 agosto 2017, data dell’entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, con cui si è esclusa la facoltà dell’imputato – e quindi anche del condannato – di proporre personalmente ricorso per cassazione, prevedendosi che tale atto deve essere in ogni caso sottoscritto, a pena d’inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 271333 – 01).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, de plano, a norma dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla medesima legge n. 103 del 2017, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 23 maggio 2024
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