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Inammissibilità istanza esecuzione: limiti e doveri

La Cassazione ha annullato un provvedimento di inammissibilità di un’istanza esecuzione. La decisione è stata presa perché il giudice di merito non aveva valutato i nuovi elementi presentati dal ricorrente, limitandosi a considerare la richiesta come una mera riproposizione di una precedente istanza già rigettata. Secondo la Suprema Corte, in presenza di ‘nova’ (nuovi elementi), il giudice ha il dovere di motivare specificamente sulla loro irrilevanza, altrimenti la sua decisione è solo apparente e deve essere annullata.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità istanza esecuzione: quando la riproposizione è legittima?

Nel complesso mondo della procedura penale, la fase di esecuzione della pena rappresenta un momento cruciale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 1307/2024) ha fatto luce su un aspetto fondamentale: i limiti del provvedimento di inammissibilità di un’istanza in esecuzione quando questa viene ripresentata dopo un primo rigetto. La Corte ha stabilito che la presenza di nuovi elementi di fatto (‘nova’) impone al giudice un obbligo di valutazione specifica, pena la nullità del provvedimento per motivazione solo apparente.

I Fatti del Caso

Un soggetto condannato presentava al Giudice dell’esecuzione un’istanza per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati oggetto di diverse sentenze irrevocabili. Il Giudice dichiarava l’istanza inammissibile, qualificandola come una semplice riproposizione di una richiesta identica, già respinta anni prima (nel 2014). Secondo il Giudice, non erano emersi elementi che potessero superare la preclusione derivante dalla precedente decisione.

Contro questa decisione, il difensore del condannato proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo un vizio di motivazione. In particolare, si evidenziava che la nuova istanza non era una mera fotocopia della precedente, ma si fondava su nuovi elementi di fatto, specificamente indicati per superare la preclusione. Il ricorso lamentava che il Giudice dell’esecuzione non avesse minimamente considerato tali elementi, rendendo la sua motivazione priva di contenuto effettivo.

La questione dell’inammissibilità istanza esecuzione

Il cuore della questione giuridica ruota attorno all’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale. Questa norma consente al giudice di dichiarare inammissibile, senza formalità, una richiesta che costituisce una ‘mera riproposizione’ di un’istanza già rigettata. Tuttavia, la giurisprudenza, consolidata anche dalle Sezioni Unite, ha chiarito che per aversi ‘mera riproposizione’ non basta che l’oggetto della richiesta (petitum) sia lo stesso. È necessario che anche le ragioni di fatto e di diritto a sostegno della richiesta (causa petendi) siano identiche.

Se l’istante introduce nuovi elementi (‘nova’), il giudice non può semplicemente ignorarli. Ha il dovere di esaminarli e di spiegare perché, a suo avviso, non sono idonei a modificare la valutazione precedente. In caso contrario, la sua decisione non è una vera motivazione, ma solo un’apparenza.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato. Ha osservato che il ricorrente aveva effettivamente prospettato l’esistenza e la rilevanza di nuovi elementi fattuali, diversi da quelli già valutati nella precedente decisione del 2014. Il provvedimento impugnato, invece, non aveva affrontato minimamente questo tema. Ometteva qualsiasi apprezzamento dei ‘nova’, finendo per creare una ‘mera apparenza di motivazione’ circa l’esistenza dell’effetto preclusivo.

La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per dichiarare l’inammissibilità di un’istanza in esecuzione per precedente rigetto, le questioni reiterate devono essere del tutto identiche a quelle già decise, non solo nel petitum ma anche nella causa petendi. L’omessa valutazione dei nuovi elementi proposti rende la decisione illegittima.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato il provvedimento del Giudice dell’esecuzione, rinviando il caso a un altro magistrato per un nuovo giudizio. La sentenza sottolinea un importante principio di garanzia per il condannato: il diritto a una decisione motivata non viene meno nella fase esecutiva. Un giudice non può trincerarsi dietro una precedente decisione per respingere una nuova istanza se questa è supportata da argomenti o prove non valutati in precedenza. Deve, al contrario, confrontarsi con i nuovi elementi e spiegare perché li ritiene irrilevanti. Questa decisione rafforza il principio secondo cui la giustizia non può essere un atto burocratico, ma deve sempre basarsi su una valutazione concreta e ponderata dei fatti.

Quando un giudice può dichiarare l’inammissibilità di un’istanza in fase esecutiva perché è stata già presentata?
Un giudice può dichiarare l’inammissibilità solo se la nuova istanza è una ‘mera riproposizione’ di una richiesta già rigettata, ovvero quando sia l’oggetto della richiesta (petitum) sia le ragioni di fatto e di diritto (causa petendi) sono esattamente le stesse della precedente.

Cosa è necessario fare per presentare nuovamente un’istanza già rigettata?
Per superare una precedente decisione di rigetto, è necessario che la nuova istanza si fondi su ‘nova’, cioè su nuovi elementi di fatto o di diritto che non erano stati considerati dal giudice nella decisione precedente. Questi nuovi elementi devono essere chiaramente indicati e argomentati.

Cosa succede se il giudice dichiara l’inammissibilità senza valutare i nuovi elementi presentati?
Se il giudice non esamina i nuovi elementi e non spiega perché non sono idonei a cambiare la valutazione precedente, la sua decisione è viziata da una ‘mera apparenza di motivazione’. In tal caso, il provvedimento è illegittimo e può essere annullato dalla Corte di Cassazione, con rinvio per un nuovo giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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