Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18664 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18664 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME ( alias COGNOME NOME nato in Albania il 11/07/1994
avverso la ordinanza del 20/12/2024 della Corte di appello di Bologna
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 20 dicembre 202 4 la Corte d’appello di Bologna dichiarava inammissibile l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza del 26 settembre 2024 con la quale il Tribunale di Rimini aveva condannato l’imputato alla pena di due anni di reclusione e 457 euro di multa per il reato di tentata rapina impropria.
Riteneva la Corte territoriale che l’impugnazione fosse inammissibile, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen., per inosservanza dell’art. 581 , comma 1bis , dello stesso codice, avuto riguardo al profilo della specificità
estrinseca, in quanto i quattro motivi di appello non si erano confrontati con le ampie ed esaustive argomentazioni della sentenza di primo grado.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore di fiducia, lamentando una motivazione illogica e contraddittoria.
La Corte di merito ha ritenuto generico il primo motivo, relativo alla determinazione della pena, affermando però che l’appellante si era confrontato con alcune argomentazioni della sentenza ma non con tutte.
Quanto al secondo motivo, riguardante il riconoscimento dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, la difesa aveva difficoltà a confrontarsi con la sentenza di primo grado, limitatasi a richiamare giurisprudenza senza alcun riferimento specifico al caso di specie, caratterizzato dalla sottrazione di merce in un ipermercato, poi recuperata e rimessa in vendita.
Anche negli ultimi due motivi, con i quali era stata chiesta la esclusione della recidiva e della misura di sicurezza della espulsione dal territorio dello Stato, l’appellante aveva censurato la mancanza di un giudizio attuale sulla pericolosità sociale dell’imputato.
L ‘ordinanza impugnata , di fatto, ha esaminato e illegittimamente valutato nel merito il gravame. Confutando ogni argomento difensivo, la Corte territoriale ha dimostrato che l’ atto di appello era adeguatamente motivato in senso critico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
L’ordinanza impugnata ha richiamato il principio affermato dalla Sezioni Unite nella sentenza COGNOME (n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Rv. 268822 -01), secondo il quale l ‘ appello, al pari del ricorso per cassazione, «è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata», principio poi recepito dal legislatore che, con il decreto legislativo 10 ottobre 2002, n. 150, ha introdotto il comma 1bis all’interno dell’articolo 581 del codice di rito, prevedendo la inammissibilità dell’appello «per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazio ne».
Nel contempo, la sentenza COGNOME ha rimarcato che «il sindacato sull’ammissibilità dell’appello, condotto ai sensi degli artt. 581 e 591 cod. proc. pen., non può ricomprendere -a differenza di quanto avviene per il ricorso per cassazione (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.) o per l’appello civile -la valutazione della manifesta infondatezza dei motivi di appello. La manifesta infondatezza non è infatti espressamente menzionata da tali disposizioni quale causa di inammissibilità dell’impugnazione. Dunque, il giudice d’appello non potrà fare ricorso alla speciale procedura prevista dall’art. 591, comma 2, cod. proc. pen., in presenza di motivi che siano manifestamente infondati e però caratterizzati da specificità intrinseca ed estrinseca».
Anche in epoca successiva, è stato ribadito che il giudice d’appello può dichiarare la inammissibilità dell’appello solo quando i motivi «difettino di specificità e quindi quando non siano affatto argomentati o quando non affrontino la motivazione spesa nella sentenza impugnata (e pecchino pertanto di genericità interna all’atto o esterna al medesimo) e non quando, diversamente, non siano ritenuti idonei (anche manifestamente) a confutarne l’apparato motivazionale» (Sez. 4, n. 36533 del 15/09/2021, COGNOME Rv. 281978, in un caso in cui la Corte, rilevandone la contraddittorietà, ha annullato la sentenza che, al contempo, aveva dichiarato inammissibile l’appello per genericità delle ragioni indicate a sostegno della richiesta di riforma della sentenza di primo grado e risposto nel merito ai motivi ritenuti inammissibili. In senso conforme cfr., ad es., Sez. 5, n. 11942 del 25/02/2020, COGNOME, Rv. 278859 -01 nonché, da ultimo, Sez. 2, n. 7693 del 12/02/2025, Agosta, non mass.).
Nel caso di specie l’ordinanza impugnata risulta conforme ai suddetti principi , avendo puntualmente evidenziato le ragioni per le quali l’atto di appello difettava di specificità estrinseca, con argomentazioni prive di contraddittorietà o illogicità.
3.1. Con il primo motivo, relativo alla entità della pena, l’appello aveva valorizzato alcuni elementi (confessione e minima offensività del fatto) e sostenuto che il primo Giudice non avesse individuato ‘ulteriori elementi’ tali da giustificare ‘un trattamento sanzionatorio così severo’.
La Corte d’appello, però, ha correttamente evidenziato l’erroneità della premessa, considerato che il trattamento sanzionatorio non era stato affatto severo, atteso che la pena inflitta (due anni di reclusione, quanto a quella detentiva), era stata prossima al minimo edittale (un anno e otto mesi), lontana anche dal medio edittale (quattro anni e due mesi di reclusione).
Inoltre , l’ordinanza impugnata ha osservato che diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente -il Tribunale aveva specificamente indicato elementi rilevanti ai fini della determinazione della pena in misura di ‘poco superiore al minimo’ ( ‘lo stadio avanzato cui è giunta la condotta’ e ‘la sicura capacità a delinquere dell’imputato’) e aveva pure valutato la ‘ confessione ‘ , affermando che la versione dei fatti dell’imputato era stata ‘palesemente minimizzante e non espressiva di resipiscenza’ e che il suo comportamento processuale era stato ‘pessimo’ , sì da comportare un aggravamento della misura cautelare applicata originariamente.
3.2. Con il secondo motivo , relativo al riconoscimento dell’attenuante ex art. 62, primo comma, n. 4 cod. pen., lo stesso appellante aveva ricordato l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale ‘le condizioni economiche del soggetto possono rilevare soltanto come criterio sussidiario, quando il valore della cosa in sé, oggetto della condotta delittuosa non sia sufficientemente indicativo della speciale tenuità del danno’.
La difesa, però, aveva contraddittoriamente trascurato il fatto che -come ricordato nell’ordinanza impugnata il primo Giudice aveva richiamato ben sette casi esaminati dalla Suprema Corte, nei quali era stato ritenuto incensurabile il diniego dell ‘ attenuante a fronte di danni patrimoniali di entità largamente inferiori a quello del caso di specie (630 euro), di per sé ostativo al riconoscimento della circostanza.
3.3. La Corte d’appello, poi, ha evidenziato che , con il terzo motivo di gravame (recidiva), la sentenza di primo grado veniva censurata, in tema di applicazione della recidiva, per non avere speso ‘una sola parola al riguardo’, quando invece il Tribunale aveva espresso un’ampia motivazione sul punto ( quasi l’intera pagina pag. 6) rimarcando il numero, la gravità, la natura e l’epoca dei recenti procedenti penali dell’imputato nonché gli elementi indicativi della sua pericolosità, desunta dalle modalità del reato ( ‘l’intraprendenza mostrata, la pur modesta violenza esercitata, il valore elevato della merce sottratta ‘ ), commesso quando COGNOME era sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per un altro delitto.
3.4. Proprio avuto riguardo al giudizio di pericolosità espresso dal Tribunale in merito alla sussistenza della recidiva la Corte d’appello ha ritenuto generico l’ultimo motivo di gravame con il quale la difesa lamentava l’applicazione della misura di sicurezza dell’allontanamento dal territorio dello Stato in quanto non era stata accertata la pericolosità dell’imputato.
La motivazione della Corte, obliterata nel ricorso, non è affatto illogica (né contraddittoria), considerato che la valutazione in ordine alla pericolosità
dell’imputato ai fini del riconoscimento della recidiva, riferibile al momento della commissione del fatto (11 agosto 2024), non poteva che essere la medesima quanto all’applicazione della misura di sicurezza in sede di decisione, seguita a distanza di un mese e mezzo (26 settembre 2024), tanto più che il primo Giudice aveva rimarcato che l’imputato aveva violato sin dall’inizio la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Il Tribunale, peraltro, aveva anche espressamente ribadito la ‘prognosi palesemente negativa, già formulata nell’ordinanza cautelare genetica a proposito del pericolo di commissione di reati analoghi per le condizioni personali, economiche e sociali precarie dell’imputato’ (pag. 7) , immediatamente prima di affermare che la sua pericolosità, già in precedenza valutata sulla base della gravità del reato e della capacità a delinquere, imponeva l’applicazione della misura di sicurezza.
A ll’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 06/05/2025.