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Inammissibilità del ricorso: quando si paga la multa

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso presentato contro una sentenza della Corte d’Appello di Bari. A causa della manifesta infondatezza dell’impugnazione, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro. La decisione sottolinea come la colpa nell’avanzare un ricorso privo di validi motivi giuridici comporti conseguenze economiche significative.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del Ricorso: Le Conseguenze di un’Impugnazione Evidentemente Infondata

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio delle conseguenze derivanti dalla presentazione di un’impugnazione priva di fondamento. Quando un appello non supera il vaglio preliminare di ammissibilità, non solo viene respinto senza un’analisi nel merito, ma può anche comportare sanzioni economiche per il proponente. Questo caso evidenzia l’importanza di una valutazione attenta prima di procedere con un’impugnazione, specialmente davanti alla Suprema Corte, e illustra il principio della inammissibilità del ricorso.

Il Contesto del Caso Giudiziario

La vicenda processuale ha origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Bari, datata 19 ottobre 2023. Il ricorrente ha cercato di ottenere una revisione della decisione di secondo grado, portando il caso all’attenzione della Corte di Cassazione. Tuttavia, l’esito non è stato quello sperato, poiché la Corte ha ritenuto l’impugnazione non meritevole di essere discussa nel merito.

La Decisione della Corte sull’inammissibilità del ricorso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 19893 del 2025, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso. Questa decisione non entra nel vivo della questione, ma si ferma a un livello precedente, stabilendo che il ricorso stesso manca dei presupposti necessari per essere esaminato. La Corte ha ritenuto che i motivi addotti non costituissero critiche legittime alla decisione impugnata, ma si limitassero a un riesame dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità.

Le Sanzioni Accessorie: Spese e Multa

La conseguenza diretta della dichiarazione di inammissibilità è stata duplice. In primo luogo, ai sensi dell’articolo 616 del codice di procedura penale, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali. In secondo luogo, e di notevole importanza, è stato condannato al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa seconda sanzione non è automatica, ma viene applicata quando la Corte ravvisa profili di colpa nel proponente, legati all’evidente infondatezza dell’impugnazione. La Corte ha citato precedenti giurisprudenziali, inclusa una sentenza della Corte Costituzionale, per giustificare l’applicazione di tale sanzione come deterrente contro ricorsi manifestamente dilatori o pretestuosi.

La Colpa nell’Impugnazione e l’inammissibilità del ricorso

Il concetto di ‘colpa’ in questo contesto si riferisce alla negligenza o all’imprudenza nel presentare un ricorso senza una seria probabilità di successo, basato su motivi palesemente non accoglibili. La Corte ha ritenuto che l’evidente inammissibilità del ricorso rendesse manifesta la colpa del ricorrente, giustificando così l’imposizione della sanzione pecuniaria. Questo approccio mira a responsabilizzare le parti e a prevenire un uso improprio dello strumento dell’impugnazione, che potrebbe congestionare il sistema giudiziario.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che il ricorso non muoveva critiche di legittimità alla sentenza impugnata. Invece di contestare errori di diritto, il ricorrente ha tentato di ottenere una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione. La palese mancanza di motivi validi ha portato a considerare l’impugnazione come ‘evidente’, un fattore che, secondo la giurisprudenza consolidata, è indice di colpa da parte del proponente. L’applicazione della sanzione pecuniaria, equamente determinata in tremila euro, è stata quindi ritenuta una conseguenza necessaria e proporzionata, in linea con l’articolo 616 del codice di procedura penale e con i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale per scoraggiare impugnazioni temerarie.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma un orientamento rigoroso della giurisprudenza di legittimità: l’accesso alla giustizia non deve trasformarsi in un abuso del processo. Dichiarare l’inammissibilità del ricorso e condannare il ricorrente a una sanzione pecuniaria serve a tutelare l’efficienza del sistema giudiziario, scoraggiando la presentazione di appelli privi di serie basi giuridiche. Questa decisione rappresenta un monito per i litiganti e i loro difensori sulla necessità di ponderare attentamente la fondatezza e la pertinenza dei motivi di ricorso prima di adire la Suprema Corte.

Cosa succede quando un ricorso penale viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se viene riscontrata una colpa nella proposizione del ricorso (ad esempio, perché manifestamente infondato), può essere anche condannato a pagare una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende.

Perché il ricorrente è stato condannato a pagare una somma alla Cassa delle ammende?
Il ricorrente è stato condannato a versare tremila euro alla Cassa delle ammende perché la Corte ha ravvisato ‘profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione’. Questa sanzione ha lo scopo di penalizzare l’abuso del processo e di scoraggiare la presentazione di ricorsi palesemente infondati o dilatori.

Cosa si intende per ‘evidente inammissibilità’ del ricorso?
Secondo l’ordinanza, un ricorso è evidentemente inammissibile quando i motivi presentati non sollevano questioni di legittimità (cioè errori di diritto), ma si limitano a chiedere un riesame dei fatti già valutati nei gradi di giudizio precedenti, un’attività che non è consentita alla Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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