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Inammissibilità del ricorso: quando manca l’interesse

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato da un’imputata contro un’ordinanza in fase di esecuzione. La decisione si fonda su due pilastri: la sentenza di condanna era ormai divenuta irrevocabile e, soprattutto, la ricorrente non aveva un interesse giuridicamente rilevante a contestare la confisca di beni non di sua proprietà. Questo principio ribadisce l’importanza della carenza di interesse come causa di inammissibilità del ricorso.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del ricorso per carenza di interesse: il caso della confisca su beni di terzi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7446 del 2024, ha riaffermato un principio cardine del diritto processuale: per poter agire in giudizio, è indispensabile avere un interesse concreto e attuale. La pronuncia chiarisce come questo principio porti all’inammissibilità del ricorso quando un soggetto impugna un provvedimento, come la confisca, che incide su beni di cui non è proprietario. L’analisi di questa decisione offre spunti fondamentali sulla legittimazione ad agire e sulla finalità delle impugnazioni.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una sentenza di condanna del Tribunale di Firenze per reati tributari a carico di un’imputata. La condanna includeva una confisca per equivalente per oltre 500.000 euro, eseguita su beni formalmente intestati a una società.

Successivamente, l’imputata presentava un incidente di esecuzione, chiedendo la sospensione dell’esecutorietà e la revoca della dichiarazione di irrevocabilità della sentenza di condanna. Il Tribunale di Firenze, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta. Contro questa ordinanza, la difesa della donna proponeva ricorso per cassazione, sostenendo l’erroneità della decisione del Tribunale, in particolare riguardo alla presunta tardività di un precedente appello e alla non definitività della condanna.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una duplice argomentazione che neutralizza completamente le doglianze della ricorrente, evidenziando la sua mancanza di legittimazione a contestare sia la definitività della sentenza sia la misura della confisca.

Le Motivazioni: l’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse

Le motivazioni della Corte sono state chiare e perentorie.

In primo luogo, i giudici hanno sottolineato come ogni questione sulla tempestività dell’appello e sulla definitività della condanna fosse ormai superata. Una precedente sentenza della Cassazione (Sez. 5, n. 38983 del 22/06/2023) aveva già dichiarato inammissibili i ricorsi contro la sentenza d’appello, rendendo di fatto la condanna irrevocabile. Di conseguenza, le statuizioni penali, inclusa la confisca, erano divenute definitive e pienamente eseguibili. Questo ha fatto venir meno qualsiasi interesse della ricorrente a discutere un punto ormai cristallizzato da una precedente decisione della stessa Corte di legittimità.

In secondo luogo, e questo è il punto cruciale, la Corte ha rilevato una totale carenza di interesse da parte della ricorrente a contestare la confisca. La stessa difesa ammetteva nel ricorso che l’imputata non era né l’attuale proprietaria dei beni confiscati né la legale rappresentante della società a cui tali beni erano intestati.

La giurisprudenza consolidata, richiamata dalla Corte (cfr. Sez. 3, n. 8625 del 17/02/2022), stabilisce che l’unico soggetto legittimato a impugnare un provvedimento di confisca su un bene è il terzo intestatario formale, in quanto è l’unico che, in caso di accoglimento del ricorso, avrebbe diritto alla restituzione del bene. L’imputata, non avendo alcun titolo giuridico sui beni, non poteva vantare un interesse concreto e attuale alla loro restituzione e, pertanto, non era legittimata a presentare ricorso.

Le Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce con forza che l’accesso alla giustizia e ai mezzi di impugnazione è subordinato alla sussistenza di un interesse ad agire, che deve essere personale, diretto, concreto e attuale. Non è sufficiente essere parte di un procedimento penale per poter contestare qualsiasi atto esecutivo. Se il provvedimento, come in questo caso la confisca, colpisce il patrimonio di un soggetto terzo, solo quest’ultimo ha la facoltà di opporsi. Qualsiasi iniziativa da parte di chi non ha un titolo giuridico sui beni è destinata a scontrarsi con una declaratoria di inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna alle spese processuali.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per due motivi principali: in primo luogo, la sentenza di condanna era già diventata definitiva e irrevocabile a seguito di una precedente decisione della Cassazione; in secondo luogo, la ricorrente non aveva un interesse giuridico a contestare la confisca, poiché non era la proprietaria formale dei beni sequestrati.

Una persona condannata può impugnare la confisca di beni intestati a terzi?
No. Secondo la giurisprudenza citata nella sentenza, l’unico soggetto legittimato a impugnare la confisca è il terzo formale intestatario del bene, in quanto è l’unico ad avere diritto alla sua restituzione in caso di accoglimento dell’impugnazione. La persona condannata, se non è proprietaria, manca di interesse ad agire.

Cosa significa che una sentenza è ‘passata in giudicato’?
Significa che la sentenza è diventata definitiva e non può più essere oggetto di impugnazioni ordinarie (come l’appello o il ricorso per cassazione). Le statuizioni in essa contenute, incluse le condanne e le confische, diventano pienamente esecutive.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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