Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21504 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21504 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a QUINDICI il 25/09/1964
avverso l’ordinanza del 28/01/2025 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che chiedeva dichiararsi il ricorso inammissibile
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Napoli in qualità di giudice dell’esecuzione, con ordinanza resa in data 28 gennaio 2025 dichiarava inammissibile l’istanza presentata nell’interesse di NOME COGNOME e avente ad oggetto la richiesta di revoca dell’ordinanza emessa in data 14 gennaio 2019 con cui era stato revocato il beneficio dell’indulto concesso al richiedente in relazione alla pena inflitta dalla Corte di Appello di Napoli con sentenza del 25 maggio 2003.
La Corte esponeva che l’ordinanza con cui era stato revocato l’indulto era stata impugnata e il ricorso era stato dichiarato inammissibile.
Successivamente, veniva riconosciuto il vincolo della continuazione fra alcuni fatti, fra i quali rientravano anche quelli rispetto a quali era stato concesso l’indulto poi revocato;
il difensore aveva nuovamente impugnato il provvedimento sottolineando come, a seguito della rideterminazione pena erano venute meno le condizioni per la revoca dell’indulto, poiché l’aumento per la continuazione era in misura inferiore rispetto a quello richiesto per revocare il beneficio; anche tale istanza veniva rigettata con ordinanza del 25 luglio 2023 resa nel SIGE 1533/20 ed è divenuta irrevocabile in quanto il ricorso veniva rigettato.
La Corte, in ragione del fatto che l’istanza da ultimo presentata fosse ripropositiva delle medesime questioni che avevano portato all’ordinanza di rigetto nel SIGE 1533/2020, la dichiarava inammissibile.
Nel merito, ad abundantiam, ne ribadiva l’infondatezza, poiché l’indulto era stato correttamente revocato, sussistendo all’epoca del provvedimento di revoca le condizioni che imponevano il venir meno del beneficio.
Avverso detto provvedimento proponeva ricorso NOME COGNOME tramite il difensore di fiducia, articolando due motivi di censura.
2.1 Con il primo motivo lamenta vizio di motivazione e con il secondo motivo, trattato congiuntamente, lamenta la violazione di legge per avere la Corte fondato la propria decisione sulla incapacità del presupposto indicato dalla difesa di travolgere il giudicato.
Richiamava il ricorrente tutta la vicenda processuale che era sfociata nella declaratoria da parte della Suprema Corte di inammissibilità del ricorso e affermava che l’ordinamento avrebbe consentito la concessione del beneficio dell’indulto; ciò in quanto l’istituto della continuazione in executivis ha la funzione di travolgere il giudicato.
Il sostituto procuratore generale, NOME COGNOME depositava conclusioni scritte chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il provvedimento impugnato è stato . reso in esito all’ incidente di esecuzione promosso con l’istanza in data 24/9/24 avente ad oggetto la revoca dell’ordinanza del 14 gennaio 2019 che aveva revocato l’indulto concesso sulla sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli; avverso detta ordinanza di revoca era stato proposto ricorso dichiarato inammissibile da questa Corte il 4 luglio 2019.
Successivamente, con ordinanza del 25 luglio 2023, veniva rigettata l’istanza di revoca della revoca dell’indulto in ragione della rideterminazione della pena per essere stata ritenuta la continuazione in una entità che non avrebbe imposto la revoca dell’indulto.
Avverso tale ordinanza veniva proposto ricorso che veniva rigettato il 17 gennaio 2024.
La Corte, nell’impugnato provvedimento, rilevato che l’istanza in data 24 settembre 2024 era meramente ripropositiva delle medesime questioni già decise con l’ordinanza del 25 luglio 2023, divenuta definitiva a seguito di rigetto del ricorso il 17 gennaio 2024, ne dichiarava l’inammissibilità, ritenendo che operasse la preclusione processuale di cui all’art. 666 comma 2 cod. proc. pen.
L’inammissibilità è stata dichiarata dal collegio con ordinanza a seguito di rito partecipato, ma ciò non costituisce un vulnus, in quanto è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che dichiari l’inammissibilità per manifesta infondatezza dell’istanza (nella specie, di rideterminazione della pena) ad esito di udienza camerale partecipata, ex art. 666, comma 3, cod. proc. pen., anziché “de plano”, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, non derivando dalla diversità del rito alcuna conseguenza pregiudizievole all’interessato, né quanto alla comunicazione e al regime di impugnazione del provvedimento conclusivo – comunque ricorribile per cassazione ex art. 606 cod. proc. pen. – né riguardo agli onorari del difensore – in ogni caso non liquidabili. (Sez. 1, n. 20226 del 08/06/2020, COGNOME, Rv. 279368 – 01)
Non è neppure richiesta la definitività, che nel nostro caso c’è, della decisione pregiudicante, infatti la disposizione di cui all’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede l’inammissibilità delle istanze che costituiscono la mera reiterazione di altre già rigettate quando non venga prospettato, a sostegno di esse, alcun elemento nuovo, non richiede che il precedente provvedimento di rigetto abbia acquisito carattere di definitività, poiché è volta non solo ad impedire, ma anche a prevenire l’eventualità di contrastanti decisioni sul medesimo punto in
presenza di una immutata situazione di fatto. (Sez. 3, n. 2694 del 20/11/2019, dep. 2020, COGNOME Rv. 278283 – 01)
Del tutto correttamente la Corte di Appello di Napoli ha ritenuto che l’istanza fosse identica alla precedente rigettata; uno dei motivi di ricorso avverso l’ordinanza preclusiva, infatti, riguardava la mancata valutazione – da parte del giudice dell’esecuzione – del fatto che la condanna a quattro anni di reclusione, che aveva giustificato tale revoca, a seguito dell’applicazione della continuazione è stata rideterminata in anni uno di reclusione, facendo così venir meno il presupposto necessario per la revoca dell’indulto; trattasi di argomento del tutto sovrapponibile a quello speso nella successiva istanza dichiarata correttamente inammissibile.
Tale censura veniva dichiarata infondata da questa Corte che sul punto affermava che ” il ricorrente sostiene, ribadendo nel ricorso quanto già eccepito davanti al giudice dell’esecuzione, che la pena pari a due anni e due mesi di reclusione, irrogata con la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 27/05/2003, fu dichiarata indultata, ma successivamente l’indulto fu revocato per il sopraggiungere di una condanna a quattro anni di reclusione emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 30/11/2012; il reato giudicato con quest’ultima condanna, però, con il provvedimento emesso in data 08/07/2020 fu ritenuto unito in continuazione con altri, e la pena allora irrogata fu rideterminata in anni uno di reclusione, per cui il provvedimento di revoca dell’indulto avrebbe dovuto essere a sua volta revocato, in quanto emesso illegittimamente, e il pubblico ministero non avrebbe dovuto inserire la relativa pena nel nuovo cumulo – 0
Il giudice dell’esecuzione ha correttamente respinto questa richiesta, perché la revoca dell’indulto è stata disposta legittimamente, con provvedimento emesso in data 14/01/2019, mai impugnato, e divenuto, perciò, definitivo. Le vicende successive, che peraltro consistono in una riduzione dell’entità della pena solo a seguito di un trattamento di favore che risponde ad altri principi, e non elimina la condanna originariamente emessa e la valutazione di congruità della pena applicata dal giudice della cognizione, non possono, in questo caso, travolgere il giudicato. La motivazione dell’ordinanza impugnata sul punto, benché sintetica, è pertanto corretta, e non presenta gli asseriti vizi di carenza e apparenza.”
Il ricorso sul punto si appalesa come del tutto generico e aspecifico, posto che nulla ha osservato circa la ragione fondante la declaratoria di inammissibilità ex art. 666 comma 2 cod proc pen.
La manifesta infondatezza del ricorso ne impone la declaratoria di inammissibilità con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché della somma di euro 3000 alla cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 9 aprile 2025
Il Consigliere estensore
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Il Presidente