LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Inammissibilità del ricorso: quando è reiterato

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso di un condannato che chiedeva la revoca della revoca di un indulto. L’istanza è stata giudicata una mera ripetizione di questioni già esaminate e respinte in via definitiva, integrando una violazione della preclusione processuale stabilita dalla legge.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 28 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del ricorso: la Cassazione ribadisce il principio di preclusione

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione affronta un caso emblematico sull’inammissibilità del ricorso quando questo si configura come una mera riproposizione di questioni già vagliate e decise in via definitiva. La pronuncia sottolinea l’importanza del principio di preclusione processuale, un cardine del nostro ordinamento che mira a garantire la certezza del diritto e a prevenire l’abuso degli strumenti processuali. Il caso riguarda un condannato che, dopo aver visto revocato un beneficio (l’indulto), ha tentato ripetutamente di ottenere una revisione della decisione, scontrandosi con il muro del giudicato.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine dalla revoca di un indulto precedentemente concesso a un soggetto. Tale revoca era stata disposta a seguito di una nuova condanna a quattro anni di reclusione. Il provvedimento di revoca, emesso nel 2019, era stato impugnato e il relativo ricorso era stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione, rendendo la decisione definitiva.

Successivamente, in fase esecutiva, la nuova condanna veniva unificata ad altre pene tramite l’istituto della continuazione, con una rideterminazione della pena finale in un solo anno di reclusione. Sulla base di questa nuova situazione, il difensore del condannato presentava una nuova istanza, sostenendo che, essendo venuto meno il presupposto quantitativo della pena che aveva giustificato la revoca dell’indulto (da quattro anni a uno), anche la revoca stessa dovesse essere annullata. Questa istanza veniva rigettata nel 2023, e anche il successivo ricorso veniva respinto nel 2024, rendendo definitiva anche questa seconda decisione.

Nonostante i due rigetti definitivi, la difesa presentava un’ulteriore istanza nel settembre 2024, riproponendo le medesime argomentazioni. La Corte d’Appello, in qualità di giudice dell’esecuzione, la dichiarava inammissibile, proprio perché meramente ripropositiva di questioni già decise. Contro questa ennesima decisione, veniva proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione e l’inammissibilità del ricorso

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, dichiara il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici supremi confermano pienamente la valutazione della Corte d’Appello, evidenziando come l’istanza presentata fosse identica a quella precedente, già rigettata con provvedimento divenuto irrevocabile.

Il fulcro della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che se un’istanza in fase esecutiva è una mera riproposizione di una richiesta già respinta, e non vengono addotti nuovi elementi di fatto o di diritto, deve essere dichiarata inammissibile. Si tratta di una preclusione processuale che impedisce di rimettere in discussione all’infinito questioni già coperte da una decisione definitiva.

Le Motivazioni

La Corte articola le sue motivazioni su due piani. In primo luogo, ribadisce la correttezza formale della declaratoria di inammissibilità. L’istanza era una copia della precedente, basata sugli stessi argomenti giuridici: la rideterminazione della pena a seguito della continuazione avrebbe dovuto invalidare la revoca dell’indulto. Poiché un giudice si era già pronunciato su questo punto con decisione definitiva, ogni ulteriore dibattito era precluso.

Nel merito, e ad abundantiam (cioè per completezza), la Corte chiarisce perché l’argomento della difesa era comunque infondato. La revoca dell’indulto, disposta nel 2019, era stata un atto legittimo, basato sulle condizioni esistenti in quel momento (la condanna a quattro anni). Il fatto che, successivamente, la pena sia stata ridotta per effetto della continuazione – un istituto di favore che risponde a principi diversi – non può travolgere retroattivamente un provvedimento legittimamente emesso e divenuto definitivo. Il giudicato formatosi sulla revoca non può essere scalfito da eventi successivi che non ne eliminano la congruità originaria.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale per la stabilità del sistema giudiziario: una volta che una questione è stata decisa con provvedimento irrevocabile, non può essere riproposta a meno che non emergano elementi nuovi e concreti. L’inammissibilità del ricorso per reiterazione serve a evitare un uso strumentale del processo e a tutelare il valore del giudicato. Per gli operatori del diritto e i cittadini, il messaggio è chiaro: le decisioni definitive vanno rispettate e non possono essere rimesse in discussione con argomenti già esaminati e respinti.

È possibile presentare un ricorso che ripropone le stesse questioni già decise da un giudice?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che un’istanza meramente ripropositiva di questioni già decise è inammissibile, in quanto opera la preclusione processuale prevista dall’art. 666, comma 2, del codice di procedura penale.

La rideterminazione della pena in senso più favorevole a seguito della ‘continuazione’ può rendere illegittima una precedente revoca dell’indulto?
No. Secondo la sentenza, se la revoca dell’indulto era legittima al momento in cui è stata disposta, le vicende successive come la riduzione della pena a seguito di un trattamento di favore non possono travolgere il giudicato e renderla illegittima retroattivamente.

Cosa succede se si presenta un ricorso manifestamente infondato?
La presentazione di un ricorso manifestamente infondato ne comporta la declaratoria di inammissibilità e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, stabilita dal giudice, in favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati