Inammissibilità del ricorso: quando una nuova domanda in appello chiude le porte della Cassazione
Il percorso giudiziario è scandito da regole precise, la cui violazione può avere conseguenze definitive. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale del processo: l’inammissibilità del ricorso quando vengono introdotte nuove doglianze solo in fase di appello. Questa ordinanza sottolinea l’importanza di formulare correttamente e completamente la domanda sin dal primo grado, pena la chiusura di ogni ulteriore possibilità di esame nel merito.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine dalla richiesta di un detenuto che, ai sensi dell’art. 35-ter dell’Ordinamento Penitenziario, lamentava un pregiudizio derivante da condizioni di detenzione inumane e degradanti. La sua domanda originaria, tuttavia, non faceva menzione di un specifico periodo di carcerazione sofferto presso l’istituto di Vicenza.
Questa particolare doglianza è emersa per la prima volta solo successivamente, in sede di reclamo dinanzi al Tribunale di Sorveglianza di Venezia. Giunto il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, la difesa del detenuto si è scontrata con un ostacolo procedurale insormontabile.
La Decisione della Corte e l’inammissibilità del ricorso
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. La decisione si basa su due pilastri procedurali fondamentali, entrambi violati nel caso di specie: il divieto di introdurre nuove domande in appello e il principio di autosufficienza del ricorso.
La Corte ha evidenziato come la richiesta relativa al periodo di detenzione a Vicenza non fosse parte della domanda originaria. Introdurla solo in fase di reclamo costituisce una domanda nuova, non permessa dall’ordinamento. Questo vizio, da solo, è sufficiente a determinare una pronuncia di inammissibilità del ricorso.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte sono state nette e precise. In primo luogo, è stato ribadito che il giudizio di reclamo avanti al Tribunale di Sorveglianza non può essere la sede per ampliare l’oggetto della controversia. Le questioni devono essere cristallizzate nella domanda iniziale per garantire il corretto svolgimento del processo e il diritto di difesa di tutte le parti.
In secondo luogo, la Corte ha rilevato un difetto di ‘autosufficienza’ del ricorso. Il ricorrente, infatti, non solo ha omesso di allegare la domanda originaria (un atto cruciale per verificare cosa fosse stato chiesto inizialmente), ma non ha nemmeno specificato in quale atto avesse sollevato la questione del periodo di detenzione a Vicenza. Il principio di autosufficienza impone che il ricorso contenga tutti gli elementi fattuali e giuridici necessari perché la Corte possa decidere senza dover ricercare atti o informazioni altrove. La sua assenza costituisce un grave vizio che porta all’inammissibilità.
Le Conclusioni
Le conseguenze per il ricorrente sono state severe: oltre alla declaratoria di inammissibilità, è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La Corte ha sottolineato che tale condanna è giustificata dalla ‘colpa’ nella presentazione di un ricorso privo dei requisiti minimi, come stabilito dalla giurisprudenza costituzionale.
Questa ordinanza è un monito importante: la precisione e la completezza degli atti fin dal primo grado non sono meri formalismi, ma requisiti essenziali per la tutela dei propri diritti. Introdurre nuove questioni in fasi successive del giudizio o presentare un ricorso non autosufficiente non solo ne compromette l’esito, ma espone anche a significative sanzioni economiche.
Perché il ricorso del detenuto è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per due motivi: 1) La richiesta relativa al periodo di detenzione in un carcere specifico era stata presentata per la prima volta in sede di reclamo (appello) e non nella domanda originaria. 2) Il ricorso mancava del requisito di autosufficienza, poiché non erano stati allegati gli atti necessari a comprendere e valutare la domanda iniziale.
Cosa si intende per ‘autosufficienza del ricorso’ in questo caso?
Significa che il ricorso presentato alla Corte di Cassazione deve contenere tutti gli elementi necessari per essere deciso, senza che i giudici debbano cercare informazioni in altri documenti non allegati. Nel caso specifico, il ricorrente non ha allegato la domanda originaria né ha indicato con quale atto avesse richiesto la valutazione del periodo di carcerazione in questione, rendendo impossibile per la Corte verificare la tempestività e la correttezza della sua pretesa.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente?
In seguito alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della sua ‘colpa’ nel presentare un ricorso palesemente infondato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2317 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2317 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN DONA DI PIAVE il 03/05/1973
avverso l’ordinanza del 19/06/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso ed il provvedimento impugnato.
Considerato che il ricorso proposto da NOME COGNOME è manifestamente infondato poiché esso riguarda la richiesta ex art. 35-ter Ord. pen. per il periodo di detenzione presso il carcere di Vicenza che, però, non era stata oggetto della domanda originaria, essendo stata introdotta soltanto in sede di reclamo avanti il Tribunale sorveglianza di Venezia;
Ritenuto, in particolare, che il ricorso difetta del requisito della autosuffici poiché il condannato ha omesso di allegare allo stesso l’originaria domanda e, in ogni caso, non ha indicato con quale atto aveva richiesto di valutare anche il periodo di carcerazione sofferta presso il carcere sopra indicato;
Rilevato che il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile e che il ricorrente deve essere condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., a pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte cost., sent. n. 186 del 2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2024.