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Inammissibilità del ricorso per nuove domande in appello

Un detenuto ha presentato ricorso in Cassazione per un presunto trattamento inumano subito in un carcere specifico. La Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso perché la doglianza relativa a quel carcere era stata sollevata per la prima volta in sede di reclamo e non nella domanda originaria. Inoltre, il ricorso mancava di autosufficienza, non avendo allegato gli atti necessari a valutarne il merito, portando alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del ricorso: quando una nuova domanda in appello chiude le porte della Cassazione

Il percorso giudiziario è scandito da regole precise, la cui violazione può avere conseguenze definitive. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale del processo: l’inammissibilità del ricorso quando vengono introdotte nuove doglianze solo in fase di appello. Questa ordinanza sottolinea l’importanza di formulare correttamente e completamente la domanda sin dal primo grado, pena la chiusura di ogni ulteriore possibilità di esame nel merito.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di un detenuto che, ai sensi dell’art. 35-ter dell’Ordinamento Penitenziario, lamentava un pregiudizio derivante da condizioni di detenzione inumane e degradanti. La sua domanda originaria, tuttavia, non faceva menzione di un specifico periodo di carcerazione sofferto presso l’istituto di Vicenza.

Questa particolare doglianza è emersa per la prima volta solo successivamente, in sede di reclamo dinanzi al Tribunale di Sorveglianza di Venezia. Giunto il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, la difesa del detenuto si è scontrata con un ostacolo procedurale insormontabile.

La Decisione della Corte e l’inammissibilità del ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. La decisione si basa su due pilastri procedurali fondamentali, entrambi violati nel caso di specie: il divieto di introdurre nuove domande in appello e il principio di autosufficienza del ricorso.

La Corte ha evidenziato come la richiesta relativa al periodo di detenzione a Vicenza non fosse parte della domanda originaria. Introdurla solo in fase di reclamo costituisce una domanda nuova, non permessa dall’ordinamento. Questo vizio, da solo, è sufficiente a determinare una pronuncia di inammissibilità del ricorso.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte sono state nette e precise. In primo luogo, è stato ribadito che il giudizio di reclamo avanti al Tribunale di Sorveglianza non può essere la sede per ampliare l’oggetto della controversia. Le questioni devono essere cristallizzate nella domanda iniziale per garantire il corretto svolgimento del processo e il diritto di difesa di tutte le parti.

In secondo luogo, la Corte ha rilevato un difetto di ‘autosufficienza’ del ricorso. Il ricorrente, infatti, non solo ha omesso di allegare la domanda originaria (un atto cruciale per verificare cosa fosse stato chiesto inizialmente), ma non ha nemmeno specificato in quale atto avesse sollevato la questione del periodo di detenzione a Vicenza. Il principio di autosufficienza impone che il ricorso contenga tutti gli elementi fattuali e giuridici necessari perché la Corte possa decidere senza dover ricercare atti o informazioni altrove. La sua assenza costituisce un grave vizio che porta all’inammissibilità.

Le Conclusioni

Le conseguenze per il ricorrente sono state severe: oltre alla declaratoria di inammissibilità, è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La Corte ha sottolineato che tale condanna è giustificata dalla ‘colpa’ nella presentazione di un ricorso privo dei requisiti minimi, come stabilito dalla giurisprudenza costituzionale.

Questa ordinanza è un monito importante: la precisione e la completezza degli atti fin dal primo grado non sono meri formalismi, ma requisiti essenziali per la tutela dei propri diritti. Introdurre nuove questioni in fasi successive del giudizio o presentare un ricorso non autosufficiente non solo ne compromette l’esito, ma espone anche a significative sanzioni economiche.

Perché il ricorso del detenuto è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per due motivi: 1) La richiesta relativa al periodo di detenzione in un carcere specifico era stata presentata per la prima volta in sede di reclamo (appello) e non nella domanda originaria. 2) Il ricorso mancava del requisito di autosufficienza, poiché non erano stati allegati gli atti necessari a comprendere e valutare la domanda iniziale.

Cosa si intende per ‘autosufficienza del ricorso’ in questo caso?
Significa che il ricorso presentato alla Corte di Cassazione deve contenere tutti gli elementi necessari per essere deciso, senza che i giudici debbano cercare informazioni in altri documenti non allegati. Nel caso specifico, il ricorrente non ha allegato la domanda originaria né ha indicato con quale atto avesse richiesto la valutazione del periodo di carcerazione in questione, rendendo impossibile per la Corte verificare la tempestività e la correttezza della sua pretesa.

Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente?
In seguito alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della sua ‘colpa’ nel presentare un ricorso palesemente infondato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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