Inammissibilità del Ricorso: Quando la Cassazione non riesamina il merito
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio dei limiti del giudizio di legittimità, ribadendo un principio fondamentale: l’inammissibilità del ricorso quando i motivi proposti mirano a una rivalutazione dei fatti già decisi dai giudici di merito. Analizziamo come la Suprema Corte ha applicato questo principio a un caso concreto, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione.
I Fatti di Causa
Il caso nasce dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Bologna. L’oggetto principale della doglianza era la mancata applicazione di una pena sostitutiva. Il ricorrente, attraverso i suoi motivi, cercava di contestare la valutazione operata dalla corte territoriale, sostenendo che i criteri per la concessione di un trattamento sanzionatorio alternativo non fossero stati correttamente considerati.
La Decisione della Corte e l’Inammissibilità del Ricorso
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11384/2025, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una ragione puramente processuale: i motivi addotti dal ricorrente non erano consentiti dalla legge in sede di legittimità. La Corte ha sottolineato che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio nel merito, ma di controllore della corretta applicazione del diritto.
I Limiti del Giudizio di Legittimità
Il ricorrente, di fatto, chiedeva alla Cassazione di riesaminare le circostanze e i fattori che la Corte d’Appello aveva già valutato. Questo tipo di richiesta, volta a ottenere una diversa interpretazione dei fatti, esula completamente dalle competenze della Suprema Corte. I giudici di legittimità non possono sostituire la propria valutazione a quella, immune da vizi logici o giuridici, del giudice di merito. Pertanto, la Corte ha stabilito che le doglianze erano ‘complessivamente manifestamente infondate’ e volte a proporre una ‘rivalutazione nel merito’.
Le Motivazioni: Coerenza Valutativa e Art. 133 cod. pen.
Nelle motivazioni, la Corte ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse fatto un uso corretto dei criteri previsti dall’art. 133 del codice penale per la valutazione della pena. Questo articolo conferisce al giudice il potere discrezionale di commisurare la pena tenendo conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo.
La Cassazione ha rilevato che non vi era alcuna ‘discontinuità’ tra la valutazione del giudice di primo grado e quella della Corte d’Appello. Entrambi i giudici di merito avevano coerentemente applicato i criteri legali, giungendo a una conclusione motivata. Il tentativo del ricorrente di contestare questa valutazione si è quindi configurato come una critica all’apprezzamento di fatto, inammissibile in questa sede.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
La decisione riafferma con forza un principio cardine del nostro sistema processuale: il ricorso per cassazione deve basarsi su vizi di legittimità (errori nell’applicazione della legge) e non su un disaccordo riguardo alla ricostruzione dei fatti. L’inammissibilità del ricorso è la sanzione processuale per chi tenta di superare questo confine. Per il ricorrente, le conseguenze sono state non solo il rigetto della sua istanza, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende, a testimonianza della manifesta infondatezza delle sue richieste.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Perché i motivi presentati non denunciavano errori di diritto, ma miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle circostanze del caso, un’attività che non è consentita alla Corte di Cassazione in sede di legittimità.
Qual è il ruolo della Corte di Cassazione in un giudizio di legittimità?
Il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti come un terzo giudice, ma di verificare che i giudici dei gradi precedenti (Tribunale e Corte d’Appello) abbiano applicato correttamente le norme di legge e che le loro motivazioni siano logiche e non contraddittorie.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente?
In seguito alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11384 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11384 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN GIOVANNI IN PERSICETO il 05/08/1975
avverso la sentenza del 20/09/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Letta anche la memoria difensiva volte a contestare la preliminare valutazione di inammissibilità del ricorso;
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché costituiti da doglianze, relative alla mancata applicazione di pena sostitutiva, complessivamente manifestamente infondate (avendo la Corte di appello fatto uso correttamente dei criteri ex a t. 133 cod. pen. per la valutazione sul punto) e volte piuttosto a proporre una rivalutazione nel merito dei fattori considerati (non sussistendo tra l’altro alcuna discontinuità con le valutazioni del primo giudice);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21/Ú/2025.