Inammissibilità del Ricorso: Quando la Cassazione Chiude le Porte
L’ordinanza emessa dalla settima sezione penale della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di inammissibilità del ricorso, una decisione che impedisce l’esame nel merito di una questione legale. Questo provvedimento, seppur sintetico, è emblematico per comprendere i rigidi requisiti di accesso al giudizio di legittimità e le conseguenze per chi non li rispetta. Analizziamo nel dettaglio i fatti, la decisione e le sue implicazioni pratiche.
I Fatti del Processo
Il caso ha origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Bologna. Il ricorrente, un individuo nato nel 1987, ha impugnato la decisione di secondo grado, cercando di ottenere una revisione dalla Suprema Corte di Cassazione. Il procedimento si è svolto in udienza pubblica, con la relazione del Consigliere designato e dopo aver dato avviso a tutte le parti coinvolte nel processo. Non vengono forniti dettagli specifici sulla natura del reato o sui motivi del ricorso, ma l’esito finale si concentra esclusivamente sull’aspetto procedurale.
L’Iter Giudiziario e l’Inammissibilità del Ricorso
Il percorso giudiziario è giunto al suo epilogo davanti alla Corte di Cassazione. Dopo l’udienza e l’analisi preliminare degli atti, il Collegio ha riscontrato una carenza dei presupposti necessari per poter procedere a una valutazione sostanziale dei motivi di impugnazione. Questa valutazione ha portato a una pronuncia di inammissibilità del ricorso, un esito che sancisce la fine del processo senza entrare nel vivo delle argomentazioni difensive.
Le Motivazioni della Decisione
Sebbene il testo dell’ordinanza sia estremamente conciso, la decisione di dichiarare inammissibile il ricorso si fonda su principi consolidati della procedura penale. L’inammissibilità può derivare da molteplici cause, come la presentazione del ricorso fuori dai termini previsti, la mancanza di motivi specifici e pertinenti richiesti dalla legge, o l’assenza di legittimazione da parte del ricorrente.
In questo caso, la Corte, pur non esplicitando i motivi specifici, ha evidentemente ritenuto che il ricorso non superasse il vaglio preliminare di ammissibilità. La conseguenza diretta di tale declaratoria è la condanna del ricorrente a sostenere non solo le spese del procedimento, ma anche a versare una somma a titolo di sanzione alla Cassa delle ammende. Questa sanzione ha un carattere punitivo e dissuasivo, mirando a scoraggiare la presentazione di impugnazioni manifestamente infondate o dilatorie.
Conclusioni
La decisione in commento ribadisce un principio fondamentale del nostro ordinamento: il diritto di impugnazione non è incondizionato, ma deve essere esercitato nel rispetto delle forme e dei limiti stabiliti dal legislatore. La pronuncia di inammissibilità non è una valutazione sulla colpevolezza o innocenza del ricorrente, ma un giudizio tecnico sulla correttezza dell’atto di impugnazione. Questa ordinanza serve come monito sull’importanza di affidarsi a una difesa tecnica competente, in grado di valutare attentamente i presupposti per un ricorso in Cassazione, evitando così esiti sfavorevoli e ulteriori oneri economici per l’assistito.
Cosa significa che un ricorso è dichiarato inammissibile?
Significa che la Corte non può esaminare il merito della questione perché mancano i requisiti formali o sostanziali richiesti dalla legge per l’impugnazione.
Quali sono le conseguenze per il ricorrente in caso di inammissibilità?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro, in questo caso tremila euro, a favore della Cassa delle ammende.
La Corte di Cassazione ha valutato se la sentenza d’appello fosse giusta o sbagliata?
No, la declaratoria di inammissibilità impedisce alla Corte di entrare nel merito della decisione impugnata. Il giudizio si ferma a una valutazione preliminare sulla validità del ricorso stesso.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19987 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19987 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME ACHRAF (CUI 03GQN3F) nato il 21/02/1987
avverso la sentenza del 17/09/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
n. 175/Rg 4577
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe c ha confermato la condanna per il delitto di cui all’art. 341-bis cod. pen.;
esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile perché fondato su motivi non consentiti dalla legge in sede di legittimità, in quanto costituiti da doglianze generiche e meramente riproduttive di
profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, soprattutto con riferimento alla descrizione della condotta tenuta, volta a
minacciare di commettere anche atti di autolesionismo, per imporre il trasferimento dell’imputato, integrativi del delitto accertato (Sez. 6, n. 44069 del 7/11/2024, Rv. 287297),
sotto il profilo oggettivo e soggettivo (pag.2);
ritenuto che dagli argomenti che precedono consegua l’inammissibilità del ricorso con le conseguenti pronunce di cui all’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 5/05/2025