Inammissibilità del ricorso in Cassazione: quando i motivi sono solo apparenti
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione Penale ha ribadito i confini invalicabili del giudizio di legittimità, chiarendo le ragioni che portano a una declaratoria di inammissibilità del ricorso. Questo provvedimento offre spunti fondamentali per comprendere perché non ogni doglianza possa trovare accoglimento presso la Suprema Corte e quali requisiti debba possedere un ricorso per essere esaminato nel merito. Il caso in esame riguardava un imputato che, dopo la condanna in appello per aver agevolato delle rapine, si rivolgeva alla Cassazione lamentando tre specifici vizi della sentenza.
I fatti del caso
L’imputato proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che aveva confermato la sua responsabilità penale. I motivi del ricorso erano principalmente tre:
1. La mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello.
2. La violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione che aveva portato alla sua condanna.
3. Un vizio di motivazione riguardo la determinazione della pena, ritenuta eccessiva rispetto al minimo edittale.
La difesa sosteneva, in sostanza, che i giudici d’appello avessero errato nel non acquisire nuove prove e nel valutare quelle già presenti, oltre che nell’applicare la sanzione. Vediamo come la Cassazione ha smontato punto per punto queste argomentazioni.
L’inammissibilità del ricorso per la richiesta di nuove prove
Il primo motivo, relativo alla mancata rinnovazione dell’istruttoria, è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha ricordato che la rinnovazione delle prove in appello, disciplinata dall’art. 603 del codice di procedura penale, è un istituto di carattere eccezionale. Il giudice di secondo grado vi ricorre solo se lo ritiene assolutamente indispensabile per decidere, partendo dal presupposto che l’istruttoria di primo grado sia, di norma, completa.
Inoltre, nel caso di giudizio abbreviato in appello, le parti non hanno un vero e proprio diritto alla raccolta di nuove prove, ma solo una facoltà di sollecitare il potere del giudice. Spetta sempre a quest’ultimo valutare la necessità dell’integrazione probatoria. Nel caso specifico, i giudici d’appello avevano già motivato congruamente sulla superfluità della richiesta, rendendo la censura in Cassazione priva di fondamento.
I limiti del giudizio di legittimità e la rivalutazione dei fatti
Anche il secondo motivo è stato respinto. La Corte ha evidenziato come le critiche dell’imputato non fossero altro che una riproposizione delle argomentazioni già presentate e disattese in appello. Tali doglianze si risolvevano in una richiesta di rivalutazione delle prove e dei fatti, con criteri diversi da quelli usati dai giudici di merito.
Questo è un punto cruciale: la Corte di Cassazione non è un “terzo grado di giudizio” dove si può ridiscutere l’attendibilità di un testimone o la rilevanza di una prova. Il suo ruolo, definito “sindacato di legittimità”, è verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza sia logica e non contraddittoria. Chiedere alla Cassazione di decidere diversamente sulla base degli stessi elementi è un’operazione non consentita, che conduce inevitabilmente all’inammissibilità del ricorso.
La discrezionalità del giudice sulla pena
Infine, anche la censura sulla quantificazione della pena è stata giudicata generica e infondata. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la graduazione della pena, nel rispetto dei limiti minimi e massimi previsti dalla legge, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale potere è esercitato sulla base dei criteri indicati dagli articoli 132 e 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere, etc.).
Una condanna può essere contestata in Cassazione solo se la determinazione della pena è frutto di un ragionamento palesemente illogico o arbitrario, non se l’imputato semplicemente non la condivide. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano adempiuto al loro onere argomentativo, come si evinceva dalla pagina 15 della sentenza impugnata.
Le motivazioni
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati erano generici e non consentiti dalla legge in sede di legittimità. Essi, infatti, prefiguravano una rivalutazione del merito della vicenda processuale, proponendo una lettura alternativa delle risultanze probatorie già vagliate nei precedenti gradi di giudizio. La Corte ha sottolineato che tali doglianze erano “soltanto apparenti” e non si confrontavano criticamente con le ragioni, logiche e lineari, esposte nella sentenza d’appello per fondare la responsabilità dell’imputato. La decisione si fonda sul principio che il giudizio di Cassazione non può trasformarsi in un nuovo esame dei fatti, ma deve limitarsi al controllo sulla corretta applicazione delle norme e sulla coerenza del percorso logico-giuridico seguito dal giudice di merito.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame è un monito importante sulla tecnica di redazione dei ricorsi per Cassazione. Per evitare una pronuncia di inammissibilità del ricorso, è essenziale formulare censure specifiche che colpiscano vizi di legittimità (violazioni di legge o difetti logici della motivazione) e non limitarsi a riproporre le stesse difese già respinte, sperando in un diverso apprezzamento dei fatti. La decisione conferma la natura eccezionale della rinnovazione probatoria in appello e la vasta discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena, poteri sindacabili in Cassazione solo in caso di palese arbitrarietà.
Quando può essere richiesta la rinnovazione delle prove in appello?
La rinnovazione dell’istruttoria in appello è un istituto eccezionale. Può essere disposta solo quando il giudice la ritenga assolutamente indispensabile per poter decidere, poiché vige una presunzione di completezza delle prove raccolte in primo grado. Non costituisce un diritto della parte, ma una facoltà del giudice.
Perché un ricorso che chiede di rivalutare i fatti viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Perché la Corte di Cassazione svolge un controllo di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non può riesaminare le prove per giungere a una diversa ricostruzione dei fatti. Un ricorso che chiede questo esula dalle sue funzioni e viene quindi dichiarato inammissibile.
È possibile contestare in Cassazione l’entità della pena inflitta?
Sì, ma solo se si dimostra che la decisione del giudice di merito è frutto di arbitrarietà o di un ragionamento manifestamente illogico. La determinazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice e non può essere contestata solo perché ritenuta non congrua, se è stata adeguatamente motivata nel rispetto della legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34869 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34869 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CERIGNOLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/10/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATI -0 E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che i primi due motivi di ricorso, con cui si contesta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (il primo) e violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione posta a base alla mancata declaratoria di proscioglimento dell’odierno ricorrente (il secondo), non sono formulati in termini consentiti dalla legge in questa sede, in quanto, prefigurando una rivalutazione e un diverso giudizio di rilevanza e/o attendibilità delle risultanze processuali, con criteri differenti da quell utilizzati dai giudici di merito, e dunque censure avulse al sindacato di legittimità, il ricorrente ha prospettato doglianze che si risolvono nella reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte territoriale, dovendosi le stesse considerare prive di specificità e soltanto apparenti, perché non caratterizzate da una critica argomentata e un effettivo confronto con la complessità delle ragioni poste a base della sentenza impugnata (si vedano le pagg. 13 e 14, ove si sono indicati i plurimi elementi da cui, sulla base di lineari e logiche argomentazioni, si è desunta la responsabilità dell’odierno ricorrente quale agevolatore delle rapine lui ascritte);
che, con precipuo riferimento alla richiesta di rinnovazione istruttoria, deve rilevarsi come la censura risulti anche manifestamente infondata, avendo i giudici di appello, con congrua motivazione, evidenziato la superfluità richiesta difensiva ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’imputato, dovendosi al proposito ribadire che quello di cui all’art. 603 cod. proc. pen. rappresenta «un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso, in deroga alla presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, esclusivamente allorché il giudice ritiene, nella sua discrezionalità, indispensabile la integrazione, nel senso che non è altrimenti in grado di decidere sulla base del solo materiale già a sua disposizione» (così Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820); peraltro, nel giudizio abbreviato d’appello, le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice ex officio nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più am rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado, spettando in ogni caso al giudice la valutazione in ordine alla assoluta necessità della loro acquisizione (Sez. 6, n. 51901 del 19/09/2019, COGNOME, Rv. 278061; Sez. 6, n. 37901 del 21/05/2019, COGNOME, Rv. 276913; Sez. 2, n. 17103 del 24/03/2017, A., Rv. 270069);
ritenuto che il terzo motivo di ricorso, con cui si deduce violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al giudizio sulla pena, risulta alquanto gener oltre che manifestamente infondato, avendo i giudici di appello congruamente assolto all’onere argomentativo sul punto (si veda pag. 15 della impugnat sentenza);
che, avendo il ricorrente contestato il discostamento della pena irrogatagli d minimo edittale, deve ribadirsi che la graduazione del trattamento sanzioNOMEri anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circosta aggravanti ed attenuanti e a titolo di continuazione, oltre che per fissare la base, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercit aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., cosicché dinan questa Corte non è consentita dalla legge la censura che miri ad una nuov valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto arbitrio o di ragionamento illogico;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso, il 15 luglio 2025.