Inammissibilità del ricorso: perché non si può ricalcolare la pena in fase esecutiva
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 8723/2024) offre un importante chiarimento sui confini tra il giudizio di cognizione e la fase esecutiva, sottolineando il principio dell’inammissibilità del ricorso quando questo mira a rimettere in discussione elementi già coperti dal giudicato. La decisione ribadisce che le questioni relative alla determinazione della pena, come il mancato riconoscimento di circostanze attenuanti, devono essere sollevate e decise prima che la sentenza diventi definitiva.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso di un individuo condannato, il quale si doleva del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in seguito a una precedente decisione che aveva escluso l’aggravante della premeditazione. Secondo il ricorrente, l’esclusione di tale aggravante avrebbe dovuto comportare una nuova e più favorevole valutazione della sua posizione, con una conseguente riduzione della pena. La richiesta era, in sostanza, quella di un ricalcolo della sanzione inflitta.
La Decisione della Cassazione sull’Inammissibilità del Ricorso
La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto, ritenendolo manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello di L’Aquila, la quale aveva già respinto la richiesta del condannato. La Suprema Corte ha precisato che la fase dell’esecuzione della pena non è la sede appropriata per sollevare censure che attengono al merito della decisione di condanna.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte si fonda su un principio cardine del nostro ordinamento processuale: la netta separazione tra il giudizio di cognizione e il giudizio di esecuzione. 
Il giudizio di cognizione è la fase in cui si accertano i fatti, si valuta la responsabilità dell’imputato e si determina la pena, tenendo conto di tutte le circostanze, aggravanti e attenuanti. Le contestazioni relative a questi aspetti devono essere fatte valere attraverso gli strumenti di impugnazione ordinari (appello, ricorso per cassazione) contro la sentenza di merito. 
Una volta esauriti i mezzi di impugnazione, o decorsi i termini per proporli, la sentenza passa in giudicato. Ciò significa che diventa definitiva, irrevocabile e non più modificabile nel suo contenuto decisionale. 
A questo punto, si apre la fase di esecuzione, il cui scopo è unicamente quello di dare attuazione a quanto stabilito nella sentenza definitiva. Il giudice dell’esecuzione non ha il potere di riesaminare il merito della decisione, né di ricalcolare la pena o di riconoscere circostanze attenuanti che non erano state concesse nel giudizio di cognizione. L’esame di tali questioni in fase esecutiva è precluso proprio dalla formazione del giudicato.
Conclusioni
La pronuncia in esame riafferma con chiarezza un principio fondamentale: le ‘battaglie’ sulla determinazione della pena si combattono e si concludono nel giudizio di cognizione. Una volta che la sentenza è divenuta definitiva, il suo contenuto è cristallizzato. Qualsiasi tentativo di riaprire la discussione su elementi di merito in fase esecutiva, come nel caso del mancato riconoscimento delle attenuanti, è destinato a scontrarsi con la barriera dell’inammissibilità del ricorso. Per questo, è cruciale che la difesa articoli tutte le sue censure e richieste durante il processo di merito, poiché dopo la formazione del giudicato non vi è più spazio per ripensamenti.
 
È possibile chiedere una riduzione della pena per mancato riconoscimento delle attenuanti dopo che la sentenza è diventata definitiva?
No, secondo l’ordinanza, tale richiesta è preclusa. Le questioni relative alla concessione delle circostanze attenuanti devono essere decise nel giudizio di cognizione e non possono essere rimesse in discussione in fase esecutiva, a causa della formazione del giudicato.
Qual è la principale differenza tra giudizio di cognizione e giudizio di esecuzione evidenziata dalla Corte?
Il giudizio di cognizione è la fase in cui si definisce la colpevolezza e si determina la pena; il giudizio di esecuzione, invece, è la fase successiva in cui si dà attuazione alla pena stabilita in una sentenza ormai definitiva, senza poterla modificare nel merito.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
Comporta che il ricorso non viene esaminato nel merito perché ritenuto manifestamente infondato o privo dei requisiti di legge. Nel caso specifico, ha portato anche alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8723 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 8723  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PESCARA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/10/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminati il ricorso e la sentenza impugnata.
 Ritenuto che le censure poste da NOME COGNOME a base dell’impugnazione non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perché manifestamente infondate.
La Corte di appello di L’Aquila, nel provvedimento oggetto GLYPH verifica, ha correttamente osservato che la censura circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nel giudizio di rinvio – asseritamente imposto dalla esclusione della premeditazione, aggravante sulla cui sussistenza sarebbe stato fondato il rigetto del beneficio nella sentenza annullata in sede rescindente – può essere dedotta solo nel giudizio di cognizione, attraverso lo strumento dell’impugnazione della sentenza che ha definito il giudizio, mentre il suo esame è precluso al giudice dell’esecuzione a causa della formazione del giudicato.
Il ricorrente non si confronta con tale condivisibile principio e continua a dolersi genericamente dell’errore, chiedendo un ricalcolo della pena.
 Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 25 gennaio 2024.