Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 25166 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 25166 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Salerno il 26/08/1985, avverso la sentenza del 12/11/2024 della Corte di appello di Salerno; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito l’avv. NOME COGNOME del foro di Salerno, difensore di fiducia di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con sentenza del 20/12/2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno condannava NOME COGNOME alla pena di due anni e dieci mesi di reclusione, in quanto ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 416 cod. pen., 2 e 8 d.lgs. n. 74/2000, avendo costui, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, a) partecipato ad una associazione finalizzata a commettere una pluralità di delitti in materia di evasione fiscale, predisponendo false fatture relative a cessioni del “rame in trasformazione” da parte della società da lui amministrata nei confronti delle clienti finali, intrattenendo fitte trattative tese concordare tempi, quantitativi e prezzi da inserire nelle false fatturazioni; b) al fine di evadere le imposte dirette e sul valore aggiunto, avvalendosi delle fatture per operazioni inesistenti indicate nel capo di incolpazione, indicava nelle dichiarazioni annuali dei redditi relative agli anni di imposta 2019 e 2020 elementi passivi fittizi, pari ad euro 1.326.267,00 per il 2019 e ad euro 2.048.862,20 per il 2020; c) al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sul valore aggiunto, emesso fatture per operazioni inesistenti nell’anno 2019 per un imponibile pari ad euro 1.261.053,67, nell’anno 2020 per un imponibile pari ad euro 2.068.953,64, nell’anno 2021 per un imponibile pari ad euro 3.875.850,00, in favore di varie imprese indicate nel capo di incolpazione. Il G.I.P. applicava le pene accessorie di legge e disponeva confisca dell’importo di euro 809.972,00 in forma diretta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, in forma diretta e per equivalente nei confronti di NOME COGNOME
Con sentenza del 12/11/2024, la Corte di appello di Salerno dichiarava inammissibile l’appello proposto da NOME COGNOME e disponeva l’esecuzione della sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno, NOME COGNOME tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, la difesa deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. c), cod. proc. pen., violazione ed erronea applicazione degli artt. 581 e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui è stato ritenuto inammissibile il primo motivo di gravame proposto con l’atto di appello per difetto di specificità.
In sintesi, la difesa lamenta che, con l’atto di appello, la difesa aveva devoluto alla Corte di appello di Salerno la valutazione della effettiva congruenza delle conclusioni cui era pervenuto il primo giudice, secondo il quale la R.RAGIONE_SOCIALE traslava – mediante cessioni di beni documentate solo fiscalmente, ma in concreto inesistenti – VIVA a debito alle società cessionarie,
tra cui la RAGIONE_SOCIALE del ricorrente, che, a sua volta, modificando cartolarmente il bene venduto – da “catodi di rame” a “base rame in trasformazione” – applicava sulla fattura che emetteva all’acquirente finale VIVA al 22%, divenendo sostituto d’imposta rispetto al cliente finale, accertando tuttavia che la società cartiera non corrispondeva mai VIVA allo Stato e che le cessioni di rame non erano effettivamente avvenute, non essendo la società rappresentata dal Fusco in grado di lavorare il materiale, perché sprovvista di sede adeguata allo scopo. In particolare, era stato evidenziato che l’inesistenza della categoria merceologica “base rame in trasformazione” escluderebbe la volontà del ricorrente di fuorviare l’Agenzia delle Entrate circa la tipologia dei prodotti ceduti, inducendo a ritenere tutt’altro che peregrine le prospettazioni difensive articolate nel corso dell’interrogatorio di garanzia, per cui la medesimezza della merce, comprata e poi rivenduta, costituirebbe un significativo riscontro alla tesi del ricorrente circa il suo ruolo di mero intermediario; mentre l’omesso versamento dell’IVA, da parte dell’imputato, avrebbe potuto rilevare ai sensi dell’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, non quale ipotesi di emissione di fatture per operazioni inesistenti.
2.2 Con il secondo motivo, la difesa deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. c) ed e), cod. proc. pen., violazione ed erronea applicazione degli artt. 581 e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui è stato ritenuto inammissibile il secondo motivo di gravame proposto con l’atto di appello ed illogicità della motivazione.
In sintesi, la difesa deduce che la possibilità di devolvere il motivo di gravame alla cognizione della Suprema Corte non rientra tra le ipotesi, tassativamente indicate dall’art. 591 cod. proc. pen., per le quali è prevista l’inammissibilità dell’appello, per cui l’omessa pronuncia sul punto ha privato l’imputato, in maniera irragionevole e con motivazione illogica, di un grado di impugnazione.
2.3 Con il terzo motivo, la difesa deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. c), cod. proc. pen., violazione ed erronea applicazione degli artt. 581 e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui è stato ritenuto inammissibile il terzo motivo di gravame proposto con l’atto di appello.
In sintesi, la difesa deduce che, con l’atto di appello, era stata lamentata l’eccessiva onerosità del trattamento sanzionatorio, domandando la riduzione della pena, anche perché erroneamente computata, poiché il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, trovando giustificazione nel comportamento processuale dell’imputato, non era strettamente riferibile al solo reato più grave, ma occorreva applicare la riduzione di pena ex art. 62-bis cod. pen. a tutti i reati per i quali è stata pronunciata condanna.
3. I primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono fondati e la sentenza impugnata va annullata senza rinvio.
Occorre ricordare che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che il giudice d’appello, a seguito della riforma dell’art. 581 cod. proc. pen. da parte della legge 23 giugno 2017, n. 103 (che ha previsto la possibilità di una declaratoria di inammissibilità dell’appello composto da motivi generici ed aspecifici), può dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione solo quando i motivi difettino di specificità perché non validamente argomentati (genericità intrinseca) o quando essi non affrontino la motivazione spesa nella sentenza impugnata oppure la contestino solo apparentemente (genericità estrinseca), ma non quando siano ritenuti inidonei, anche manifestamente, a confutare l’apparato motivazionale (Sez. 4, n. 36533 del 15/09/2021, COGNOME, Rv. 281978; Sez. 5, n. 11942 del 25/2/2020, COGNOME, Rv. 278859; nello stesso senso, da ult., Sez. 5, n. 15897 del 09/01/2025, Jebali).
Il legislatore del 2017 ha recepito l’indirizzo giurisprudenziale dettato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, con cui era stato affermato che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato.
Le Sezioni Unite, nell’affermare la necessità della specificità, anche estrinseca, dei motivi di appello, hanno tuttavia precisato che nel giudizio di appello sono deducibili questioni già prospettate e disattese dal primo giudice, in quanto il giudizio di appello ha per oggetto la rivisitazione integrale del punto di sentenza oggetto di doglianza, con i medesimi poteri del primo giudice e anche a prescindere dalle ragioni dedotte nel relativo motivo; in tal senso, hanno aggiunto le Sezioni Unite, il sindacato sull’ammissibilità dell’appello, ai sensi degli art. 581 e 591 cod. proc. pen., non può ricomprendere, a differenza di quanto avviene per il ricorso per cassazione (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.) o per l’appello civile, la valutazione della manifesta infondatezza dei motivi di appello. Si è infatti rilevato che la manifesta infondatezza non è espressamente menzionata da tali disposizioni quale causa di inammissibilità dell’impugnazione, a differenza di quanto avviene per il giudizio di cassazione, per cui il giudice di appello non può fare ricorso alla procedura prevista dall’art. 591, comma 2, cod.
proc. pen., in presenza di motivi che siano manifestamente infondati, ma comunque caratterizzati da specificità intrinseca ed estrinseca.
3.1 Tanto premesso, la decisione impugnata non risulta coerente con tali premesse ermeneutiche, non potendosi sottacere che le censure difensive
proposte con il primo motivo di appello, a prescindere da ogni valutazione circa la loro fondatezza, non erano generiche, essendo state comunque ancorate a
circostanze fattuali concrete, avendo il ricorrente richiamato la tesi sostenuta, fin dal suo primo interrogatorio, secondo cui egli aveva svolto le funzioni di broker
ed il rame era stato consegnato, non alla sua società in Amalfi, ma direttamente al destinatario, mentre VIVA era stata regolarmente corrisposta e, in caso di
difficoltà societarie, rateizzata; in tal modo l’appellante, seppur ribadendo questioni già disattese, aveva sinteticamente ma legittimamente fornito una
propria lettura alternativa, contrassegnata da sufficiente specificità.
3.2 Anche il secondo motivo di ricorso – con il quale il ricorrente lamenta che il giudice dell’appello, a fronte di censura riguardante il difetto di motivazione
della sentenza di primo grado, ha ritenuto che il vizio lamentato potesse essere dedotto solo con ricorso per cassazione, avendo il giudice del merito la facoltà di
integrare la motivazione e redigerla anche ex novo – coglie nel segno, poiché la risposta data dalla Corte territoriale non rientra tra le ipotesi nelle quali è prevista l’inammissibilità dell’appello ed implica, peraltro, una valutazione di manifesta infondatezza della censura prospettata.
Il terzo motivo di ricorso, attinente al trattamento sanzionatorio, è assorbito, in conseguenza della natura pregiudiziale dei primi due motivi di cui è stata ritenuta la fondatezza.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con conseguente trasmissione degli atti alla Corte di appello di Salerno per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Salerno per l’ulteriore corso.
Così deciso il 21/05/2025