Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10453 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10453 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME (CUI: 01UN1YG) nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/09/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione, COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza del 7 settembre 2023 la Corte di appello di Milano ha dichiarato la inammissibilità dell’atto di impugnazione avverso la sentenza del Tribunale di Milano del 16 maggio 2023, nei confronti di NOME con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di giustizia per il reato di cui all’art.497 bis cod. pen.
L’ordinanza ha ritenuto l’atto di appello inammissibile per violazione dell’art. 581 comma 1 ter cod. proc. pen. introdotto con la cd. Riforma Cartabia, che prevede a pena di inammissibilità il deposito della dichiarazione o di elezione di domicilio.
Avverso la decisione della Corte di Appello ha proposto ricorso l’imputato, con atto sottoscritto dal difensore di fiducia, deducendo un unico motivo di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con l’unico motivo è stata dedotta violazione di legge del citato articolo e manifesta incostituzionalità dello stesso con riferimento agli artt. 3,24, 27, 111 Cost. in relazione alla dichiarazione di inammissibilità dell’atto di appello.
La difesa rappresenta che:
la facoltà di appellare le sentenze di condanna rappresenta un profilo assolutamente insopprimibile del diritto di difesa, riconosciuto non solo dalla nostra Corte costituzionale (Corte Cost. n.34/2020), ma anche dalle fonti sovranazionali.
-l’art. 581 cod. proc. pen. esprime la volontà di utilizzare a scopo deflattivo la mancata conoscenza della sentenza di condanna da parte dell’imputato assente e non certo quella di favorire una scelta ponderata e consapevole da parte del medesimo.
-a fronte della disciplina generale contenuta nell’art.571 cod. proc. pen. che riconosce in chiave costituzionale la facoltà di impugnazione del difensore, la nuova norma finisce per azzerarne il significato introducendo una inammissibilità legata a motivi formali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
L’unico motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.
1.1. La nuova disposizione dell’art.581, comma iter, cod. proc. pen., come introdotta dal d. Igs. 10 ottobre 2022, n.150 riproduce quanto previsto dall’art. 1, comma 13, lett. a) della legge delega legge 27 settembre 2021, n.134: “fermo restando il criterio di cui al comma 7, lettera h), dettato per il processo in assenza, prevedere che con l’atto di impugnazione, a pena di inammissibilità, sia depositata dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell’atto introdutti del giudizio di impugnazione”.
Nella Relazione illustrativa al d.lgs. n.150/2022 si legge: “Il comma 1 ter dell’art. 581 cod. proc. pen., in attuazione del criterio di cui all’art. 1, comma 13 lett. a) della legge delega, introduce un’ulteriore condizione di ammissibilità dell’impugnazione: con l’atto d’impugnazione deve essere presentata la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione. “.
La nuova disposizione dell’art.581, comma lter cod. proc. pen. si coordina:
-con l’art. 157 -ter comma terzo cod. proc. pen. (Notifiche degli atti introduttivi del giudizio all’imputato non detenuto) secondo cui: “In casa di impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, la notificazione dell’atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’articolo 581, commi 1 ter e 1 quater”;
-con il novellato art. 164 cod. proc. pen. la cui attuale rubrica è “Efficacia della dichiarazione e dell’elezione di domicilio” che stabilisce che: ‘La determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per le notificazioni dell’avviso di fissazion dell’udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio ai sensi degli articoli 45 comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale, salvo quanto previsto dall’articolo 156, comma 1.”.
La nuova formulazione di quest’ultimo articolo ha modificato la precedente disposizione nella rubrica (la precedente rubrica era “Durata del domicilio dichiarato o eletto”) nonché il contenuto della stessa che in precedenza stabiliva che la dichiarazione o l’elezione di domicilio era valida “per ogni stato e grado del procedimento”.
La eliminazione di siffatta disposizione che riconosceva validità “illimitata” alla dichiarazione o l’elezione di domicilio già presente in atti, salvo la possibilità pe l’interessato di comunicare eventuali variazioni o modifiche, consente di interpretare correttamente la norma in esame nel senso che il soggetto che intende impugnare la sentenza di primo grado non può “utilizzare” la dichiarazione o elezione di domicilio nel precedente grado effettuata, che non risulta più valida in ogni stato e grado del processo.
La conseguenza immediata è che con la presentazione dell’impugnazione l’adempimento richiesto non è soddisfatto con l’allegazione di una dichiarazione/elezione di domicilio in precedenza effettuata, non avendo più la stessa durata illimitata secondo le precedenti indicazioni dell’art.164 cod. proc. pen., ma è necessario che l’interessato fornisca nuovamente, anche nell’ipotesi in cui lo abbia già fatto in precedenza, la indicazione di un domicilio dichiarato o eletto.
1.2. COGNOME Siffatta interpretazione risulta conforme altresì alla ratio della norma.
Al riguardo giova evidenziare le recenti pronunzie di questa Corte, (Sez. 5 n.46831 del 22 settembre 2023, Iacuzic), non mass.; Sez. 4 n.43718 dell’11/10/2023, COGNOME NOME, Rv.285324) che, chiamate a pronunziarsi sulla sospetta incostituzionalità dell’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen. e ritenendo la questione manifestamente infondata, hanno ribadito quale sia la ratio legis che sostiene la disposizione in esame.
Dopo avere chiarito che “quanto agli adempimenti richiesti dal legislatore per l’accesso al giudizio” il legislatore gode di ampia discrezionalità e il controllo d costituzionalità deve limitarsi a riscontrare se sia stato o meno superato il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute, (Corte cost., sent. n. 212 del 2020, n. 71 del 2015, n. 17 del 2011, n. 229 del 2010, n. 50 del 2010, n. 221 del 2008 e n. 1130 del 1988; ordinanza n. 141 del 2001), questa Corte ha quindi proceduto a verificare la ragionevolezza (o meno) del “sacrificio”,
consistente nella richiesta di allegazione di una (eventualmente nuova) dichiarazione o elezione di domicilio.
La ratio legis, condivisa da questo Collegio e dalla precedenti pronunzie, è stata individuata nella “esigenza generale, che ha inspirato la riforma del processo in absentia (ossia la certezza della conoscenza del processo a suo carico da parte dell’imputato)”, prevedendo a tal fine il legislatore “un onere collaborativo, riguardante sia il processo celebrato in assenza sia quello in cui l’imputato abbia avuto conoscenza del giudizio, onere finalizzato alla regolare celebrazione della fase del processo di secondo grado. E ciò ai fini di assicurarne la ragionevole durata ed impedire una eventuale dichiarazione di improcedibilità” (Sez. 4 n. 22140 del 03/05/2023, En Naji Kamal Rv. 284645).
Che l’adempimento richiesto sia finalizzato alla certa conoscenza del processo per l’imputato trova ulteriore conferma nella mancata applicazione di tale disciplina per il caso in cui l’imputato sia detenuto al momento della notifica dell’atto di citazione atteso che, in tal caso, la stessa andrà effettuata a mani proprie e, dunque, senza che sia necessario il deposito dell’elezione o della dichiarazione di domicilio.
L’onere di elezione o dichiarazione di domicilio, in funzione del giudizio di impugnazione che si va a promuovere, ha poi una chiara funzione ulteriore:
quella di consentire la rapida notifica del decreto di citazione a giudizio, che è il primo atto introduttivo del grado da notificare personalmente all’imputato, come è per gli altri atti introduttivi, ai sensi degli artt.157-ter, commi 1 e 3, e 601 cod. proc. pen. esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto.
1.3. Il “sacrificio” richiesto all’appellante del deposito di una nuova dichiarazione/elezione di domicilio non appare, alla luce delle considerazioni espresse, irragionevole e/o ingiustificato se si confronta con la individuata esigenza della certa conoscenza della celebrazione del processo di appello e della partecipazione consapevole allo stesso, nonché della tempestiva notifica della citazione a giudizio.
1.4 L’asserito contrasto con i principi costituzionali poggia su un’indimostrata restrizione della facoltà d’impugnazione che deriverebbe dal chiedere all’imputato, assente per sua scelta al processo che lo ha riguardato di cui pure era stato posto a conoscenza, di indicare un domicilio che renda più agevole il processo di notificazione dell’atto d’impugnazione e, soprattutto, di rinnovare la propria volontà di proseguire in un ulteriore grado di giudizio, con possibili conseguenze negative per lui, quanto meno sotto il profilo della possibile condanna ad ulteriori spese.
La sentenza della Corte costituzionale n.34 del 26 febbraio 2020 – che si è pronunciata nel senso della manifesta infondatezza dei motivi proposti in un caso
in cui, nel proporre il gravame, il Procuratore generale aveva eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 593 cod. proc. pen., come sostituito dall’art. 2, co. 1, le a), del d.lgs. n. 11 del 2018, nella parte in cui prevede che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di condanna «solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato» ricorda essere costante, l’affermazione per cui «nel processo penale, il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l’identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell’imputato: potendo una disparità di trattamento «risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dall peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia» (sentenze n. 320, n. 26 del 2007 e, nello stesso senso, n. 298 del 2008; ordinanze n. 46 del 2004, n. 165 del 2003, n. 347 del 2002 e n. 421 del 2001; quanto alla giurisprudenza anteriore alla legge cost. n. 2 del 1999, nello stesso senso indicato, sentenze n. 98 del 1994, n. 432 del 1992 e n. .363 del 1991; ordinanze n. 426 del 1998, n. 324 del 1994 e n. 305 del 1992)».
E nella stessa si ribadisce che il processo penale è caratterizzato da una asimmetria «strutturale» tra i due antagonisti principali, cosicché le differenze che connotano le rispettive posizioni impediscono di ritenere che il principio di parità debba (e possa) indefettibilmente tradursi, nella cornice di ogni singolo segmento dell’iter processuale, in un’assoluta simmetria di poteri e facoltà.
Soprattutto, in tale pronuncia, i giudici delle leggi hanno anche ribadito che la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sé, di riconoscimento costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 274 e n. 242 del 2009, n. 298 del 2008, n. 26 del 2007, n. 288 del 1997, n. 280 del 1995; ordinanze 1 – L 316 del 2002 e n. 421 del 2001), anche se a livello sovranazionale, l’art. 14, paragrafo 5, del Patto internazionale sui RAGIONE_SOCIALE civili e politici, adottato a New York il DATA_NASCITA ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, e l’art. 2 del Protocollo n. 7 alla RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE delle libertà RAGIONE_SOCIALE, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98, prevedono il diritto a far riesaminare la decisione da una giurisdizione superiore, o di seconda istanza, a favore della persona dichiarata colpevole o condannata per un reato e sebbene la riconducibilità del potere d’impugnazione al diritto di difesa sancito dall’art.24 Cost. renda meno disponibile tale potere a interventi limitativi.
Ma COGNOME le norme tacciate d’incostituzionalità non prevedono affatto un restringimento della facoltà di impugnazione, bensì perseguono il legittimo scopo di far sì che le impugnazioni vengano celebrate solo quando si abbia effettiva
contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato, per evitare la pendenza di regiudicande nei confronti di imputati non consapevoli del processo, oltre che far sì che l’impugnazione sia espressione del personale interesse dell’imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatismo difensivo.
Tali considerazioni consentono di ritenere costituzionalmente compatibile – nel delineato nuovo quadro di garanzie – la novella legislativa in questione.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
Il Presidente Così deciso in Roma in data 10 gennaio 2024 Il consigliere es . ensore