Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4810 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 4810  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 16/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME
NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 04/10/2023 della CORTE DI APPELLO DI TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME, che ha chiesto la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 4 ottobre 2023 la Corte di appello di Torino dichiarava inammissibile l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza di condanna per il reato di appropriazione indebita aggravata, emessa il 27 febbraio 2023 dal Tribunale di Torino, in quanto con l’atto d’impugnazione non era stata depositata la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di appello, in violazione del
disposto dell’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen., la cui inosservanza comportava l’inammissibilità dell’appello, come previsto dall’art. 591, comma 1, lett. c), del codice di rito.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, chiedendone in via principale l’annullamento per violazione di legge (erronea applicazione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen.), poiché, contestualmente all’atto di nomina fiduciaria, l’imputato aveva eletto e mai revocato il proprio domicilio.
2.1. L’assoluta certezza e affidabilità della notificazione da effettuarsi all’indirizzo PEC del difensore di fiducia garantisce il più elevato grado di soddisfazione della esigenza di efficienza ed efficacia della procedura di notificazione all’imputato del decreto di citazione a giudizio per l’appello.
La norma in esame, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata che tenga conto del fondamentale diritto di difesa e del generale principio del favor impugnationis, dovrebbe essere ritenuta applicabile nei soli casi di omesso precedente deposito della dichiarazione o elezione di domicilio e comunque inapplicabile qualora sia intervenuta da parte dell’imputato l’elezione di domicilio presso il difensore di fiducia al momento della nomina del medesimo con deposito in una delle precedenti fasi del procedimento.
2.2. L’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., se venisse invece interpretato in senso contrario da quanto in precedenza sostenuto, sarebbe incostituzionale.
2.2.1. Pur in assenza di un esplicito riconoscimento formale all’interno degli artt. 24, 27 e 111 Cost, che richiama espressamente il solo ricorso per cassazione, la facoltà di appellare le sentenze di condanna a pena detentiva senza limiti e preclusioni ingiustificate rappresenta un profilo insopprimibile del diritto di difesa dell’imputato, come affermato in più pronunce della Corte costituzionale.
Inoltre, a livello sovranazionale, l’art. 14, paragrafo 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, e l’art. 2 del Protocollo n. 7 alla RAGIONE_SOCIALE diritti dell’RAGIONE_SOCIALE e delle libertà RAGIONE_SOCIALE, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98, prevedono il diritto a far riesaminare la decisione da una giurisdizione superiore, o di seconda istanza, a favore della persona dichiarata colpevole o condannata per un reato.
2.2.2. In questo quadro costituzionale, l’insopprimibile correlazione fra il diritto all’impugnazione della sentenza di primo grado e la difesa garantita
all’imputato dall’art. 24 Cost. è chiaramente enunciata dall’art. 571 cod. proc. pen., norma rispetto alla quale l’introduzione dell’art. 581, comma 1 -ter, dello stesso codice, in tema di “forma dell’impugnazione”, ha determinato un surrettizio stravolgimento del precedente assetto sistematico, sottraendo al difensore la possibilità di interporre appello avverso la sentenza di condanna in mancanza del deposito di una reiterata dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.
2.2.3. La nuova norma, inoltre, comporta il mancato rispetto del principio di parità tra le parti ai fini dell’impugnazione e l’inammissibile contrazione del diritto di difesa proprio al cospetto di un passaggio quanto mai decisivo per l’estrinsecazione dello stesso.
In proposito il Giudice delle leggi ha anche di recente ribadito, con la sentenza n. 34 del 2020, che il processo penale è caratterizzato da una asimmetria strutturale tra i due antagonisti principali, cosicché le differenze che connotano le rispettive posizioni impediscono di ritenere che il principio di parità debba necessariamente tradursi, nella cornice di ogni singolo segmento dell’iter processuale, in un’assoluta simmetria di poteri e facoltà.
2.2.4. In presenza di un domicilio corretto, valido per il primo grado di giudizio e non modificato, eletto presso il difensore di fiducia, la sanzione di inammissibilità dell’appello per l’omesso deposito della dichiarazione o elezione di domicilio per la fase di appello risulta assolutamente sproporzionata rispetto all’assenza di un vero interesse da tutelare.
La nuova norma realizza non già un vero bilanciamento di diritti e interessi costituzionalmente protetti, ma un sacrificio puro e semplice del diritto di difesa, conclusione avvalorata dalla sentenza n. 111 del 2022, con la quale la Corte costituzionale ha ribadito la preminenza di tale ultimo diritto.
2.2.5. La nuova disciplina è anche irragionevole, considerato che l’art. 164 cod. proc. pen. chiarisce che la dichiarazione o elezione di domicilio ha effetto anche per l’atto di citazione in giudizio previsto dall’art. 601 del codice di rito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va rigettato perché proposto con un motivo infondato.
 L’art. 581, comma 1 -ter, cod. proc. pen. stabilisce che «Con l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio».
La inammissibilità dell’impugnazione, in caso di inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 581 cod. proc. pen. è prevista anche dall’art. 591, comma 1, lett. c), del codice di rito.
Secondo il novellato art. 157 -ter, comma 3, cod. proc. pen., riguardante le notifiche degli atti introduttivi del giudizio all’imputato non detenuto, «In caso d impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, la notificazione dell’atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’articolo 581, commi 1 ter e 1 quater».
Inoltre, l’art. 164 cod. pen. prevede che «La determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per le notificazioni dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio ai sensi degli artico 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale, salvo quanto previsto dall’articolo 156, comma 1», come modificato dal decreto legislativo n. 150 del 2022, mentre nel testo precedente era previsto che detta determinazione fosse «valida per ogni stato e grado del procedimento».
L’interpretazione propugnata con il primo motivo di ricorso, secondo il quale sarebbe sufficiente la elezione di domicilio in precedenza effettuata dall’imputato presso il difensore, contrasta con il chiaro disposto delle norme ora richiamate e con la loro ratio: la necessità che l’appellante provveda a dichiarare o eleggere domicilio per la nuova fase processuale, infatti, risponde alla finalità di agevolare l’attività di notificazione e persegue anche lo scopo di responsabilizzare l’imputato e di assicurare la sua consapevolezza circa la scelta di proporre appello, enfatizzato nel comma successivo con la previsione del conferimento di un nuovo mandato da parte dell’imputato nei confronti del quale si sia proceduto in assenza.
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta dalla difesa con il secondo motivo, come già ritenuto da questa Corte in numerose pronunce.
Si è ricordato, in primo luogo, che nella sentenza n. 34 del 26 febbraio 2020 la Corte costituzionale ha «ribadito che la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sé, di riconoscimento costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 274 e n. 242 del 2009, n. 298 del 2008, n. 26 del 2007, n. 288 del 1997, n. 280 del 1995; ordinanze n. 316 del 2002 e n. 421 del 2001)» e si è affermato che «le norme tacciate d’incostituzionalità non prevedono affatto un restringimento della facoltà di impugnazione, bensì perseguono il legittimo scopo di far sì che le impugnazioni vengano celebrate solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato, per evitare la pendenza di regiudicande nei confronti di imputati non consapevoli del
processo, oltre che far sì che l’impugnazione sia espressione del personale interesse dell’imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatismo difensivo» (Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, COGNOME, Rv. 285324-01).
L’onere richiesto all’appellante non è irragionevole rispetto all’esigenza di consentirgli la certa conoscenza della celebrazione del processo di appello e, dunque, la possibilità di parteciparvi con piena consapevolezza. Si è in proposito rimarcato che «la scelta del legislatore di modulare la durata di efficacia della prima elezione o dichiarazione di domicilio, chiedendo di rinnovarla a chi la abbia già compiuta, attualizzandola, consegue ad una saggia e razionale presa d’atto dell’esperienza giudiziaria, in attuazione del cd. principio di realtà, che vede anche accrescersi l’esercizio del diritto alla mobilità del cittadino, il che implica la necessità di un aggiornamento quanto al domicilio eletto o dichiarato. Pertanto, non è assolutamente irragionevole richiedere un nuovo atto di volontà (elezione) o di scienza (dichiarazione) avente comunque valore processual-negoziale (cfr. Sez. 6, n. 26631 del 12/05/2016, Andronache, Rv. 267433-01; Sez. 6, n. 4921 del 09/12/2003, Fiilocamo, Rv. 228319) a ridosso del nuovo grado di giudizio, quindi maggiormente in grado, per “prossimità” al giudizio di impugnazione, di garantire l’effettività della conoscenza della citazione per il giudizio medesimo»; pertanto, «quello richiesto all’impugnante è un onere di diligenza, di natura collaborativa, che ben si giustifica a fronte della complessità dei giudizi di impugnazione e della necessità della giusta – per la corretta e certa istaurazione del contraddittorio – e celere definizione degli stessi, nello stesso interesse dell’impugnante» (così Sez. 5, n. 46831 del 22/09/2023, Iacuzio, non mass.).
È stata altresì rimarcata la conformità alla Costituzione e alla RAGIONE_SOCIALE EDU della vigente disciplina processuale penale, anche in casi di limitazioni ben più gravi di quella posta dall’art. 581, comma 1-ter, come nella parte in cui non consente la difesa personale o in cui non permette la proposizione personalmente, da parte dell’imputato, del ricorso per cassazione; è ragionevole, quindi, lo «scopo perseguito dal Legislatore, ossia la proposizione di impugnazioni consapevoli da parte dell’imputato senza che dai più stringenti requisiti posti dalla stessa norma a pena di inammissibilità derivi un pregiudizio per lo stesso imputato» (Sez. 5, n. 39166 del 04/07/2023, N., Rv. 285305).
Il Collegio condivide le argomentazioni e i princìpi ora richiamati, recepiti dalla costante giurisprudenza di legittimità (cfr., fra le tante pronunce non massimate, Sez. 4, n. 37 del 14/12/2023, dep. 2024, COGNOME; Sez. 6, n. 233 del 07/11/2023, dep. 2024, COGNOME; Sez. 3, n. 50322 del 30/11/2023, COGNOME; Sez. 4, n. 44630 del 10/10/2023, COGNOME; Sez. 5, n. 41763 del 12/07/2023, COGNOME).
4. Al rigetto dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 11 16/01/2024.