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Inammissibilità appello penale: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47337/2024, ha confermato la dichiarazione di inammissibilità di un appello penale a causa del mancato rispetto dei requisiti formali introdotti dalla Riforma Cartabia. Nello specifico, l’imputato, giudicato in assenza, non aveva depositato un mandato a impugnare e un’elezione di domicilio successivi alla sentenza di primo grado, rendendo l’impugnazione invalida. La pronuncia ribadisce la rigorosa applicazione del principio ‘tempus regit actum’ in materia di inammissibilità appello penale, escludendo l’applicazione retroattiva di norme successive più favorevoli.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Appello Penale: Requisiti Formali e Riforma Cartabia

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 47337 del 2024, offre un’importante lezione sulla rigorosa applicazione delle norme processuali, in particolare riguardo all’inammissibilità appello penale. A seguito della Riforma Cartabia, i requisiti formali per impugnare una sentenza sono diventati più stringenti, e il mancato rispetto di tali adempimenti può precludere l’accesso al secondo grado di giudizio. Questo caso dimostra come la mancata presentazione di un mandato specifico e successivo alla sentenza di condanna possa essere fatale per l’appello dell’imputato giudicato in assenza.

I Fatti del Caso: Un Appello Dichiarato Inammissibile

Un imputato, condannato in primo grado dal Tribunale di Ravenna per il reato di lesioni personali colpose, decideva di proporre appello. Il suo difensore depositava l’atto di impugnazione presso la cancelleria del Tribunale in data 16 ottobre 2023. Tuttavia, la Corte d’Appello di Bologna dichiarava l’impugnazione inammissibile. La ragione risiedeva nella violazione dell’art. 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale, una norma introdotta dalla Riforma Cartabia (D.Lgs. 150/2022).

Secondo la Corte territoriale, unitamente all’atto di appello, non erano stati depositati né la dichiarazione o elezione di domicilio per le notificazioni, né lo specifico mandato a impugnare richiesto dalla legge per l’imputato giudicato in assenza.

La Decisione della Corte d’Appello e il Ricorso in Cassazione

L’imputato, tramite il suo difensore, presentava ricorso per cassazione contro l’ordinanza di inammissibilità. La difesa sosteneva che, sebbene con modalità diverse, la documentazione richiesta era stata depositata lo stesso giorno dell’appello: l’atto di impugnazione in cancelleria e la procura a impugnare tramite il portale telematico degli atti penali.

Il punto cruciale, tuttavia, non era solo la modalità di deposito, ma la data e la natura dei documenti. Dall’esame degli atti, la Cassazione ha accertato che il mandato a impugnare e l’elezione di domicilio erano stati rilasciati il 28 maggio 2020, ovvero durante la fase delle indagini preliminari, e non, come richiesto dalla norma, in un momento successivo alla pronuncia della sentenza di condanna del 4 maggio 2023.

L’Inammissibilità dell’Appello Penale secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. La sentenza si fonda su due pilastri argomentativi fondamentali: l’applicazione del principio tempus regit actum e l’interpretazione letterale dei requisiti imposti dalla nuova normativa per l’imputato assente.

L’Applicazione del Principio “Tempus Regit Actum”

La difesa aveva implicitamente richiamato una modifica legislativa successiva (L. 114/2024), che ha parzialmente abrogato le norme introdotte dalla Riforma Cartabia, rendendo meno stringenti i requisiti. La Cassazione ha però chiarito che le impugnazioni sono regolate dalla legge in vigore al momento in cui vengono proposte. Poiché l’appello era stato depositato nell’ottobre 2023, si applicava la versione più rigorosa dell’art. 581 cod. proc. pen., senza che la normativa successiva, più favorevole, potesse avere efficacia retroattiva.

La Specificità del Mandato per l’Imputato Assente

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione del comma 1-quater dell’art. 581. Questa norma, applicabile all’imputato giudicato in assenza, richiede il deposito di uno “specifico mandato a impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza”. Questo requisito mira a garantire che l’imputato assente sia effettivamente a conoscenza della condanna e manifesti una volontà attuale e consapevole di impugnarla. Un mandato rilasciato anni prima, durante le indagini, non può soddisfare questa finalità. Di conseguenza, la Corte ha concluso che la documentazione prodotta non era idonea, determinando l’inevitabile inammissibilità appello penale.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha motivato la propria decisione sottolineando che le disposizioni introdotte dalla Riforma Cartabia, sebbene rigorose, non violano i diritti costituzionali alla difesa (art. 24 Cost.), la presunzione di non colpevolezza (art. 27 Cost.) o il diritto a un giusto processo (art. 111 Cost.). Tali norme, infatti, non limitano il diritto personale dell’imputato di impugnare, ma regolamentano le modalità con cui il difensore può esercitare tale facoltà in sua vece, specialmente nel caso di un processo celebrato in assenza. L’obiettivo è assicurare che l’impugnazione sia espressione di una volontà effettiva e informata del condannato. La mancanza di un mandato specifico e posteriore alla sentenza rende l’atto del difensore privo della necessaria legittimazione, giustificando la sanzione processuale dell’inammissibilità. La Corte ha inoltre giudicato oscura e non sviluppata la richiesta di applicare l’art. 129 cod. proc. pen. per un’eventuale declaratoria di proscioglimento nel merito.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza conferma un orientamento di estremo rigore formale nell’applicazione delle nuove norme procedurali. Per evitare l’inammissibilità dell’appello penale, è fondamentale che i difensori prestino la massima attenzione ai requisiti introdotti, in particolare per gli imputati assenti. È necessario munirsi di un mandato a impugnare che sia non solo specifico per quella sentenza, ma anche cronologicamente successivo alla sua pronuncia. La decisione serve da monito: le semplificazioni normative successive non sanano i vizi degli atti compiuti sotto la vigenza di una legge più severa. Stante l’inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Perché l’appello è stato dichiarato inammissibile?
L’appello è stato dichiarato inammissibile perché l’imputato, giudicato in assenza, non ha depositato, unitamente all’atto di impugnazione, uno specifico mandato a impugnare e un’elezione di domicilio che fossero stati rilasciati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, come richiesto dall’art. 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale all’epoca vigente.

La modifica legislativa successiva, più favorevole all’imputato, ha avuto effetto sul caso?
No. La Corte di Cassazione ha applicato il principio tempus regit actum, secondo cui l’atto processuale è regolato dalla legge in vigore al momento del suo compimento. Poiché l’appello è stato proposto quando era in vigore la norma più restrittiva, la successiva legge più favorevole non ha potuto avere efficacia retroattiva e sanare il vizio originario.

Qual era il requisito specifico per l’appello di un imputato giudicato in assenza secondo la normativa applicata nel caso di specie?
Per l’imputato giudicato in assenza, la normativa richiedeva, a pena di inammissibilità, che l’atto di appello fosse accompagnato da uno specifico mandato a impugnare, conferito al difensore, che doveva essere stato rilasciato in una data successiva alla pronuncia della sentenza da impugnare e doveva contenere anche la dichiarazione o l’elezione di domicilio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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