Appello Inammissibile: L’Errore sull’Indirizzo PEC Costa Caro
Nel contesto del processo telematico, la precisione è tutto. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’errore nell’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) a cui si invia un’impugnazione può portare a una declaratoria di inammissibilità appello, con conseguenze economiche significative. Questa ordinanza offre uno spunto cruciale per comprendere il rigore delle norme procedurali digitali e l’importanza della diligenza professionale.
I Fatti del Caso: Un Errore Digitale con Conseguenze Reali
Il caso ha origine dal ricorso presentato da una persona avverso un’ordinanza di un Tribunale. La parte ricorrente sosteneva di aver subito una violazione della legge processuale a causa della declaratoria di inammissibilità del suo precedente atto di appello. L’appello era stato dichiarato inammissibile perché, sebbene trasmesso tempestivamente, era stato inviato a un indirizzo PEC non corretto, diverso da quello ufficialmente indicato dall’ufficio giudiziario che aveva emesso la decisione impugnata. L’atto era poi pervenuto all’indirizzo corretto, ma ormai fuori termine.
La Decisione della Corte e l’inammissibilità appello
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo a sua volta inammissibile. I giudici hanno chiarito che la questione non lascia spazio a interpretazioni. La normativa di riferimento, introdotta per la gestione delle impugnazioni durante il periodo emergenziale e poi stabilizzata, è categorica. L’articolo 24, comma 6-septies, del D.L. n. 137/2020 prevede espressamente l’inammissibilità appello qualora l’atto di impugnazione venga trasmesso a un indirizzo di posta elettronica diverso da quello indicato per l’ufficio competente. La Corte ha definito il motivo del ricorso “manifestamente infondato”, in quanto si poneva in “palese contrasto con il dato normativo”.
Le Motivazioni della Sentenza
La motivazione della Corte si fonda su una stretta interpretazione della legge. La norma non è un mero formalismo, ma una regola posta a garanzia della certezza giuridica e del corretto funzionamento del sistema di giustizia digitale. L’indicazione di uno specifico indirizzo PEC per ogni ufficio giudiziario ha lo scopo di assicurare che gli atti pervengano correttamente e tempestivamente all’organo designato, evitando dispersioni e ritardi. Permettere deroghe a questa regola minerebbe l’affidabilità del processo telematico. La tardività dell’arrivo dell’atto all’indirizzo corretto è stata quindi una conseguenza diretta dell’errore iniziale, rendendo l’impugnazione irricevibile.
Le Conclusioni
Questa ordinanza è un monito severo per tutti gli operatori del diritto. Nell’era digitale, la diligenza non si misura solo nella redazione degli atti, ma anche nella loro corretta trasmissione. Verificare scrupolosamente l’indirizzo PEC ufficiale dell’ufficio giudiziario destinatario non è un’opzione, ma un obbligo procedurale la cui violazione comporta conseguenze drastiche: la perdita del diritto di impugnazione e la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione ribadisce che le regole del processo telematico, pur essendo relativamente recenti, hanno la stessa forza cogente delle norme tradizionali e non ammettono leggerezze.
È valido un atto di appello inviato tempestivamente ma a un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) sbagliato?
No, l’ordinanza stabilisce che l’invio a un indirizzo PEC diverso da quello specificato dall’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato rende l’appello inammissibile, anche se la trasmissione è avvenuta entro i termini di legge.
Qual è la base normativa per dichiarare l’inammissibilità dell’appello in questo caso?
La decisione si fonda sull’art. 24, comma 6-septies, del D.L. n. 137/2020, che rinviando al comma 6-sexies, lett. e), prevede specificamente l’inammissibilità per l’invio dell’atto a un indirizzo di posta elettronica diverso da quello indicato dall’ufficio giudiziario.
Quali sono state le conseguenze per la ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
La ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12790 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12790 Anno 2024
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/05/2022 del TRIBUNALE di LIVORNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
mk.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione della legge processuale in relazione alla declaratoria di inammissibilità dell’appello, è manifestamente infondato in quanto prospetta enunciati in palese contrasto con il dato normativo di cui all’art. 24, comma 6-septies, D.I. n. 137/2020 che, rinviando al comma 6-sexies, lett. e), dello stesso articolo, prevede l’inammissibilità dell’atto di impugnazione trasmesso tempestivamente ad un indirizzo di posta elettronica diverso da quello indicato per l’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato;
che era stata correttamente rilevata l’inammissibilità dell’atto di appello pervenuto all’indirizzo di posta certificata indicato poiché tardivamente proposto;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 12 dicembre 2023 Il Consigliere estensore COGNOME :Il Presi ent