Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13800 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13800 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/10/2023 della CORTE APPELLO di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
L’ordinanza impugnata è stata emessa il 6 ottobre 2023 dalla Corte di appello di Roma, che ha dichiarato inammissibile per genericità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 581, comma 1, lett. d), e 591, lett. c) cod. proc. pen., l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 3 agosto 2015, di condanna per il reato di tentato furto aggravato.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta la nullità assoluta dell’ordinanza perché non preceduta da rituale vocatío in ius dell’imputato e del suo difensore
di fiducia, che è stato peraltro ingannato dal decreto di citazione inoltrato al difensore di ufficio, in cui c’era scritto che l’udienza era fissata per dichiarare prescrizione, e che non è stato posto in condizione di depositare motivi aggiunti. Il difensore di ufficio era stato nominato in sede di arresto, ma poi era stato sostituito da tempo con quello di fiducia.
2.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia omessa motivazione perché l’ordinanza impugnata avrebbe liquidato frettolosamente le doglianze difensive per genericità, attraverso mere clausole di stile e in maniera sbrigativa. Viene esaltato, con pedanteria, un mero errore materiale, la censura relativa alla riduzione per il tentativo non è stata affatto esaminata, così come le argomentazioni relative al giudizio di comparazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per quanto si dirà.
Non coglie nel segno il primo motivo di ricorso, che lamenta il mancato avviso al difensore di fiducia, già nominato, dell’udienza all’esito della quale la Corte di appello ha dichiarato inammissibile, per aspecificità, l’appello. Ebbene, la doglianza non è fondata perché muove da un presupposto in rito che il Collegio non condivide, ossia che la declaratoria di inammissibilità non potesse avvenire de plano, ma che fosse necessaria la previa instaurazione del contraddittorio, traendone, appunto, la nullità della sentenza impugnata per la mancata notifica al difensore di fiducia. Il Collegio accede, infatti, all’esegesi d questa Corte – che, quanto al procedimento di appello nella fase di cognizione, non conosce arresti difformi (il tema è particolarmente dibattuto, invece, in tema di appello cautelare) – secondo cui l’inammissibilità dell’appello va dichiarata con procedura de plano, senza necessità di fissare l’udienza camerale e di avvisare i difensori (Sez. 2, n. 24808 del 24/07/2020, COGNOME, Rv. 279553; conformi Sez. 5, n. 7448 del 03/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259031; Sez. 6, n. 52002 del 10/10/2018, COGNOME, Rv. 274811). A questa conclusione, la sentenza COGNOME è giunta, in termini del tutto rispondenti al dettato del codice di rito, sostenendo che «Si è, in particolare, osservato (Sez. 3, 22/11/2000, Rv. 18354; Sez. 3, n. 34823 del 30/1/2017, Rv. 270955; Sez. 2, n. 18333 del 22/4/2016, Rv. 267083; Sez. 4, n. 8867 del 19/2/2020, Rv. 278605) che la dichiarazione di inammissibilità dell’appello non richiede l’osservanza delle forme prescritte dall’art. 127 c.p.p., che regola il procedimento in camera di consiglio, in quanto la disciplina stabilita da tale precetto non è applicabile i tutti i casi nei quali il giudice delibera in camera di consiglio, operando, invece
solo per quelli in ordine ai quali sia espressamente prevista l’utilizzazione di tale procedura, peraltro non richiamata dal disposto dell’art. 591 c.p.p., norma generale in tema di inammissibilità del gravame». Peraltro, anche laddove si è ritenuto applicabile all’appello della cognizione l’art. 127 cod. proc. pen., questa Corte ha giustificato la procedura de plano sottolineando che, all’inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, si applica la disposizione di cui al comma nono del predetto articolo, che prevede, appunto, che si omettano le «formalità di procedura» (Sez. 3, n. 745 del 02/10/2018, dep. 2019, C., Rv. 274570).
2. E’ fondato, invece, il secondo motivo di ricorso, che contesta il merito della decisione di inammissibilità. Il precedente cui fare riferimento è Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, secondo cui, «L’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto al ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico de/l’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato». In sostanza la sentenza COGNOME impone all’appellante un “dialogo” critico con la sentenza impugnata, con la formulazione di specifiche censure che contrastino e tendano a sovvertire le argomentazioni del Giudice di prime cure. Naturalmente tale confronto sarà quanto mai richiesto quanto più gli argomenti della sentenza di prime cure siano specifici laddove, in caso contrario, l’auspicato approccio critico puntuale non sarà attuabile. Per completezza si evidenzia – ancorché la disposizione non fosse ancora in vigore nel lontano 2015, quando l’appello fu presentato – che il principio stabilito da Sezioni Unite COGNOME è stato recepito dal legislatore della riforma Cartabia, giacché il d.lgs. 150 del 2022 ha introdotto nell’art. 581 cod. proc. pen. il comma 1-bis secondo cui «L’appello è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita í rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espres provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ciò posto, contrariamente a quanto assume la Corte di merito, l’atto di appello presentato nell’interesse dell’imputato non era affatto aspecifico sui punti concernenti il giudizio di comparazione tra circostanze e il trattamento sanzionatorio. Su questi aspetti, la sentenza di primo grado si era limitata, da una parte, a stabilire immotivatamente il giudizio in termini di equivalenza e, quanto al trattamento sanzionatorio, si era limitata a ritenere che la pena fosse
«equa». Di fronte a queste scarne argomentazioni, l’appello non poteva dirsi aspecifico laddove, quanto al giudizio di comparazione, invocava la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche in ragione dei contorni dell’episodio, caratterizzato – si legge nell’appello – da «modalità in concreto poco allarmanti» e da «un’aggressione all’altrui patrimonio davvero modesta»; e allorché, in relazione al trattamento sanzionatorio, evocava l’indigenza dell’imputato e il buon comportamento del medesimo, sia al momento dell’arresto che successivamente, quando aveva ammesso l’addebito.
Ora, non vi è dubbio che, a prescindere dalla fondatezza delle medesime (che non è il parametro su cui la Corte di appello doveva ragionare) si tratta di argomentazioni che, in rapporto ad una sentenza priva di una compiuta motivazione sui punti attinti dal gravame di merito, costituiscono degli enunciati critici sufficienti a superare il vaglio di ammissibilità.
La fondatezza del motivo appena esaminato impone di prendere atto che, il 2 febbraio 2023, decorsi sette anni e sei mesi dal commesso reato, quest’ultimo si è estinto per prescrizione.
Non vi è margine per un proscioglimento dell’imputato ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen. perché, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee a escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu ocull, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274). Nel caso di specie, poiché a essere censurata è solo l’ordinanza di inammissibilità dell’appello, non vi è materia per una pronunzia nel merito.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e la sentenza di primo grado perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso l’11/1/2024.