Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2047 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2047 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MILANO il 04/03/1987
avverso la sentenza del 10/09/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 10 settembre 2024, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dai difensori di NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Milano del 3 marzo 2023 con cui questi era stato condannato in ordine al reato di cui all’art. 186 commi 1 , 2 lett. b) , 2 bis sexies d.lgs 30 aprile 1992 n. 285,, commesso in Pogliano Milanese il 4 dicembre 2021 alla pena ritenuta di giustizia.
La Corte ha rilevato che all’atto di impugnazione era stato allegato un foglio, recante l’intestazione “elezione domicilio appello e mandato a proporre appello” e contenente le generalità dell’imputato, la menzione del numero di processo di primo grado, la conferma della duplice nomina dei difensori di fiducia, la procura speciale per proporre appello e l’elezione di domicilio; che l’indicazione del numero d’ordine della sentenza di primo grado era erronea (3233 anziché 3239); che il testo di tale foglio non era sintatticamente né logicamente coerente, in quanto erano nominati due difensori di fiducia ed erano poi declinati al singolare pronomi riferiti sia alla delega alla difesa della proposizione dei motivi di appello, sia conferimento alla difesa “di ogni più ampio potere previsto dalla legge, nonché specifico mandato a proporre impugnazione avverso la sentenza di primo grado”; che, soprattutto, la prima firma era autenticata con una sottoscrizione del tutto illeggibile e non era affiancata da timbri o testo che esplicitasse l’identità d sottoscrittore.
La Corte ha, indi, ritenuto indeterminabile l’identità del soggetto che aveva compiuto l’autenticazione della firma apposta sotto il testo contenente tra l’altro l’elezione di domicilio e che, pertanto, tale elezione fosse invalida e ha rilevato altresì, che in atti non si rinvenivano contenuti equivalenti a una valida elezione di domicilio.
La Corte, infine, ha rilevato il difetto di specificità dell’impugnazione violazione dell’articolo 581 comma 1 lett.d) cod. proc. pen.
Avverso la sentenza, l’imputato, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso, formulando un unico motivo con cui ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione. Il difensore osserva che, secondo l’indirizzo giurisprudenziale minoritario cui ritiene di aderire, l’elezione di domicilio non deve essere allegata all’atto di impugnazione, quando in atti è presente una precedente elezione di domicilio che ha consentito alla Corte, come nel caso che ci occupa di effettuare correttamente la vocatio presso il domicilio eletto.
Il Procuratore generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
4.11 ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto manifestamente infondato il motivo.
Si deve in primo luogo dare atto l’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. è stata abrogato dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza del 24 ottobre 2024 hanno affermato che “la disciplina contenuta nell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. – abrogata dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024 – continua ad applicarsi alle impugnazioni proposte sino al 24 agosto 2024” e hanno altresì affermato che “la previsione ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. deve essere interpretata nel senso che è sufficiente che l’impugnazione contenga il richiamo espresso e specifico ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, tale da consentire l’immediata e inequivoca individuazione del luogo in cui eseguire la notificazione” (cfr. Informazione provvisoria).
6.Ciò premesso, l’art. 581, comma 1 ter, GLYPH cod. proc. pen., applicabile alla impugnazione in esame, prevedeva, a pena di inammissibilità, il deposito, insieme con l’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori, della dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto citazione a giudizio. Si trattava di previsione funzionale, nella intenzione de legislatore, ad accelerare il meccanismo della notificazione del decreto di citazione in appello e rendere al contempo certa la conoscenza della celebrazione di tale grado di giudizio da parte dell’impugnante.
Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto nulla la elezione di domicilio in quanto priva di sottoscrizione autenticata validamente, in conformità del principio per cui la dichiarazione o elezione di domicilio deve essere personalmente sottoscritta dall’imputato al fine di consentire inequivoca individuazione del luogo della notifica e del principio per cui la firma della autentica della sottoscrizione deve essere leggibile.
La Corte di Appello, inoltre, ha individuato una ulteriore ragione di inammissibilità, rilevando che i motivi di impugnazione con cui si era ipotizzato un malfunzionamento dell’apparecchio etilometro e il difetto di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio non tenevano conto dei passaggi argomentativi della sentenza di primo grado relativi ai profili evidenziati e, dunque, non si
confrontavano con l’iter motivazionale seguito dal Tribunale, così come richiesto dagli artt. 591 e 581 cod. proc. pen. come interpretati dalla giurisprudenza di legittimità.
6.1. A fronte di tale percorso argomentativo, il ricorrente ha affermato, ma non provato che in atti era presente altra elezione di domicilio e non si è confrontato, comunque, con tutte le ragioni poste a fondamento della pronuncia di inammissibilità.
7.Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Deciso il 12 dicembre 2024.