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Imputazione coatta: i limiti del potere del GIP

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’ordine di imputazione coatta emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) per reati non inclusi nella richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero costituisce un atto abnorme. La sentenza annulla parzialmente l’ordinanza del GIP, riaffermando la necessaria separazione di poteri tra organo giudicante e organo inquirente nel procedimento penale.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Imputazione Coatta: Quando l’Ordine del Giudice Supera i Limiti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale nella procedura penale, relativo ai poteri del Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) e all’istituto della imputazione coatta. La decisione chiarisce che il GIP non può ordinare al Pubblico Ministero di formulare accuse per reati diversi da quelli per cui era stata richiesta l’archiviazione. Un simile provvedimento viene qualificato come “abnorme” e, pertanto, annullabile.

I Fatti del Caso: Un’Ordinanza di Imputazione Coatta Ampliata

Il caso trae origine da un’ordinanza del GIP presso un Tribunale di merito. A seguito di una richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero per specifici reati, il GIP non solo respingeva tale richiesta, ma ordinava al PM di formulare l’imputazione non solo per i reati già contestati, ma anche per due ulteriori delitti di falso materiale che non erano mai stati oggetto della richiesta di archiviazione. In pratica, il giudice ha ampliato di sua iniziativa il perimetro dell’accusa, andando oltre la richiesta su cui era chiamato a decidere.

I Motivi del Ricorso e i Limiti dell’Imputazione Coatta

La difesa degli indagati ha presentato ricorso per cassazione, sostenendo che l’ordinanza fosse un atto abnorme. Il motivo principale era che il GIP, ordinando una imputazione coatta per reati nuovi e diversi, aveva superato i limiti del proprio potere di intervento, invadendo la sfera di autonomia e le prerogative del Pubblico Ministero, titolare dell’azione penale.

Secondo la difesa, il potere del GIP, ai sensi dell’art. 409, comma 5, del codice di procedura penale, è circoscritto ai fatti per i quali il PM ha esercitato l’azione penale e successivamente richiesto l’archiviazione. Forzare la mano al PM su contestazioni nuove significa alterare la dialettica processuale e la separazione dei ruoli tra organo inquirente e organo giudicante, garantita dalla Costituzione.

La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, confermando l’orientamento delle Sezioni Unite. La sentenza ha chiarito che il provvedimento con cui il GIP, non accogliendo una richiesta di archiviazione, ordina al PM di formulare l’imputazione per un reato diverso da quello oggetto della richiesta, costituisce un atto abnorme. Questo tipo di atto è ricorribile per cassazione perché genera un’anomalia procedurale che incide sulla delimitazione dei poteri tra giudice e PM, violando l’autonomia di quest’ultimo.

Di conseguenza, la Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata, ma solo limitatamente alla parte in cui ordinava la formulazione dell’imputazione per i reati di falso non originariamente contestati. Gli atti sono stati quindi ritrasmessi al Procuratore della Repubblica per le sue determinazioni.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sul principio fondamentale della separazione dei poteri all’interno del processo penale. Il Pubblico Ministero è l’unico organo titolare dell’azione penale. Il GIP ha una funzione di controllo e garanzia, non di sostituzione. Quando il GIP ordina un’imputazione coatta, esercita un potere eccezionale che deve rimanere strettamente confinato ai fatti delineati dalla richiesta di archiviazione. Estendere tale ordine a nuove fattispecie di reato significherebbe attribuire al giudice un potere di iniziativa accusatoria che non gli compete, creando una stasi procedurale e una violazione strutturale del sistema accusatorio.

Le Conclusioni

Questa sentenza è di grande importanza pratica perché traccia una linea netta invalicabile per il GIP. Si ribadisce che il giudice non può diventare un “supplente” del PM, ma deve operare all’interno dei confini stabiliti dalla legge. La qualificazione di un simile ordine come “atto abnorme” garantisce un rimedio immediato (il ricorso per cassazione), evitando che gli indagati siano costretti a subire un processo basato su un’accusa formulata in violazione delle regole fondamentali del procedimento. La decisione rafforza le garanzie difensive e l’autonomia della pubblica accusa, pilastri del giusto processo.

Può il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) ordinare un’imputazione coatta per reati non compresi nella richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero (PM)?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un’ordinanza di questo tipo è un atto abnorme, perché il GIP eccede i suoi poteri e invade la sfera di autonomia del PM. Il suo potere è limitato ai fatti per cui è stata richiesta l’archiviazione.

Cosa si intende per “atto abnorme” in questo contesto?
Si tratta di un provvedimento del giudice che, per la sua anomalia, si pone al di fuori del sistema processuale. Nello specifico, l’ordine di formulare un’imputazione per reati nuovi è abnorme perché altera la ripartizione di poteri tra giudice e accusa, creando una situazione non prevista dalla legge.

Qual è la conseguenza processuale di un’ordinanza di imputazione coatta ritenuta abnorme?
L’ordinanza abnorme viene annullata senza rinvio dalla Corte di Cassazione, limitatamente alla parte viziata. Nel caso di specie, è stato annullato solo l’ordine relativo ai nuovi reati, mentre gli atti sono stati trasmessi al Procuratore della Repubblica per le valutazioni di sua competenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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