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Imputazione coatta: i limiti del GIP secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordine di imputazione coatta emesso da un Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) per un reato diverso e ulteriore rispetto a quello per cui il Pubblico Ministero aveva chiesto l’archiviazione. Secondo la Corte, il GIP, se rileva una diversa fattispecie di reato, non può ordinare direttamente l’imputazione, ma deve limitarsi a disporre l’iscrizione della nuova notizia di reato nel registro degli indagati, al fine di salvaguardare l’autonomia del PM e il diritto di difesa dell’indagato.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Imputazione coatta: la Cassazione traccia i confini dei poteri del GIP

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 7738 del 2024, torna a fare chiarezza su un tema delicato della procedura penale: i limiti dei poteri del Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) di fronte a una richiesta di archiviazione. La decisione ribadisce un principio fondamentale per l’equilibrio tra accusa e difesa, stabilendo che il GIP non può ordinare una imputazione coatta per un reato diverso da quello per cui il Pubblico Ministero (PM) ha condotto le indagini. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un’indagine per il reato di diffamazione a carico di un individuo. Al termine delle indagini, il Pubblico Ministero, ritenendo infondata la notizia di reato, ha presentato al GIP una richiesta di archiviazione.

Il GIP, tuttavia, non ha accolto la richiesta. Anzi, ha ritenuto che dagli atti emergesse non solo la sussistenza del reato di diffamazione, ma anche un’ulteriore e diversa fattispecie di reato, prevista dall’art. 167 del d.lgs. 196/2003 (Codice della Privacy). Di conseguenza, ha ordinato al PM di formulare l’imputazione per entrambi i reati. Contro questa decisione, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando l’abnormità dell’atto e la violazione del proprio diritto di difesa.

L’imputazione coatta e il giusto equilibrio processuale

Il cuore della questione risiede nell’interpretazione dell’art. 409 del codice di procedura penale, che regola i poteri del GIP in sede di archiviazione. La Suprema Corte, richiamando precedenti pronunce delle Sezioni Unite, ha sottolineato come il GIP abbia il compito di controllare la legittimità dell’inazione del PM, ma senza potersi sostituire ad esso. L’ordinanza che impone una imputazione coatta per un reato mai contestato durante le indagini crea uno stallo procedurale e lede diritti fondamentali.

In primo luogo, viola l’autonomia del PM, titolare esclusivo dell’azione penale. In secondo luogo, e in modo ancora più grave, pregiudica il diritto di difesa dell’indagato, il quale si troverebbe a fronteggiare un’accusa per un fatto sul quale non ha mai avuto la possibilità di difendersi durante la fase investigativa, ad esempio chiedendo atti di indagine a proprio favore o presentando memorie.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso, definendo ‘abnorme’ l’ordinanza del GIP nella parte in cui imponeva l’imputazione per il reato previsto dal Codice della Privacy. L’abnormità, spiegano i giudici, risiede proprio nella palese violazione dell’equilibrio tra i poteri delle parti e del giudice.

La Corte ha chiarito quale sia la procedura corretta che il GIP deve seguire in questi casi. Se, dagli atti, il Giudice ravvisa una fattispecie di reato diversa o ulteriore rispetto a quella per cui si procede, non può ordinare l’imputazione diretta. Il suo potere si limita a ordinare al PM di iscrivere la nuova notizia di reato nell’apposito registro (ex art. 335 c.p.p.).

Solo in questo modo si garantisce il corretto svolgimento del procedimento: il PM potrà avviare nuove indagini sul reato ‘scoperto’ dal GIP e l’indagato sarà messo nelle condizioni di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa fin dalla fase iniziale. L’ordine del GIP è stato quindi annullato senza rinvio per quanto riguarda il reato non originariamente contestato, mentre è rimasto valido per il reato di diffamazione.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cardine del nostro sistema processuale: la netta separazione tra le funzioni del giudice e quelle dell’accusa. Il GIP è un garante della legalità, non un ‘super-procuratore’. Imporre un’imputazione per un fatto nuovo e diverso si tradurrebbe in un’ingerenza inammissibile nelle prerogative del PM e in una grave lesione del diritto di difesa. La decisione della Cassazione, pertanto, ripristina il corretto equilibrio procedurale, assicurando che ogni accusa sia preceduta da un’adeguata fase di indagine in cui l’indagato possa pienamente difendersi.

Può il GIP ordinare un’imputazione coatta per un reato diverso da quello per cui il PM ha chiesto l’archiviazione?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che è inibito al GIP ordinare al PM la formulazione dell’imputazione per ipotesi di reato diverse da quelle per le quali è stata richiesta l’archiviazione. Un simile provvedimento è considerato ‘abnorme’.

Cosa si intende per ‘atto abnorme’ in questo contesto?
Un atto abnorme è un provvedimento del giudice che, pur essendo formalmente previsto, si pone al di fuori del sistema processuale, violando l’equilibrio tra i poteri delle parti (PM e difesa) e quelli del giudice. In questo caso, l’ordine di imputazione per un reato non investigato lede l’autonomia del PM e il diritto di difesa.

Qual è la procedura corretta che il GIP deve seguire se individua un reato diverso o ulteriore?
Se il GIP rileva un fatto-reato diverso da quello per cui è stata chiesta l’archiviazione, deve limitarsi a ordinare al Pubblico Ministero l’iscrizione di tale reato nel registro delle notizie di reato (ex art. 335 c.p.p.), per consentire lo svolgimento di apposite indagini.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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